Le novità in materia di operazioni straordinarie nel Decreto n. 84/2025
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Le operazioni straordinarie neutrali, quindi fusioni, scissioni e conferimenti di azienda, sono state oggetto di un intervento succinto, ma certamente denso di significato, da parte del D.L. n. 84/2025. Ma l’interesse del Decreto per queste operazioni non si ferma al tema del ripensamento della disciplina del trasferimento delle perdite. Esso, infatti, tocca anche l’ambito delle aggregazioni professionali, recentemente inserite nel nostro ordinamento tramite l’art. 177-bis, TUIR. In tale comparto restava un forte dubbio in tema di potenziale carattere di abuso del diritto, elemento che avrebbe frenato non poco il realizzo di dette operazioni. Tale dubbio viene fugato con l’inserimento del comma 4-bis, al citato art. 177-bis.
La trasferibilità delle perdite nei conferimenti di azienda
Nell’art. 2, D.L. n. 84/2025 vi è una nuova previsione normativa che riguarda il conferimento d’azienda. Infatti, viene aggiunto un comma 5-bis, all’art. 176, TUIR, che letteralmente recita: «Alla società conferitaria si applicano le disposizioni di cui all’articolo 173, comma 10, riferendosi alla stessa le disposizioni riguardanti la società beneficiaria della scissione e avendo riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio chiuso anteriormente alla data di efficacia del conferimento».
Viene sostanzialmente equiparata la posizione della società conferitaria a quella della società beneficiaria, con una equazione che, a parere di chi scrive, attesta quanto sia sbagliato il proposito normativo e quanto maldestro sia il modo con cui è attuato.
È noto che quando si parla di operazioni straordinarie neutrali, il pensiero corre subito alle 3 più utilizzate nella prassi operativa: fusione, scissione e conferimento di azienda. Ma, mentre sul piano fiscale è legittimo accomunare queste operazioni, sul piano civilistico siamo di fronte a negozi giuridici molto diversi tra loro, la cui commistione porta a risultati poco razionali.
Il punto di partenza non può che essere porsi la seguente domanda: conferimento (di azienda) e scissione societaria sono operazione analoghe sul piano civilistico, cioè sul piano della natura giuridica sottostante?
Vero è che sul conferimento di azienda (ma diciamo sul conferimento in generale) il Codice civile non risulta particolarmente ricco di contenuti, ma non vi è dubbio che il contratto abbia natura realizzativa (mentre sul piano fiscale si può pensare come una operazione con valenza associativa)[1].
Vi è chi lo assimila al contratto di compravendita, dal quale si distinguerebbe solo per la particolare modalità di corresponsione del corrispettivo che non avviene in denaro bensì permutando l’azienda con la partecipazione. In questa direzione va, peraltro, il rimando all’art. 2254, c.c., il quale prevede che le medesime garanzie poste a tutela dell’acquirente circa i vizi della cosa compravenduta sono poste a tutela anche del conferitario. Inoltre, in una sentenza della Corte di Cassazione (n. 9523/2001), si è ritenuta applicabile anche al conferimento l’azione revocatoria fallimentare che di regola trae impulso dai contatti di compravendita.
Per contro fusione e scissione, per la dottrina maggioritaria, darebbero luogo a una successione universale, e cioè a: «sottentrare d’un soggetto ad un altro nella titolarità di tutte le situazioni giuridiche facenti capo a questo, col carattere dell’unicità del titolo dell’acquisto e dell’identità fra la posizione dell’autore e quella del successore».
È indubbio che in nessuna delle operazioni societarie in oggetto si ha il realizzo di plusvalenze o minusvalenze, ma una cosa è porre in essere un contratto realizzativo, altro è porre in essere una operazione che si presenta come una successione universale.
La distinzione trova una sua plastica dimostrazione nel testo normativo degli artt. 176, comma 1, TUIR (da una parte) e 172-173, TUIR (dall’altra). Nel conferimento di azienda l’art. 176, comma 1, afferma che il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda. Come si può notare, in nessun caso è citato un “subentro generalizzato” nelle posizioni del patrimonio netto, posta che invece resta ancorata alla sfera del conferente. Diversamente, nella fusione, e soprattutto per quanto qui interessa nella scissione, il subentro è totale e comprende anche la frazione di patrimonio netto trasferito.
Da qui la domanda: come è possibile in una operazione realizzativa (pur se solo ai fini civilistici) quale è il conferimento di azienda trasferire poste di patrimonio netto, per le quali il soggetto avente causa (conferitaria) non opera alcun subentro?
