Abitazione principale e fattispecie assimilate: le regole per il calcolo dell’IMU
di Fabio GarriniNel presente contributo viene proposto uno specifico focus in vista della prossima scadenza del saldo IMU 2025: l’obiettivo è quello di fissare le regole principali per la corretta gestione della fattispecie più frequente che ci si trova a dover gestire, ossia quella dei fabbricati impiegati come abitazione principale da parte dei relativi possessori.
Il trattamento dell’abitazione principale
Prima di tutto vale la pena ricordare quali sono le previsioni stabilite a favore dei fabbricati destinati ad abitazione principale: ai fini IMU, l’abitazione principale e le relative pertinenze risultano esentati dal versamento del tributo. A questa regola generale fanno eccezione gli immobili di lusso, ossia quelli classificati in categoria catastale A/1, A/8 e A/9, per i quali è previsto il pagamento dell’IMU con applicazione di un’aliquota ridotta e una specifica detrazione.
Per i fabbricati di lusso sono comunque previste 2 agevolazioni:
− è possibile applicare una specifica aliquota agevolata, inferiore rispetto all’aliquota ordinaria prevista per gli altri fabbricati. L’art. 1, comma 748, Legge n. 160/2019, prevede infatti:
«L’aliquota di base per l’abitazione principale classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e per le relative pertinenze è pari allo 0,5 per cento e il Comune, con deliberazione del consiglio comunale, può aumentarla di 0,1 punti percentuali o diminuirla fino all’azzeramento».
Conseguentemente, il prelievo massimo consentito su tali immobili sarà calcolato con un’aliquota dello 0,6%;
− è prevista una specifica detrazione, da scomputare dall’imposta lorda calcolata. All’abitazione principale viene riconosciuta una detrazione regolata dal successivo comma 749:
«Dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo e classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 nonché per le relative pertinenze si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro 200 rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica».
La ripartizione di tale detrazione, va rimarcato, non dipende dalle quote di titolarità di ciascun possessore sull’immobile, ma piuttosto dal numero di soggetti che destinano l’immobile ad abitazione principale.
Quindi, qualora il marito sia proprietario dell’immobile al 75% e la moglie al 25%, se entrambi adibiscono l’immobile ad abitazione principale, comunque spetterà a ciascuno dei 2 una detrazione di 100 euro.
Ovviamente, trattandosi di una detrazione, essa può portare a ridurre l’imposta sino ad azzerarla, ma non può portare a credito il contribuente; nel caso di incapienza dell’imposta (detrazione superiore all’imposta dovuta sull’abitazione), la parte eccedente può essere utilizzata per ridurre l’imposta eventualmente dovuta con riferimento alle pertinenze.
La detrazione, con la stessa modalità con cui è riconosciuto il periodo di possesso dell’immobile, viene computata per mesi interi, con riferimento ai mesi dove le condizioni richieste sono soddisfatte per almeno 15 giorni.
Quindi, se il contribuente trasferisce residenza e dimora nell’immobile il 3 ottobre, potrà beneficiare della detrazione per 3/12 del suo importo.
La definizione
Una volta fissato il trattamento dell’immobile adibito ad abitazione principale, occorre definire quale fabbricato può essere definito come tale. Di questo si occupa l’art. 1, comma 741, lett. b), Legge n. 160/2019: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel Catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente».
Tralasciamo per il momento il tema dei familiari, che sarà approfondito nel successivo paragrafo.
La norma introduce, quindi, 2 requisiti che devono essere rispettati affinché ai fini IMU l’immobile possa essere qualificato quale abitazione principale del contribuente e quindi questo possa beneficiare delle corrispondenti agevolazioni:
− il congiunto accatastamento degli immobili;
− la coincidenza tra dimora e residenza (considerando a tal fine anche il nucleo familiare).
Sono 2 requisiti che dal 2011 caratterizzano la definizione di abitazione principale e che la distinguono dalla previgente ICI: nell’esame di tali requisiti vale la pena fare un raffronto con quanto previsto per il vecchio tributo comunale, al fine di evidenziare come la definizione di abitazione principale sia davvero molto diversa rispetto al passato.
Il classamento unitario
Il primo punto da esaminare è quello relativo alle risultanze catastali dell’immobile: ai fini IMU l’agevolazione spetta solo quando vi sia il congiunto accatastamento dell’immobile adibito ad abitazione principale da parte del contribuente.
Come si ricorderà, ai fini ICI, la Cassazione aveva invece introdotto una particolare interpretazione (oltremodo discutibile a giudizio di chi scrive) del concetto catastale di abitazione principale di fatto stabilendo che, a dispetto delle risultanze catastali, ciò che rilevava era l’effettivo utilizzo che il contribuente faceva dell’immobile. La definizione di abitazione principale ai fini IMU accantona definitivamente tale interpretazione, in quanto attualmente «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel Catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare».
