31 Maggio 2021

Immobili delle scuole paritarie: vita dura per l’esenzione Imu

di Luca Caramaschi
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Continua in giurisprudenza la “battaglia” sulla corretta interpretazione dell’esenzione Imu in capo alle scuole paritarie.

È infatti dello scorso 4 maggio 2021 la sentenza n.11651 con la quale la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi affermando che l’agevolazione consistente, appunto, nell’esenzione Imu va riconosciuta solo se la retta pagata rappresenta un contributo simbolico inidoneo pertanto a integrare la remunerazione del servizio fornito, in quanto decisamente inferiore ai costi di gestione.

Occhi quindi puntati sulle modalità di svolgimento dell’attività, nel presupposto che comunque sia verificata la sussistenza dell’elemento soggettivo alla base dell’agevolazione (e cioè che il diretto utilizzatore del bene immobile sia l’ente non commerciale che svolge l’attività di scuola paritaria).

Il tema peraltro non è nuovo e coinvolge, in generale, molti casi di attività svolte in convenzione con la Pubblica Amministrazione ed in relazione alle quali una parte del corrispettivo richiesto all’utente viene “integrata” con contributi provenienti, appunto, dalla stessa P.A..

Già nel 2018, per restare su anni recenti, l’ottava sezione della CTR Lombardia, con la sentenza n. 4400 del 18 ottobre, ha affermato che non può essere contestata l’esenzione Ici/Imu ad un ente non commerciale che svolge attività di scuola dell’infanzia sulla base di accordi con l’amministrazione comunale che prevedono l’erogazione di contributi in conto gestione oltre a vincoli sulle tariffe in ragione delle fasce di reddito delle singole famiglie degli iscritti alla scuola.

Ed è proprio l’esistenza di vincoli ispirati ad un principio di solidarietà che impedirebbe all’ente una gestione concorrenziale, fatto che giustifica il riconoscimento dell’esenzione.

Con riferimento ai contributi in convenzione, inoltre, secondo i giudici regionali la loro erogazione contribuirebbe a realizzare i medesimi obiettivi perseguiti dall’amministrazione comunale con la gestione diretta della scuola.

Nonostante le descritte argomentazioni espresse in sede di giurisprudenza di merito, di diverso avviso pare la Corte di Cassazione che a più riprese giudica le stesse non sufficienti a riconoscere l’esenzione.

Si parte con la sentenza n. 3528/2018 nella quale la Corte di Cassazione ha stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle imposte locali per il mero fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica amministrazione.

La sottoscrizione di una convenzione con l’ente pubblico, infatti, non garantisce che l’attività venga svolta in forma non commerciale e che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto.

In tali situazioni, pertanto, al fine di valutare l’esenzione, si dovranno verificare con molta attenzione le caratteristiche dell’attività svolta dall’ente non commerciale, non essendo sufficiente limitarsi alla verifica dell’esistenza di una convenzione con la pubblica amministrazione.

In sintonia con la sentenza testé citata si rinviene anche l’ordinanza n. 10754/2017 con la quale, sempre la Cassazione afferma che le scuole paritarie sono soggette al pagamento dei tributi locali, e quindi non godono dell’esenzione, se l’attività non viene svolta a titolo gratuito o dietro richiesta di una somma simbolica.

Più di recente, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 10124/2019 ha aggiunto un ulteriore e forse decisivo “tassello” alla tesi che nega l’esenzione dai tributi locali in relazione agli immobili utilizzati per lo svolgimento di attività in convenzione (qui si trattata dell’ambito sanitario ma le considerazioni espresse sono certamente estensibili al caso in commento).  Con detta ultima pronuncia dei giudici di legittimità viene infatti sconfessata la posizione assunta dal Ministero Economia e Finanze con l’articolo 4, comma 2, D.M. 200/2012 (che riprende i concetti espressi con precedente circolare n. 2/DF/2009), che ha ritenuto sempre svolte con modalità non commerciali le attività accreditate, contrattualizzate o convenzionate con la P.A..

Tale provvedimento, infatti, afferma la Cassazione, non ha valore di legge, andando quindi al di là dei suoi poteri, posto che l’articolo 91-bis D.L. 1/2012 di cui il D.M. 200/2012 ne contiene l’attuazione, non demanda allo stesso la definizione del concetto di “modalità non commerciali” ma unicamente l’individuazione delle modalità di calcolo nei casi di utilizzazione mista di un immobile.

Riproponendo i principi espressi nella sentenza, la Cassazione afferma che rientra nella nozione di attività svolta con modalità commerciali qualunque attività organizzata per la prestazione di servizi a terzi dietro pagamento, da parte dell’utente o di altri (compreso lo Stato, le Regioni o altre Pubbliche Amministrazioni), di un corrispettivo funzionale ed adeguato alla copertura dei costi e alla remunerazione dei fattori di produzione.

Per contro, non è commerciale l’attività di prestazione di servizi che vengano offerti gratuitamente, ovvero dietro pagamento di corrispettivi o contributi meramente simbolici o comunque radicalmente inferiori a costi di produzione.

Principi che secondo la Cassazione vanno applicati anche alle attività (sanitarie) convenzionate.

E ancora la Cassazione, con la sentenza n. 28578/2020 afferma che, ai fini del riconoscimento dell’esenzione, “a fare il discrimine …..  è la retta”.

A conferma poi che l’elemento da tenere in considerazione per valutare l’esenzione è sempre e comunque la modalità di svolgimento dell’attività, è pure ritornata ad inizio 2021 la giurisprudenza di merito.

In particolare, la CTR Lazio, con la sentenza n. 9/11/2021 del 05.01.2021, sempre in tema di immobile utilizzato come sede di scuola paritaria, ha evidenziato come l’esenzione Imu spetti nel caso in cui il corrispettivo annuo per la frequenza è “significativamente inferiore rispetto al costo medio per studente pubblicato dal Miur”. Nel caso specifico, infatti, era emerso che le retta pagata dagli allievi della scuola paritaria gestita dall’ente religioso era di 1.900 euro annui, a fronte di un costo medio per studente pubblicato dal Miur ammontante ad euro 5.739,17.