Invece, con l’inserimento del nuovo comma 5-bis, nell’art. 176, il Legislatore del D.L. n. 84/2025, tenta (senza riuscirci a parere di chi scrive) di evitare di cadere in una contraddizione evidente, cioè affermare una cosa e il suo contrario, il che accade in 2 commi ravvicinati collocati nello stesso articolo, appunto, il 176, TUIR. Infatti, al comma 1 (non modificato) si continua a dire che la conferitaria subentra nelle sole poste dell’attivo e del passivo dell’azienda conferita, mentre nel comma 5-bis, si afferma che la conferitaria subentra, sostanzialmente, anche nelle poste del netto, intestandosi perdite fiscali che sarebbero legittimamente trasferibili solo di fronte a una operazione di successione universale (quale non è il conferimento di azienda).
Con il più volte citato nuovo comma 5-bis, la conferitaria vedrà trasferite le perdite, con le regole e le condizioni poste nell’art. 172, commi 7 (7-bis e 7-ter), avendo riguardo al fatto che come limite del patrimonio netto si deve assumere quello che emerge dall’ultimo patrimonio netto della conferente risultante dall’ultimo bilancio approvato prima del conferimento. Dal testo molto succinto del citato comma 5-bis, nemmeno emerge se sia possibile utilizzare quale tetto il valore economico del netto patrimoniale come parrebbe di poter dire, una volta accettata la logica distorta dell’intervento del D.L. n. 84/2025.
Nemmeno è chiaro, a chi scrive, se il trasferimento della perdita fiscale giacente in capo alla conferente avverrà per la sua totalità, o solo in proporzione al patrimonio trasferito sul patrimonio netto contabile totale della società conferente. La possibile analogia con la fiscalità della scissione con scorporo (art. 173, comma 15-ter, TUIR) potrebbe dare un aiuto in tal senso. In questa ultima operazione, ai fini dell’art. 173, comma 4, TUIR (trasferimento delle posizioni soggettive), si afferma la necessità di calcolare il patrimonio netto contabile trasferito in percentuale rispetto al patrimonio totale della scindenda, il che, sempre nella scissione con scorporo, porta alla conclusione che solo una quota di perdita viene trasferita.
Non si può non osservare che anche la scelta del citato comma 15-ter, in materia di trasferimento delle perdite fiscali nella scissione con scorporo, ha destato qualche perplessità posto che in questa operazione (dal punto di vista della scissa) non vi è una attribuzione di patrimonio netto ma solo la permutazione di beni di I grado in beni di II grado, quindi, una scelta normativa di non trasferire affatto le perdite sarebbe stata probabilmente più corretta. Ma in ogni caso la scissione con scorporo è pur sempre una scissione, mentre il conferimento è altra cosa. In ogni caso non resta che concludere che sul piano strettamente operativo, la analogia contabile tra scissione con scorporo e conferimento di azienda potrebbe essere di aiuto per decifrare le non condivisibili e anche un po’ confuse scelte normative del D.L. n. 84/2025.
La trasferibilità delle perdite nelle fusioni e nelle scissioni
Il D.L. n. 84/2025, all’art. 2, comma 1, lett. b), ha introdotto l’ennesima modifica all’art 172, comma 7, TUIR, sostituendo le parole «ridotto di un importo pari al prodotto tra la somma dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data di efficacia della fusione ai sensi dell’art. 2504-bis del cod. civ. e il rapporto tra lo stesso valore economico (risultante da una relazione giurata di stima) e il valore del patrimonio netto contabile» con le parole «ridotto di un importo pari al doppio della somma dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data di efficacia della fusione ai sensi dell’art. 2504-bis del cod. civ.».
Con tale modifica viene semplificato il calcolo (prima privo di senso), ma si continua a rinvenire una mancanza di logica sottesa all’effetto diminutivo che la norma procura al valore economico dell’azienda o comunque del patrimonio delle società partecipi delle operazioni di fusione e scissione, come nel proseguo si cercherà di esplicitare.
ESEMPIO 1
Somma dei conferimenti e dei versamenti effettuati negli ultimi 24 mesi: 1.000 euro.
Patrimonio netto contabile: 8.000 euro.
Valore economico dell’azienda: 12.000 euro.
Ante Decreto:
– rapporto tra valore economico e patrimonio netto contabile: 12.000 : 8.000 = 1,5;
– prodotto tra la somma degli apporti e la risultanza dell’indicato rapporto: 1.000 x 1,5 = 1.500;
– risultato netto: 12.000 – 1.500 = 10.500.