Conseguentemente, il contribuente che deciderà di utilizzare come unica abitazione immobili che catastalmente sono separati, non potrà considerarli entrambi abitazione principale ma, al contrario, solo per uno potrà invocare le agevolazioni, mentre l’altro dovrà scontare l’imposta come un fabbricato qualsiasi.
Questo finché egli non avrà provveduto a un accatastamento unitario: il contribuente che deciderà di utilizzare come unica abitazione immobili che catastalmente sono separati, non potrà considerarli entrambi abitazione principale ma, al contrario, solo per uno di questi potrà invocare le agevolazioni per abitazione principale (l’esenzione, ovvero l’aliquota agevolata e la detrazione per gli immobili di lusso), mentre l’altro dovrà scontare l’imposta sulla base dell’aliquota ordinaria stabilita dal Comune.
Come confermato dalla circolare n. 3/DF/2012, dalla lettura della norma emerge, innanzitutto, che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in Catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in Catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente a imposizione, ciascuna per la propria rendita. Pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione dell’esenzione e delle riduzioni IMU per questa previste; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal Comune per tali tipologie di fabbricati. Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.
Sul tema va però ricordata la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 27/E/2016, riguardante il caso di più unità immobiliari che presentano distinte titolarità e quindi non possono essere fuse: per dare evidenza negli archivi catastali dell’unione di fatto ai fini fiscali delle eventuali diverse porzioni autonomamente censite, è necessario presentare 2 distinte dichiarazioni di variazione, relative a ciascuna delle menzionate porzioni. Malgrado la norma IMU sia piuttosto secca nel richiedere che l’immobile sia catastalmente unito, la descritta procedura rende equivalente la situazione a una fusione, almeno sotto il profilo fiscale. Pertanto, qualora i contribuenti si trovassero con 2 porzioni di immobile con diverse titolarità, al fine di poter beneficiare dell’esenzione IMU su entrambe le porzioni di fabbricato, è necessario che si attivino secondo le indicazioni descritte.
Residenza e dimora
Anche con riferimento al secondo requisito vi sono delle caratteristiche ben precise da rimarcare.
Mentre ai fini ICI, il trattamento agevolato per l’abitazione principale era riconosciuto a favore dell’immobile nel quale il contribuente aveva stabilito la propria dimora abituale (la residenza anagrafica era relegata a semplice parametro presuntivo della dimora abituale), ai fini IMU viene invece richiesto il duplice requisito della dimora abituale e della residenza anagrafica nell’immobile per il quale si invocano le agevolazioni.
Prescindendo dalla regolarità anagrafica della situazione, nei fatti ai fini ICI il contribuente poteva avere residenza e dimora abituale in 2 luoghi diversi e, dimostrando in quale immobile avesse stabilito la sua dimora, poteva beneficiare delle agevolazioni ICI su di esso. Si pensi al contribuente con casa a Milano che acquistava un’abitazione a Forte dei Marmi (divenendo quindi proprietario di 2 abitazioni): malgrado avesse deciso di trasferire la residenza a Forte dei Marmi, se avesse dimostrato di dimorare a Milano avrebbe potuto considerare esente dall’ICI l’abitazione di Milano. Il che ovviamente prestava il fianco a manovre elusive, oltre che creare non poca confusione in sede di verifica del tributo.
Tale situazione è del tutto superata: ai fini IMU viene espressamente stabilito che può considerarsi abitazione principale solo l’immobile nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Pertanto, nel caso descritto riguardante il contribuente che ha stabilito la residenza in altro immobile successivamente acquistato, ci si troverebbe nella particolare situazione in cui nessuno dei 2 immobili potrebbe beneficiare delle agevolazioni previste per l’abitazione principale e il contribuente dovrebbe su entrambi scontare la tassazione ordinaria.
Sul punto (diversità del presupposto anagrafico IMU rispetto all’ICI) consta una chiara indicazione della Cassazione nell’ord. n. 4166/2020, ribadita nella più recente sent. n. 826/2023:
«In tema di IMU, l’esenzione prevista per la casa principale dall’articolo 13 comma 2 del D. L. n. 201 del 2011 richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente».
I familiari del possessore
Sotto il profilo della coincidenza tra dimora e residenza, è (o, per meglio dire, era) presente un vincolo che ha pesantemente complicato le cose, introducendo una specifica previsione che subordinava il requisito della qualificazione dell’abitazione principale alla residenza e alla dimora del nucleo familiare del contribuente.
Tale requisito è stato oggetto di pronuncia da parte della Corte Costituzionale (sent. n. 209/2022); per ben valutare la portata di tale intervento è necessario ripercorrere l’evoluzione di tale previsione.
