La manovra 2026 cambia i presupposti temporali per la rateazione delle plusvalenze in regime d’impresa
di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365La manovra di bilancio per il 2006 non innova il criterio temporale per la rateazione delle plusvalenze realizzate per le cessioni di azienda o rami d’azienda. Esse continueranno a concorrere a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate o, se l’azienda o il ramo d’azienda è stato posseduto per un periodo non inferiore a 3 anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. Per le cessioni d’azienda, quindi, rimane il vecchio regime fiscale, che continua a raccordare il periodo di possesso alla base della rateizzazione della plusvalenza a 3 anni, sottraendolo dall’allungamento a 5 anni ora introdotto per i beni in genere.
La differenziazione del presupposto temporale rende, quindi, fondamentale la corretta individuazione delle prerogative civilistico-fiscali del bene “azienda”, le quali, come noto, non dipendono solo dall’oggettiva delineazione strutturale della universitas, ma, talora, anche dallo status soggettivo di chi la possiede. Sul piano oggettivo l’azienda va intesa in piena coesione con il suo paradigma civilistico di “complesso di beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555, c.c.). La prerogativa giuridica dell’azienda è quella di rappresentarsi come una universitas che, pur non sopprimendo l’individualità giuridica dei beni e delle varie situazioni giuridiche che con essi s’intersecano, dispone di un proprio primato di diritto, incentrato sulla configurazione di un unitario modello organizzato di beni tra loro coesi da rapporti di reciproca sinergia sul piano delle funzioni.
Il requisito dell’organizzazione costituisce la sua fondamentale peculiarità e la dinamica funzionale di tale caratteristica consiste nel reciproco sussidio di ruoli che ogni bene esprime nei confronti degli altri, attraverso l’esternazione di una complementarità di contributi operativi nell’impiego concreto dell’azienda e cioè nell’esercizio di un’impresa commerciale. In altri termini, l’identità dell’azienda non coincide con un qualsiasi amalgama di beni, ma solo con quell’aggregazione di beni nell’ambito della quale ognuno concorre con un suo specifico ruolo di funzioni al perseguimento dell’unico scopo a cui, per chiara predestinazione legislativa, l’azienda è preposta: l’esercizio di un’impresa commerciale. Per tale motivo i beni formanti l’azienda non possono taluni essere concepiti in uno stato di subordinazione verso altri, in una condizione più dimessa, di tipo pertinenziale, in quanto ognuno di essi concorre con autonomia di funzioni e con la propria specializzazione di prerogative d’uso a consentire l’ausilio strumentale dell’azienda all’esercizio dell’impresa. Non solo, quindi, non costituisce azienda un coacervo di beni non evoluto nel rappresentato modello organizzato, ma dall’azienda devono considerarsi estranei anche quei beni che non prestano alcuna coesione funzionale con gli altri.
Sotto tale profilo, in dottrina si ravvisa come appaia molto poco coerente che un capannone, pur iscritto nel bilancio del conferente/cedente, ma dato in locazione a terzi e, quindi, ausiliario dei bisogni logistici di una struttura produttiva terza, possa essere concepito come bene dell’azienda, alla luce proprio delle esposte rappresentazioni giuridico-definitorie, sulle quali appare convergere la dominate opinione dottrinale nello scrutinio civilistico/fiscale dell’azienda. Se, in base alla qualificazione civilistica dell’azienda, essa deve rappresentarsi come un “complesso organizzato di beni”, i beni ammessi a partecipare a dare concretezza all’istituto, possono essere solo quelli in ordine ai quali è intravedibile un effettivo concorso nella configurazione strutturale del modello, per cui un bene che non esprime tale utilità, pur rimanendo configurabile come un elemento del complessivo compendio patrimoniale, non appare omogeneizzabile con il concetto decisamente più qualificato di azienda. Se, quindi, unitamente a un’azienda viene ceduto anche l’esemplificato capannone con il predetto stato locativo a vantaggio di soggetti terzi, rispetto sia al cedente e sia al cessionario, ancora in itinere, ai fini del diritto a rateizzare le relative plusvalenze dovranno rinvenirsi i 2 diversi periodi di possesso:
- in ordine all’azienda un’anzianità già trascorsa di almeno 3 anni; e
- in ordine al capannone il più lungo decorso dei 5 anni.
Ora, se il bene “azienda” una volta conseguita la predetta delineazione strutturale di modello organizzato per opera dell’imprenditore può anche venire a vertere in una condizione di quiescenza d’impiego e fiscalmente raccordarsi a categorie di reddito diverse da quello d’impresa, come, ad esempio, avviene nel caso di cessione dell’azienda da parte dell’affittante ex imprenditore individuale alla scadenza del contratto di affitto (art. 67, comma 1, lett h), TUIR), va indagato se un’aggregazione di beni, per poter riassumere la connotazione di azienda, necessita che l’allestimento del modulo organizzativo debba esclusivamente avvenire sin dall’origine per opera di un imprenditore. In tal senso, sembrerebbe condurre la lettera dell’art. 2555, c.c., che raccorda il complesso di beni all’opera organizzativa dell’imprenditore e, come noto, tali prerogative civilistiche dell’azienda travasano anche nel comparto fiscale, in virtù dell’opinione del tutto comune che, mancando nella legislazione fiscale una nozione autonoma di “azienda”, essa collima con la sua configurazione civilistica.