Post Decreto:
– doppio della somma degli apporti effettuati negli ultimi 24 mesi: 1.000 x 2 = 2.000;
– risultato netto: 12.000 – 2.000 = 10.000.
Come noto, fino all’anno 1986, il D.P.R. n. 598/1973, all’art 16, limitava le prescrizioni al testo: «La società risultante dalla fusione o incorporante subentra in tutti gli obblighi e i diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi», prevedendo, quindi, un subentro successorio plenario della incorporante in tutte le situazioni fiscalmente maturate nei confronti delle società aggregate. Il diritto al subentro nelle perdite era illimitato indipendentemente se esse fossero sintomatiche di società imprenditorialmente inaridite e patrimonialmente svuotate, oppure di temporanea flessione reddituale dei cicli imprenditoriali comunque raccordati a strutture produttive ancora efficienti. Tale piena libertà di compensazione con le perdite delle società fuse/incorporate aveva favorito il commercio delle c.d. bare fiscali il cui unico asset appetibile era proprio rappresentato dal riporto delle perdite come era dato rinvenire nella Relazione di accompagnamento allo schema del D.L. n. 277/1986, dove testualmente si evidenziava: «tale assetto normativo consentiva fenomeni di rincorsa e quasi di incetta di società in perdita, con perdite che superano, spesso anche di molto, il patrimonio netto della società fusa o incorporata, al fine di diminuire se non di annullare il reddito imponibile di società incorporanti aventi redditi particolarmente elevati e dando così luogo a vistose forme di elusione delle imposte…».
La necessità di riportare la fusione al suo originario scopo e cioè a una concentrazione di strutture produttive foriera di un potenziamento di efficienza nelle dinamiche di mercato, si è risolta, dal punto di vista normativo, con l’art. 1, D.L. n. 277/1986, con cui venne previsto il limite di riporto delle perdite da parte della incorporante in misura non superiore all’ammontare del patrimonio netto contabile della fusa/incorporata (misura che veniva ritenuta almeno idonea a eliminare gli aspetti patologici e di dubbio fondamento giuridico della fusione). Sono poi susseguiti altri aggiustamenti normativi sino all’odierna versione letterale. Le modifiche più recenti sono la conseguenza di una meditazione dottrinale che già da tempo remoto aveva prospettato grosse perplessità sull’effettiva portata informativa del patrimonio netto contabile. Quest’ultimo, pur costituendo un parametro di confronto oggettivo di semplice uso, non appariva nella condizione di rappresentare la vera ricchezza posseduta dalla società, dal momento che trascurava tutte le plusvalenze occulte e non informava di possibili intangible che avrebbero potuto rivelarsi di strategica importanza per il ciclo imprenditoriale della società. L’introduzione del valore economico razionalizza il parametro di riferimento, ma rimane non logica la decurtazione del medesimo (ora) del doppio dei conferimenti e dei versamenti effettuati negli ultimi 24 mesi.
Con l’attuale riferimento al valore economico si è passati da una grandezza di ricchezza meramente nominale a una grandezza di ricchezza effettiva della società, volturando definitivamente il suo originario raccordo causale con l’apporto in denaro o in natura. Essa si è ormai ricongiunta alla potenziale redditività che la società è in grado effettivamente di conseguire per far fronte alle perdite pregresse. Il valore economico dell’azienda, anche se per essere conseguito assume a fonte d’innesco la ricchezza nominale della società, non s’interseca con quest’ultima attraverso un mero rapporto permutativo di valori del tutto interscambiabili. Il loro rapporto è di evoluzione e non di mera sostituzione, nel senso che l’apporto nominale di patrimonio costituisce solo la premessa per il conseguimento di una ricchezza nuova e qualitativamente del tutto diversa: statica e meramente numeraria la prima, dinamica e stimata la seconda. Una sorta di fenomeno di volturazione del tutto eterogeneo sul piano della sostanza. Non, quindi, di tipo meramente successorio, ma di sostanziale modifica delle prerogative non più comparabili.