Con l’entrata in vigore dell’IMU, in relazione al requisito anagrafico, viene introdotta una regola specifica: l’abitazione principale del contribuente era quella nella quale il contribuente:
«[…] e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile».
Il primo punto da segnalare è quindi il fatto che l’abitazione poteva considerarsi principale se il contribuente risiedeva e dimorava insieme al proprio nucleo familiare.
In base a tale norma, nel caso in cui il contribuente risiedeva e dimorava in un immobile diverso da quello in cui risiedeva e dimorava il coniuge, entrambi avrebbero finito per perdere le agevolazioni per abitazione principale. Il secondo periodo però interveniva in maniera forse troppo sibillina stabilendo comunque che nel Comune le agevolazioni potevano essere beneficiate solo per un immobile. Ma questa previsione offriva spazio a diverse interpretazioni: doveva interpretarsi come una specificazione del periodo precedente, oppure essa ne costituiva una deroga?
L’interpretazione sul punto da parte della circolare n. 3/DF/2012, limitava l’applicazione del vincolo al nucleo familiare nel solo caso di immobili ubicati nello stesso Comune, mentre se gli immobili erano ubicati sul territorio di diversi Comuni tale previsione non sarebbe risultata operativa, con la conseguenza che ciascun coniuge per la verifica della spettanza delle agevolazioni doveva valutare solo la propria posizione.
Sul tema era però intervenuta la Cassazione (sent. n. 20130/2020, n. 2194/2021 e n. 17408/2021) portando una interpretazione più letterale della disposizione: quando i coniugi dimorano e risiedono in immobili diversi si sarebbe dovuta considerare non applicabile l’esenzione. Il fatto che le 2 abitazioni fossero ubicate nel medesimo Comune, come detto, risultava una deroga che permetteva, almeno in relazione a una delle 2 abitazioni, di ottenere l’esenzione.
Tale impostazione è stata del tutto stravolta dalla sent. n. 209/2022, Corte Costituzionale, che ha pronunciato la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione in commento nella parte in cui vincola l’esenzione alla verifica delle risultanze anagrafiche del coniuge: tale vincolo, osservano i giudici, porterebbe un ingiusto danno ai contribuenti coniugati, con questo contravvenendo in particolare all’art. 31, Cost. (oltre agli artt. 3 e 53), che pone la tutela della famiglia alla base del nostro ordinamento giuridico.
Pertanto, ciascun contribuente deve considerarsi libero di scegliere il proprio domicilio e fissare la propria residenza anche in maniera divergente rispetto al coniuge, concordando con questo il miglior modo per la gestione degli interessi affettivi ed economici della famiglia. Se tali interessi portano a utilizzare 2 diverse abitazioni, entrambe potenzialmente possono essere esentate.
A seguito di tale intervento, la formulazione della norma di esenzione IMU per abitazione principale deve intendersi la seguente: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel Catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».
Quindi, scompare ogni riferimento al nucleo familiare.
Nella sentenza i giudici però ci tengono a specificare che tale nuova posizione non determina, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile possano usufruire dell’esenzione: ove i coniugi abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta.
La sentenza elimina l’automatismo e responsabilizza i Comuni e le altre Autorità preposte a effettuare adeguati controlli.
Le pertinenze
Con il passaggio all’IMU, si deve segnalare una importante modifica relativamente alla definizione di pertinenza.
Come avveniva ai fini ICI, anche nell’IMU il trattamento previsto per l’abitazione principale è esteso alle relative pertinenze (esenzione, ovvero aliquota ridotta se l’abitazione principale è qualificabile come di lusso), ma il criterio per l’individuazione di queste è variato.
Oggi è, infatti, previsto quanto segue: «per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in Catasto unitamente all’unità a uso abitativo».
I contribuenti possono quindi computare le agevolazioni solo per immobili pertinenziali censiti in determinate categorie catastali, nonché in numero limitato.
Si badi bene che la norma non prevede la possibilità, in generale, di computare genericamente 3 pertinenze tra quelle indicate, ma invece esattamente una per ciascuna delle categorie catastali individuate: questo sta a significare che, se il contribuente ha un C/2, un C/6 e un C/7, si avrà la possibilità di considerarle tutte e 3 pertinenze. Al contrario, se possiede 3 C/6, solo uno di questi sarà considerato pertinenza, mentre gli altri 2 saranno trattati con aliquota ordinaria.
A complicare (non poco) le cose, si deve segnalare la locuzione con la quale il Legislatore ha chiuso la disposizione in commento: «anche se iscritte in Catasto unitamente all’unità a uso abitativo».
Quindi, nella verifica delle pertinenze occorre controllare che non ve ne sia qualcuna inglobata nell’abitazione principale, nel senso che abitazione e pertinenza risultano accatastate congiuntamente e sono rappresentate da un unico identificativo catastale e un’unica rendita.