Si tratta, quindi, di accertare se un aggregato di beni usato, ad esempio, da uno studio associato che procede a trasformarsi in una S.r.l. STP, mantiene una condizione agnostica di modulo di beni o se tale universitas si evolve in un’azienda, ammessa al regime fiscale di favore in caso di una successiva cessione. Preliminarmente si deve sottolineare che se la S.r.l. STP si dovesse uniformare al principio di diritto della Corte di Cassazione, Sezione III (sentenza n 7407/2021), a mente del quale la questione andrebbe rinvenuta nelle norme civilistiche e in particolare nell’art. 2238, c.c., perché i principi contenuti nei detti artt. 6 e 81, TUIR, sarebbero stati formulati “in un’ottica puramente soggettiva”, mentre “sul piano oggettivo il medesimo reddito andrebbe più correttamente qualificato come da lavoro autonomo”, attesa la “natura eminentemente professionale dell’attività svolta”, che, ai sensi dell’art. 53, TUIR, genera redditi di lavoro autonomo, l’aggregato di beni in esame non potrebbe evolversi in “azienda”, per la mancanza del presupposto della necessaria predestinazione legislativa di tale universitas all’esercizio di un’impresa. Tale indicazione ermeneutica della Suprema Corte, però, oltre a essere nettamente smentita dalla stessa Agenzia delle Entrate (tra le altre, risposte a interpello n. 107/E/2018, n. 125/E/2018 e n. 128/E/2018), non appare in alcun modo compatibile con il chiaro testo legislativo degli artt. 6 e 81, TUIR.
Con tali norme, il Legislatore fiscale, nel rendere ininfluente la fonte di provenienza del reddito, da ricongiungere in ogni caso alla tipicità fiscale del reddito d’impresa, non dimostra di raccordare l’opzione a “un’ottica puramente soggettiva”, ma assegna allo status soggettivo (la società a ordinamento commerciale) un plenario primato da cui deriva la prevaricazione sulla fonte di provenienza del reddito, che viene del tutto esautorata di funzioni qualificatorie, gerarchicamente scavalcata dall’unitaria categoria del reddito d’impresa. In termini più espliciti, il giudice di Cassazione non coglie la correlazione testuale che la norma prospetta tra l’indicata condizione di società a ordinamento commerciale (parametro dominante) e la fonte di provenienza del reddito (parametro dominato), che ricongiunge sempre e senza l’influenza di variabili ulteriori alla natura del reddito d’impresa.
Proprio gli artt. 6 e 81, TUIR, e la manifesta rilevanza dominante dello status della STP alla stregua di una società ad ordinamento commerciale, prospettano elementi rilevanti per lo scrutinio in esame. In altri termini, poiché fiscalmente lo status ordinamentale della società determina d’imperio l’unitaria categoria del reddito d’impresa, estromettendo dall’esame variabili di qualsiasi altra natura, può un aggregato (complesso) di beni corrispondente a un modulo organizzato con le sopra rappresentate intersezioni ausiliarie dei beni costituenti l’universitas, non acquisire la più evoluta configurazione di “azienda” a servizio dell’esercizio d’impresa della società? Può, ancora, un aggregato di beni asservito all’esercizio di un’attività d’impresa (la sola, messa in disparte la citata errata tesi della Cassazione, perseguibile da una società a ordinamento commerciale) a cui unitariamente si raccorda la natura di reddito d’impresa, non far evolvere in azienda l’aggregato di beni avente le medesime peculiarità dell’art. 2555, c.c., ossia di complesso organizzato per l’esercizio di un’impresa. La risposta, per chi scrive, appare abbastanza scontata.
L’aggregato di beni si avvicenda in azienda e non appare assumere un’importanza ostativa a tale conclusione; l’obiezione letterale possibilmente derivabile dal raccordo soggettivo dell’allestimento del modulo organizzativo ad opera dell’imprenditore, che compare nell’art. 2555, c.c., dal momento che nella definizione qualificatoria l’inciso “organizzato dall’imprenditore” ha una valenza mobile e non statica. Un complesso di beni concepito con una costante mobilità quantitativa e qualitativa di beni instaura con l’imprenditore un rapporto di “organizzazione” altrettanto mobile in vista dell’obiettivo di conseguire costantemente la massima efficienza operativa. Una volta, quindi, che l’aggregato di beni partecipa del compendio patrimoniale di una società a ordinamento commerciale, la sua organizzazione viene perseguita dalla società imprenditrice per l’esercizio di un’impresa commerciale e per il conseguimento di un reddito d’impresa. Vanno, quindi, ritenuti riscontrabili tutti i presupposti per il riscontro di un’azienda ammessa, in caso di successiva cessione all’indicato più agevolato regime fiscale di rateizzazione ex art. 86, comma 4, TUIR.


