6 Maggio 2025

Valutazione dei profili abusivi del leveraged cash out

di Marco Bargagli
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Anzitutto, giova ricordare la rinnovata disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale prevista, nel nostro ordinamento giuridico, dall’articolo 10-bis, L. 212/2000.

Nello specifico, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano vantaggi fiscali indebiti.

Tali operazioni non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi fiscali, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Quindi, attualmente sono questi i presupposti per realizzare abuso del diritto:

  • mancanza di sostanza economica dell’operazione effettuata (ossia le valide ragioni economiche dell’operazione economica posta in essere);
  • ottenimento di un vantaggio fiscale indebito che deve costituire l’essenza dell’operazione.

Di conseguenza, occorre:

  • la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito (disapprovato dall’ordinamento giuridico) che deve essere essenziale rispetto a tutti gli altri fini perseguiti da contribuente;
  • ottenuto mediante un comportamento che, pur non violando direttamente un obbligo imperativo di Legge, riesce ad aggirarlo.

 

Valide ragioni extrafiscali

Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

Quindi, le “ragioni extrafiscali”, che devono avere carattere di non marginalità, possono coesistere con quelle fiscali, le quali, tuttavia, non devono costituire l’essenza o l’obiettivo principale dell’operazione.

A tale fine:

  • sono definite ragioni extrafiscali non marginali anche quelle che, pur non essendo alla base di operazioni produttive di redditività immediata, sono comunque rispondenti ad esigenze di natura organizzativa volte a un miglioramento strutturale e funzionale dell’attività economica del contribuente;
  • il principio della “non marginalità” delle valide ragioni extrafiscali va inteso nel senso che tali ragioni sussistono solo perché in loro assenza l’operazione non sarebbe stata posta in essere.

 

Libera scelta tra regimi opzionali

Nel rinnovato assetto normativo di riferimento, il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio di imposta, esercitando la propria libertà di iniziativa economica, scegliendo tra gli atti, i fatti e i contratti, quelli meno onerosi.

A tal fine, resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla Legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

Ciò premesso, si evidenzia che il classico schema riconducibile al c.d. leverage cash out” prevede la rivalutazione e la successiva cessione di partecipazioni sociali in favore di una società riconducibile al soggetto cedente.

L’operazione economica è articolata a livello operativo sulla base delle seguenti direttrici:

  • i soci persone fisiche di una società target rivalutano le proprie partecipazioni versando l’imposta sostitutiva;
  • le partecipazioni vengono poi cedute nei confronti di una società veicolo, partecipata dalle stesse persone fisiche, mantenendo le stesse percentuali della società target;
  • il corrispettivo previsto per l’acquisto delle partecipazioni viene sovvenzionato mediante ricorso ad un prestito bancario contratto dalla società veicolo che, successivamente, viene rimborsato con l’incasso dei dividendi della società

In estrema sintesi, con l’operazione in rassegna, i soci possono incassare i dividendi della società target per il tramite della società veicolo, senza dover essere assoggettati alla tassazione ordinaria sui dividendi, applicando invece l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione.

Con l’ordinanza n. 25131/2021, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a favore del contribuente su di un caso di Leveraged Cash Out (LCO), che era stato considerato elusivo da parte dell’Agenzia delle entrate.

In linea di principio, come affermato dalla Suprema Corte, esiste la possibilità che l’operazione possa essere supportata da valide ragioni extrafiscali non marginali e pertanto la stessa, nel complesso considerata, non costituisce abuso del diritto.

Più di recente, con l’ordinanza n. 6741/2025, la Suprema Corte di Cassazione ha fornito ulteriori importanti principi di diritto sempre relativi ad un’operazione di Leveraged Cash Out (LCO), stabilendo che l’operazione può essere considerata legittima, qualora l’intento del contribuente non sia esclusivamente quello di ottenere un indebito risparmio d’imposta.

Come si legge nell’ordinanza della Cassazione, i giudici di merito hanno rilevato che la fattispecie di abuso del diritto non sussiste ove l’operazione sia stata posta in essere in presenza di ragioni extrafiscali non marginali.

L’operazione in rassegna era sorretta dal triplice scopo di:

  • liquidare i soci non interessati al rilancio industriale e finanziario del Gruppo, reso necessario dalla crisi del settore di riferimento (meccanica);
  • incrementare il patrimonio netto per poter più agevolmente ricorrere al credito bancario;
  • costituire una holding

Sulla base del costante indirizzo espresso in sede di legittimità, si configura un abuso del diritto – il cui divieto costituisce, in materia tributaria, principio generale antielusivo – quando l’operazione economica è volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante un uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione (Cassazione n. 9135/2021, n. 15321/2019 e n. 18632/2018).

In sintesi, la Suprema Corte ha affermato che, per integrare gli estremi del comportamento abusivo, un’operazione economica, valutata tenendo conto sia della volontà delle parti sia del contesto fattuale e giuridico, deve porre quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non si applica se l’operazione può spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di un risparmio d’imposta (Cassazione n. 25972/2014 e n. 22072/2024).

In particolare, con riguardo ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell’ambito di grandi gruppi di imprese, il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull’assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, “non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta, poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale (Cass. n. 439/2015)”.

A tal fine, spetta all’Amministrazione fornire la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cassazione n. 1465/2009), mentre il contribuente ha l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche che giustifichino un’operazione così strutturata qualora l’Ufficio alleghi l’esistenza di un adeguato strumento giuridico, alternativo a quello scelto dai contraenti, che sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cassazione n. 21390/2012).

I giudici di Piazza Cavour, concordando con il giudice del gravame, rilevano che:

  • l’operazione aveva consentito un aumento del patrimonio netto;
  • si era realizzato un corrispondente incremento dei finanziamenti bancari, con ampliamento del ricorso al credito;
  • in via ulteriormente derivata, si poteva apprezzare l’aumento del fatturato consolidato e degli utili ante imposte.

Gli stessi giudici, accogliendo la tesi del contribuente, hanno rilevato che la creazione di nuova capacità patrimoniale in capo ai soci di maggioranza aveva consentito l’agevole liquidazione di quelli di minoranza, e che agli stessi esiti non si sarebbe potuti pervenire per la via naturale del conferimento delle azioni, operazione – quest’ultima – che avrebbe fra l’altro imposto il deposito della relazione peritale di stima presso il Registro delle Imprese che i soci intendevano legittimamente scongiurare per la possibilità che si rendessero così pubbliche informazioni invece riservate.