Se, però, la cantina risulta iscritta congiuntamente all’abitazione principale, il contribuente deve applicare le agevolazioni previste per tale fattispecie solo ad altre 2 pertinenze di categoria catastale diversa da C/2, poiché in quest’ultima rientrerebbe la cantina iscritta in Catasto congiuntamente all’abitazione principale. Le eventuali ulteriori pertinenze sono assoggettate all’aliquota ordinaria.
Le assimilazioni all’abitazione principale
Il trattamento previsto per l’abitazione principale è esteso anche a fattispecie diverse: l’art. 1, comma 740, Legge n. 160/2019, precisa come gli immobili assimilati, al pari dell’abitazione principale, non sono soggetti a IMU.
Le assimilazioni si differenziano tra assimilazioni facoltative (nel senso che sono i singoli Comuni a decidere se introdurle nei propri regolamenti, anche se in effetti si tratta di fattispecie molto frequentemente verificabili nella prassi) e assimilazioni obbligatorie (ossia quelle previste ex lege, che nessun Comune può eliminare).
Assimilazioni obbligatorie
Si devono considerare alla stessa stregua delle abitazioni principali (quindi con il riconoscimento dell’esenzione) i seguenti immobili elencati nell’art. 1, comma 742, lett. c), Legge n. 160/2019:
− cooperative edilizie a proprietà indivisa: i punti 1 e 2 sono dedicati alle cooperative a proprietà indivisa e stabilisce che sono esenti:
«1) le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari;
2) le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche in assenza di residenza anagrafica».
In questo caso, il soggetto passivo (che fruisce dell’esenzione) è la cooperativa, mentre nulla è invece dovuto dal socio;
− alloggi sociali: sono altresì assimilate alle abitazioni principali:
«3) i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal Decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008, adibiti ad abitazione principale».
Con la risoluzione n. 2/DF/2023, il MEF è intervenuto per dare indicazioni operative per l’applicazione di tale forma di esenzione. Il chiarimento centrale contenuto nel documento di prassi in commento riguarda la gestione della fase di preassegnazione, quella nella quale l’immobile è temporaneamente inutilizzato a causa degli adempimenti amministrativi necessari all’assegnazione dell’immobile. La circolare n. 1/DF/2020, chiarì come la fattispecie degli alloggi sociali si distingue da quella degli alloggi regolarmente assegnati dagli IACP o dagli ERP, per i quali, a norma dell’art. 1, comma 749, Legge n. 160/2019, è prevista l’applicazione della detrazione di 200 euro e dell’aliquota ordinaria. Eventualmente, per questi ultimi, il Comune potrebbe anche prevedere l’applicazione di una specifica aliquota ridotta. Come detto, invece, è esclusa l’esenzione;
− coniugi separati: è considerata abitazione principale e quindi fruisce dell’esenzione:
«4) la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli, a seguito di provvedimento del giudice che costituisce altresì, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario stesso».
Sul punto si ricorda che per tale immobile la soggettività passiva è posta a carico del coniuge assegnatario e quindi egli è tenuto all’intero obbligo di versamento dell’IMU; tale soggetto, comunque nulla pagherà in quanto esente quale abitazione principale;
− personale forze armate: infine, l’esenzione spetta per:
«5) un solo immobile, iscritto o iscrivibile nel Catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, posseduto e non concesso in locazione dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia a ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 28, comma 1, del Decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica».
Assimilazioni facoltative
L’ultimo punto dell’elencazione delle assimilazioni (ossia il punto 6) stabilisce quanto segue: «su decisione del singolo comune, l’unità immobiliare posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata. In caso di più unità immobiliari, la predetta agevolazione può essere applicata a una sola unità immobiliare».
Da notare come, mentre nella disciplina previgente si facesse riferimento ai soli diritti di “proprietà e usufrutto”, oggi il riferimento è a un più generale “possesso” ricomprendendo quindi anche gli altri diritti reali, in particolare il diritto di abitazione: questo significa che qualora il coniuge superstite dovesse trasferirsi nell’istituto di ricovero, potrebbe beneficiare di tale assimilazione (e quindi dell’esenzione dal pagamento dell’IMU).
Come affermato dal MEF durante Telefisco 2020, il Comune non può applicare tale disposizione restringendone al contempo l’ambito applicativo attraverso la previsione di requisiti ulteriori: secondo il MEF, infatti, il Legislatore rimette all’autonomia dell’ente esclusivamente la scelta circa l’applicazione o meno di tale disposizione nell’ambito del proprio regolamento, alle condizioni però prescritte nella stessa.
Peraltro, per lo stesso motivo poiché la norma non richiede che tale immobile precedentemente al ricovero fosse utilizzato come abitazione principale, tale vincolo non può essere neppure introdotto dal Comune stabilendo nel proprio regolamento tale forma di assimilazione.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.


