Principio di omnicomprensività e indennità percepite dal socio di studio associato
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Nel corso della giornata del Master Breve dedicata all’analisi del reddito da lavoro autonomo, ha avuto un notevole risalto il tema del principio di omnicomprensività; principio in forza del quale tutte le somme o i valori in natura percepiti dal lavoratore autonomo, in relazione all’esercizio di attività artistica o professionale, rientrano nel perimetro del reddito da lavoro autonomo. È probabilmente la novità più rilevante dell’intera Riforma attuata con il D.Lgs. n. 192/2024, nel senso che siamo passati da una formulazione per così dire “chirurgica” del reddito da lavoro autonomo (è reddito il compenso, quindi aspetto legato inscindibilmente alla prestazione intellettuale) a una versione che, invece, in modo molto più ampio, fa ricomprendere nel perimetro di questa categoria reddituale tutto ciò che viene incassato, purché sia “in relazione” all’attività professionale esercitata, anche se non si tratta di compenso.
In questo contesto, emerge il tema delle indennità che il professionista percepisce in quanto tale e che, pur non rappresentando certamente un compenso, tuttavia sono inequivocabilmente incassate “in relazione” all’attività artistica o professionale esercitata. Il tema, nel passato, era risolto con l’evocazione del reddito sostitutivo (art. 6, TUIR) che viene attratto a tassazione con le stesse regole del reddito sostituito. Alcune Casse previdenziali di categoria (ad esempio, quella degli Psicologi Enpap) citano esplicitamente, nel proprio sito, il fatto che il reddito erogato è sostitutivo di quello professionale e, quindi, assoggettato a ritenuta d’acconto con aliquota del 20%, tranne che non si tratti di una somma spettante a un professionista forfettario, nel qual caso è possibile fare istanza per evitare l’applicazione di ritenuta da parte dell’Ente previdenziale.
Va, altresì, ricordato che, per i soggetti forfettari l’indennità in parola non concorre a formare il volume di compensi soglia (85.000 euro) superato il quale si deve abbandonare il regime agevolato. Si tratta, quindi, di un reddito che va inserito nel quadro LM del modello Redditi, ma che non concorre alla determinazione del tetto soglia (almeno così si espresse la circolare n. 17/E/2012, par. 6.1.1)
Ma tornando alla tematica del principio di omnicomprensività, l’indennità in questione è certamente una somma incassata dal professionista in relazione all’attività esercitata; quindi, non è più necessario ricorrere alla definizione di reddito sostitutivo per affermarne l’imponibilità come reddito da lavoro autonomo: il principio di omnicomprensività attrae all’art. 54, TUIR, anche queste somme.
Il tema della tassazione, tuttavia, si complica quando la professionista avente diritto non svolge l’attività in forma individuale, bensì in forma associata. Pensiamo a uno studio associato formato da 2 professionisti che partecipano agli utili al 50% ciascuno: l’indennità spetta solo alla socia in maternità, ma non è affatto scontato che quest’ultima detenga una propria partita IVA e che quindi rediga, oltre al quadro RH, anche il quadro RE, nel quale collocare il provento in questione. Quindi, come agire in questa fattispecie? Del resto, il problema si pone in termini più ampi per tutte quelle somme che sono destinate a un singolo professionista; somme che devono essere inserite sì nel reddito da lavoro autonomo, ma che non devono essere imputate all’altro socio. Infatti, sarebbe iniquo, oltre che scorretto sul piano sostanziale, che un socio vedesse imputato per trasparenza un reddito che non ha percepito e sul quale sia tenuto a versare imposte. Pertanto, la soluzione d’imputare il reddito allo studio associato non appare soddisfacente.
Certo, si potrebbe considerare che tale reddito vada a compensare (per l’ente collettivo) la mancata presenza del socio professionista, ma resta il punto che la Cassa di previdenza consegna al singolo socio le somme in questione e quest’ultimo non è obbligato a trasferirle allo studio associato.
A ben vedere, il problema si è posto anche nel passato, in termini simili, nell’ambito delle società personali, le cui socie siano iscritte alle Gestioni mutualistiche dell’INPS (artigiani/commercianti), potendo, quindi, percepire le indennità in questione. Il tema ha trovato una soluzione tramite un interpello della DRE Veneto, datato 16 gennaio 2003, nel quale è stata proposta la seguente soluzione:
- indennità è reddito partecipativo d’impresa o lavoro autonomo a seconda dei casi:
- va dichiarato solo dal soggetto percipiente;
- la procedura dichiarativa si estrinseca nella compilazione di un quadro RH, nel quale il socio dichiari di essere destinatario di un reddito proveniente da un Istituto Previdenziale, indicando, quindi, quale codice fiscale del soggetto erogante (che sarebbe la società di persone in normali condizioni) il codice dello stesso Ente previdenziale, segnalando una partecipazione al 100%.
Questa procedura, benché sia una forzatura evidente, assicura, tuttavia, un corretto inquadramento fiscale del reddito prodotto e sarebbe opportuno che l’Agenzia delle Entrate ufficializzasse la correttezza della proposta della DRE Veneto. Del resto, le istruzioni alla compilazione del quadro RH portano a questa conclusione, laddove affermano: «… Vanno altresì indicati in questo quadro i proventi conseguiti in sostituzione dei redditi prodotti in forma associata e le indennità conseguite, anche in forme assicurative, a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di detti redditi, salvo che per le indennità relative a redditi prodotti in più anni, per le quali è prevista la tassazione separata, con esclusione dei danni dipendenti da invalidità permanenti o da morte di cui all’articolo 6, comma 2, del Tuir».
La procedura qui descritta può certamente essere trasferita al reddito partecipativo da lavoro autonomo e rappresenta la soluzione più coerente per tener conto del principio di omnicomprensività che caratterizza, dal 2024, questa categoria reddituale.