Proprio la rappresentata incomparabilità rende irrazionale l’effetto diminutivo che la norma provoca con la previsione della nettizzazione algebrica del doppio degli apporti e versamenti sopravvenuti negli ultimi 24 mesi. Tale saldo algebrico è del tutto inconciliabile proprio con lo scopo che si prefigge la norma, che è quello di avvicendare un valore numerario poco incline a rappresentare la propositività imprenditoriale e di redditività della società con il suo valore economico. Non si tratta di un correttivo, quindi, che riesca a prospettare una forma di avversione a una generica immissione patrimoniale solo perseguita per dilatare il parametro numerario di confronto con l’ammontare delle perdite riportabili, ma di una menomazione a un vero indice di forza economica convertibile in autentico valore reddituale. In conclusione, un conto è un apporto il cui esito d’incastro con la residua consistenza di fattori produttivi e la commisurazione di aumento dell’efficienza dell’azione di mercato è ancora tutto da verificare, e un conto è un’efficienza imprenditoriale già manifestatasi e determinata attraverso commisurazioni peritali rispondenti a scienza aziendalistica. Anche se all’incremento di valore dell’azienda si fosse resa partecipe l’immissione di nuovo patrimonio negli ultimi 24 mesi, essa, come già sopra rappresentato, non verte più in una condizione statica di mero approvvigionamento di risorse sociali, essendosi commutato in una nuova e tangibile maggiore efficienza produttiva e di redditività che non ha alcun motivo logico di essere falcidiata.
Trasferimento delle perdite nei gruppi di imprese
Con l’introduzione dell’art. 177-ter, TUIR, il D.Lgs. n. 192/2024, attua un principio espresso nella Legge delega: una disciplina di favore per la circolazione delle perdite a seguito di operazioni straordinarie neutrali eseguite all’interno del gruppo societario. Infatti, è di tutta evidenza che un conto è compensare con modalità intersoggettiva perdite fiscali prodotte da soggetti terzi, altro è se quelle perdite derivano da società appartenenti al medesimo gruppo societario. Le esigenze di contrasto al commercio di bare fiscali vengono meno se tale circolazione si realizza all’interno del gruppo societario. Già la scelta del consolidato fiscale di cui all’art. 117, TUIR, va nella direzione di rimuovere i vincoli alla circolazione delle perdite, e così anche in assenza di tale scelta le perdite prodotte all’interno del gruppo societario vengono di fatto liberalizzate. Resta qualche disallineamento tra consolidato fiscale e circolazione delle perdite all’interno del gruppo, nel senso che, come nota la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 192/2024, nel consolidato le perdite possono circolare anche se cambia la soggettività delle società che le hanno prodotte mentre questa apertura non è prevista nell’art. 177-ter, né si è previsto che ciò dovesse avvenire con il D.M. attuativo pubblicato dal MEF in data 26 giugno 2025. In tale Decreto emerge che per le perdite generate ante 2024 non si possa operare la compensazione “libera” delle perdite, cioè compensazione che non deve sottostare alle condizioni imposte dall’art. 172, comma 7, TUIR.
È importante segnalare che la rimozione delle condizioni per la circolazione delle perdite si ha solo per quelle che la società ha prodotto quando già faceva parte del gruppo, non per quelle prodotte prima dell’ingresso nel gruppo, perdite per le quali occorre dimostrare il rispetto delle condizioni di cui all’art. 172, comma 7, TUIR, laddove si voglia trasferirle ad altra società del gruppo a seguito di fusione, scissione, o (anche) conferimento di azienda.
In questo senso il citato D.M. 26 giugno 2025, all’art. 3, afferma che la libera circolazione delle perdite si ha per:
− quelle generate quando la società già faceva parte del gruppo (ma conseguite non prima del 2024;
− quelle “omologate”, cioè le perdite generate prima dell’ingresso nel gruppo ma che in quel momento (ingresso nel gruppo) risultano rispettose delle condizioni previste all’art. 172, commi 7, 7-bis e 7-ter, TUIR.
Va ulteriormente sottolineato che per gruppo societario, ai fini dell’art. 177-ter, TUIR, va inteso il perimetro delle società controllate di diritto, diretto o indiretto, ex art. 2359, punto 1, o comma 2, c.c.. Il controllo si può realizzare anche quando le diverse società sono controllate da una medesima persona fisica o entità giuridica.
Su questa vicenda l’intervento dell’art. 2, D.L. n. 84/2025, è, per così dire, conseguenza dell’aver introdotto la trasferibilità delle perdite anche nel conferimento di azienda. Infatti, viene aggiunta la citazione delle trasferibilità delle perdite di cui agli artt. 172, comma 7, 173, comma 10, e, per l’appunto, 176, comma 5-bis (conferimento di azienda), TUIR.
