L’imprenditore agricolo cinofilo – Parte II
di Luigi ScappiniL’allevamento di cani, meglio noto come attività cinotecnica, viene disciplinata dalla Legge n. 349/1993, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 213 del 10 settembre 1993, il cui art. 1, la definisce come quell’attività volta all’allevamento, alla selezione e all’addestramento delle razze canine.
Nel momento in cui tale l’allevamento viene svolto in maniera continuativa e professionale, esso diventa attività imprenditoriale, inquadrabile come agricola a condizione, come precisato dal successivo art. 2, «quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto».
A tal fine, tuttavia, è necessario rispettare i parametri individuati con il Decreto 28 gennaio 1994, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 1994, il cui articolo unico stabilisce che «Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a cinque fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta unità».
Da un punto di vista reddituale, tuttavia, come noto, per effetto delle modifiche apportate dalla Legge n. 662/1996, è necessario distinguere tra, da un lato, ditta individuale, società semplice ed ente non commerciale e, dall’altro, S.n.c., S.a.s. e le società di capitali.
Il primo gruppo determina, per natura, al rispetto dei requisiti richiesti un reddito agrario, mentre il secondo gruppo produce sempre un reddito di impresa.
L’art. 32, comma 1, TUIR, stabilisce che «Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio delle attività agricole di cui all’ articolo 2135 del codice civile».
Tuttavia, non tutte le attività civilisticamente agricole sono produttive di un reddito agrario, infatti, il successivo comma 2, definisce quali sono le attività agricole produttive di un reddito agrario e, tra di esse vi è, seppur con una limitazione, anche l’allevamento di animali.
L’art. 32, comma 2, lett. b), TUIR, considera produttiva di reddito agrario l’attività consistente nell’allevamento di animali, a condizione che avvenga «con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno».
A tal fine, il successivo comma 3 prevede che «Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, è stabilito per ciascuna specie animale il numero dei capi che rientra nei limiti di cui alla lettera b) del comma 2, tenuto conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a seconda della specie allevata».
L’ultimo Decreto cui fare riferimento è quello del 15 marzo 2019, la cui Tabella 3 contiene le tipologie di animali il cui allevamento, consistente, lo ricordiamo, nella cura e sviluppo del ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso, è produttivo di un reddito agrario al rispetto del parametro introdotto dalla lett. b) richiamata.
Tra di essi vi sono, a decorrere dal D.M. 20 aprile 2006, anche i cani.
Ne deriva che l’imprenditore individuale che esercita un’attività cinofila con almeno 5 fattrici che garantiscano la nascita di almeno 30 cuccioli su base annua, produce un reddito agrario a condizione che abbia, in proprietà o in forza di un contratto di affitto o di comodato, terreni sufficienti a potenzialmente garantire ¼ del mangime necessario.
In caso di superamento dei capi allevati rispetto alla “capienza” dei terreni posseduti o condotti in forza di un contratto di affitto o di comodato, nel caso di ditta individuale come di società semplice o ente non commerciale, i capi eccedenti producono un reddito forfettizzato, ai sensi del successivo art. 56, comma 5, TUIR, mentre gli altri soggetti continueranno a produrre un reddito di impresa.
Inoltre, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 18-bis, D.P.R. n. 600/1973, deve essere tenuto il c.d. registro di carico-scarico degli animali; infatti, è previsto che «I soggetti i quali, fuori dell’ipotesi di cui all’art. 28 (ora 32), lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, svolgono attività di allevamento di animali devono tenere un registro cronologico di carico e scarico degli animali allevati, distintamente per specie e ciclo di allevamento, con l’indicazione degli incrementi e decrementi verificatisi per qualsiasi causa nel periodo d’imposta».
Ai fini IVA, l’allevatore di cani applicherà sempre le regole ordinarie, in quanto non soddisfa il requisito oggettivo consistente nella cessione di prodotti agricoli e ittici compresi nella Prima parte dell’allegata Tabella A.


