22 Aprile 2015

L’attività commerciale delle associazioni culturali

di Guido Martinelli
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Una volta esaminate l’organizzazione di lotterie, tombole e pesche di beneficienza e le prestazioni di servizi rese agli associati, la nostra rubrica settimanale continua l’analisi dei requisiti e degli aspetti fiscali dei proventi conseguiti dagli enti non commerciali, analizzando le implicazioni connesse all’attività commerciale.


 

Se l’elencazione dei proventi c.d. “istituzionali” di un ente su base associativa deve ritenersi di natura tassativa (sul punto vedi “L’attività istituzionale delle associazioni culturali“), l’analisi di quelli c.d. “commerciali” ha carattere meramente esemplificativo. In altre parole si potrebbe anche affermare che ogni provento conseguito da un ente non commerciale, di qualsivoglia natura, che non rientra tra quelli istituzionali, rientra tra quelli commerciali, ad eccezione di quelli descritti dall’art. 143 del Tuir.

Descriveremo, pertanto, soltanto i proventi di natura commerciale maggiormente tipizzati nella realtà associativa o che presentino peculiarità particolari:

1. Somministrazione di pasti.

La somministrazione di pasti, intendendosi come tali cibi che con la cottura mutano le proprie caratteristiche organolettiche, ove il servizio sia gestito direttamente dall’associazione, risulta essere comunque di natura commerciale anche se i commensali siano esclusivamente soci dell’associazione medesima.

2. Cessione di prodotti nuovi acquistati per la rivendita.

Si ha tale fattispecie ogni qualvolta il sodalizio acquisti indumenti, attrezzi e quant’altro e, tenendoli in magazzino, li rivenda agli associati che ne facciano richiesta. Tale attività è comunque di natura commerciale anche se il prezzo di vendita sia uguale o inferiore a quello di acquisto. Eccezione è data dal c.d. gruppo di acquisto, ossia un gruppo di soci decidono di acquistare insieme un certo bene e questo avviene tramite la associazione. La differenza tra la prima e la seconda fattispecie è data dal fatto che nella prima si realizza una specie di “magazzino” cosa che, invece, non accade nel secondo caso. Situazione analoga di commercialità si ha nel caso in cui sia il posto di ristoro a vendere prodotti per asporto quali, ad esempio, vini, panettoni ecc…

3. Organizzazione di gite e viaggi.

I corrispettivi legati alla organizzazione di gite o viaggi sono da ritenersi di natura commerciale, anche se versati da associati, salvo che per le attività turistiche conformi alle finalità istituzionali, poste in essere da associazioni aderenti ad un ente ricreativo nazionale riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Va ricordato che tali attività dovranno essere indette con modalità conformi alle previsioni delle leggi sul turismo nazionali e regionali.

4. Organizzazione di manifestazioni con ingresso a pagamento.

L’organizzazione di manifestazioni culturali con ingresso a pagamento, intese come tali quelle in cui il pubblico, per accedere al luogo di svolgimento, è tenuto al versamento di un corrispettivo specifico, costituirà anch’essa attività commerciale.

5. Organizzazione di feste, stand gastronomici, manifestazioni di sorta.

L’organizzazione di tali attività, per le quali viene prevista una corresponsione di somme a fronte dei servizi o dei beni ceduti, rientra fra le attività previste da questo capo, fatti salvi i casi di raccolta fondi, decommercializzata ai sensi dell’art. 143 Tuir.

6. Pubblicità commerciale.

Rientrano sotto tale titolo tutti i proventi che l’associazione consegue per aver messo a disposizione di aziende spazi pubblicitari nell’ambito della propria attività. Vi rientrano, pertanto, le sponsorizzazioni sugli indumenti, i cartelloni collocati all’interno dell’impianto, la pubblicità su manifesti, giornalini sociali, dépliants e quant’altro fosse organizzato dall’associazione con la presenza di messaggi pubblicitari. La pubblicità è basata su un rapporto di dare e avere: l’azienda versa un corrispettivo economico in cambio del fatto che la associazione veicola il messaggio pubblicitario dell’azienda medesima nell’ambito della propria attività. Si ricorda che il corrispettivo di un accordo promo-pubblicitario, oltre che in denaro, può anche essere erogato in natura, senza che questo muti la natura del rapporto in esame.

7. Prestazioni di servizi a non soci o non tesserati alla medesima organizzazione nazionale di riferimento.

E’ importante ricordare che, in ogni caso, tutto ciò che l’associazione incassa da non soci, per servizi effettuati a loro favore, costituisce introito commerciale. Nel momento in cui la associazione conseguisse proventi di questa natura si dovrà porre il problema della disciplina dei medesimi ai fini IVA. Si ricorda, infatti, che il presupposto applicativo di tale tributo non è il medesimo previsto per l’imposizione diretta ma appare legato alla “abitualità” nel conseguimento del provento di natura commerciale.

Effettuata la distinzione sul piano dei proventi tra attività commerciale e non, occorrerà procedere ad analoga differenziazione anche sul piano dei costi.

Qui le difficoltà aumentano, in quanto il legislatore si limita a ritenere deducibili dall’attività commerciale esclusivamente quei proventi relativi ed inerenti all’attività medesima. L’identificazione degli stessi non sempre è facile e presenta margini di discrezionalità (e quindi di rischio, in caso di verifica) non sanabili tramite elementi oggettivi. L’unico riferimento utilizzabile è valutare se il costo sostenuto sia servito direttamente o indirettamente a produrre un ricavo di natura commerciale. Se la risposta sarà positiva tale costo andrà ad abbattere il reddito imponibile dell’attività commerciale (es. bibite vendute ai non soci), altrimenti sarà posto a fonte dei proventi di natura istituzionale (es: palloni per l’attività agonistica). Gli eventuali costi promiscui saranno deducibili in base al rapporto tra ricavi e proventi derivanti dall’esercizio delle attività commerciali e ricavi e proventi complessivi.