Il tema dell’abuso del diritto nelle operazioni straordinarie professionali
La Riforma del reddito da lavoro autonomo ha portato con sé una novità estremamente rilevante che non può definirsi relativa al solo lavoro autonomo, ma certamente da quest’ultima categoria reddituale essa ha avuto spunto. Si tratta della definizione di neutralità fiscale per le operazioni che abbiano come oggetto il trasferimento di studio professionale, neutralità sancita dall’art. 177-bis, TUIR. In modo particolare per il conferimento di studio professionale, si può dire a buon titolo che la nuova previsione di neutralità è mutuata in larga parte dal conferimento di azienda ex art. 176, TUIR, con l’ovvia differenza che l’ambito oggettivo dell’art. 177-bis, è lo studio professionale mentre quello dell’art. 176, è l’azienda. Ma c’è una differenza che sembrava destinata a creare non pochi ostacoli nelle operazioni straordinarie professionali: l’assenza di una esimente da abuso del diritto nel caso di cessione di partecipazione ottenuta a seguito di una operazione neutrale. Pensiamo al caso tipico di un professionista che sta valutando la cessazione della propria attività professionale tramite una operazione di cessione di studio professionale. Tale cessione avverrebbe con la seguente articolazione di operazioni. In primo luogo, verrebbe eseguito un conferimento del proprio studio in una S.r.l. STP unipersonale, fruendo della neutralità fiscale disposta dal recente art. 177-bis, TUIR. Successivamente al conferimento il professionista in questione intenderebbe procedere in tempi brevi alla cessione della intera partecipazione nella S.r.l. conferitaria ad altro professionista.
In relazione a tale progetto si poneva il tema della possibile riconduzione delle 2 operazioni concatenate (conferimento di studio e cessione di partecipazione) alla contestazione di abuso del diritto.
Ebbene, già prima del D.L. n. 84/2025, si poteva ritenere che l’operazione sopra prospettata non configurasse una ipotesi di abuso del diritto per 2 motivi. In primo luogo, perché l’art. 177-bis, TUIR, presenta un contenuto del tutto simile all’art. 176, TUIR, in tema di conferimento di azienda. Ebbene per questa ultima operazione il Legislatore ha ritenuto pienamente legittimo, dal punto di vista fiscale, cedere l’azienda in modo indiretto tramite conferimento e cessione della partecipazione ottenendo così un lecito risparmio di imposta. Sarebbe stato contraddittorio che a fronte della medesima operazione che abbia avuto per oggetto lo studio professionale si fosse arrivati a una diversa conclusione che costituirebbe una irragionevole penalizzazione per il mondo della attività professionali. Ciò sarebbe incomprensibile tanto più oggi che tramite la Riforma del reddito da lavoro autonomo (attuata con l’art. 5, D.Lgs. n. 192/2024) si è proceduto nella direzione di uniformare, quanto più possibile, la disciplina fiscale del reddito professionale con quella dell’impresa.
In secondo luogo, si poteva ritenere che l’operazione sopra prospettata non configurasse ipotesi di abuso del diritto, poiché l’art. 10-bis, Legge n. 212/2000, esplicitamente afferma che si ha abuso del diritto quando l’operazione è priva di sostanza economica (comma 2, lett. a)) e, al contrario, non si considerano abusive le operazioni giustificate da valida ragione economica. È di tutta evidenza che la causa contrattuale che si manifesta nel progetto sopra citato è quella di dismettere un complesso unitario di attività materiali e immateriali (studio professionale) in cambio di denaro, quindi vi è una ragione economica extrafiscale che è l’intento di vendere l’attività professionale, non quello di risparmiare imposte. Che poi per raggiungere il suddetto obiettivo economico si intenda scegliere la via meno onerosa dal punto di vista fiscale, è scelta legittima giusta quanto disposto dal comma 4, del citato art. 10-bis.
Evidentemente queste considerazioni sono state condivise dal Legislatore che con l’art. 1, D.L. n. 84/2025, aggiunge un comma 4-bis, all’art. 177-bis, TUIR, il cui tenore chiude ogni discussione sul punto. Infatti, viene esplicitamente affermato che non rilevano ai fini dell’art. 10-bis, Legge n. 212/2000 (abuso del diritto) le operazioni straordinarie dell’intero art. 177-bis, TUIR, e (soprattutto) la successiva cessione delle partecipazioni ricevute.
[1] Cfr. AA.VV., R. Lupi – D. Stevanato (a cura di), La fiscalità delle operazioni straordinarie di impresa, Milano, 2002.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.


