13 Maggio 2025

La scelta contabile delle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento è fiscalmente sindacabile?

di Luciano Sorgato
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La scheda di FISCOPRATICO

La verifica fiscale del tema deve dipartire dall’indagine letterale dell’articolo 102, comma 6, Tuir, a mente del quale: “Le spese … che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili …”. Tale norma ha un preciso raccordo storico con l’articolo 55 del regolamento n. 560 dell’11 luglio 1907, il quale individuava la categoria delle spese incrementative, prevedendo la deduzione dal reddito d’impresa delle spese di produzione e di conservazione, manutenzione, di restauro e di innovazione dei locali e delle macchine, limitatamente a quella parte che non andava in aumento del valore degli uffici e della potenza delle macchine.

Nel proseguo del tempo, l’articolo 98, D.P.R. 645/1958, dispose che le spese incrementative, comprese quelle di manutenzione straordinaria, dovevano essere ammortizzate quale parte integrante del costo dei beni cui inerivano, lasciando, quindi, intendere che soltanto le spese di manutenzione ordinaria erano deducibili nell’esercizio del loro sostenimento.

Allo scopo di far cessare i contrastanti orientamenti determinatasi in ordine ai concetti di spesa incrementativa e di spesa di manutenzione ordinaria ed in tal modo eliminare ogni incertezza al riguardo, nell’ambito della riforma tributaria del 1973 venne introdotta all’ultimo comma dell’articolo 68, D.P.R. 597/1973, una presunzione assoluta che raccordava il diritto fiscale di deduzione dei costi di manutenzione, esclusi solo quelli riguardanti l’ampliamento, con il limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultanti all’inizio del periodo d’imposta, con l’aggiunta della previsione che disponeva la deducibilità dell’eccedenza in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi.

Tale principio veniva avvallato da vari atti di prassi che ribadivano il raccordo del citato ultimo comma dell’articolo 68 con una scelta legislativa vincolante, del tutto non dipendente dalla natura delle spese sostenute, con l’obbligo fiscale, quindi, di coordinare il diritto di deduzione all’indicato meccanismo forfettario. Tale rigidità strutturale del riportato criterio fiscale incontrò la netta disapprovazione dell’Assonime che, con la circolare del 16 giugno 1983, n. 57, ritenne che la regola posta dall’ultimo comma dell’articolo 68 doveva venire correlata ai soli costi che, in quanto considerati d’esercizio, l’impresa imputava al conto dei profitti e delle perdite (ora conto economico). In altri termini, l’impresa doveva essere ritenuta libera di patrimonializzare i costi non ritenuti di esercizio, in quanto intesi di portata incrementativa del valore dei beni di riferimento e la funzione dell’articolo 68, ultimo comma, D.P.R. 597/1973, doveva essere ritenuta limitata a precludere il sindacato di merito, in ordine all’effettiva natura dei costi imputati al Conto economico, sostituendo l’accertamento di tale natura, con l’indicato limite forfettario del 5%.

Al fine di recepire quanto rappresentato dall’Assonime ed eliminare ogni persistente dubbio in merito alla distinzione tra spese di esercizio e spese incrementative, proprio con il dichiarato scopo di interdire ogni indagine volta a definire lo spartiacque divisorio in ordine alla natura delle spese, il Legislatore modificò ancora la versione della norma, introducendo quella che ancora oggi è la sua delineazione letterale con la specificazione raccordataalle spese che dal bilancio non risultano imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono”. Solo per tali spese vale il criterio di deducibilità forfettaria del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta dall’apposito registro.

Tale ricostruzione storica rappresenta un chiaro indice del volere del Legislatore di disancorare la coordinata fiscale, rendendola autonoma e non subordinata al criterio legale di redazione del bilancio e al correlato supporto costituito dal principio Oic 16. Sul piano pratico, se la spesa viene addizionata al valore del bene di riferimento, essa fiscalmente dev’essere ammortizzata in coerenza con la correlata percentuale di ammortamento individuata dal D.M. del 1988, mentre se viene imputata al Conto economico dell’esercizio di sostenimento, la scelta non è sindacabile dalla Finanza, che non può opporre la natura incrementativa della spesa.

La ratio della norma si fonda su una conciliazione tra l’obiettivo del Legislatore di affrancare il criterio di deduzione fiscale da sindacati opinabili e il diritto erariale di interdire un arbitrario uso di tale facoltà unilaterale del contribuente, prevedendo il raccordo della spesabilità fiscale con il limite forfettario del 5%. In altri termini, il dato normativo non rende intravedibile la ricerca di soluzioni temporali pienamente rispondenti alla competenza economica delle spese di manutenzione, riparazione, trasformazione ed ammodernamento. Esso persegue piuttosto lo scopo di evitare da una parte scontri valutativi sulla natura delle spese e dall’altra pregiudizi alla prestazione erariale, impedendo con la previsione del limite del 5% accentramenti mirati delle spese in questione.

Se, fiscalmente, la percentuale limitativa del 5% fosse causalmente raccordabile alle sole autentiche spese di esercizio, depurate di tutte le spese in qualche modo incrementative del valore del bene di riferimento, la norma prospetterebbe una chiara inconciliabilità costituzionale, dal momento che il meccanismo forfettario in questione genererebbe il differimento temporale di spese non riversabili in avanti, difettando le medesime di ogni operatività sinergica con i futuri processi d’impresa. In altri termini, si sposterebbero temporalmente in avanti spese correnti che incidono solo con la capacità contributiva dell’esercizio del loro sostenimento.

La forfettizzazione in questione riesce ad aderire ai principi di costituzionale presidio dell’obbligazione tributaria solo se è ammessa a commisurarsi con una possibile combinazione promiscua di costi d’esercizio ed incrementativi. In tale caso, eventuali scelte specificamente mirate a perseguire la deduzione anticipata di spese non di esercizio viene ostruita dalla misura limitativa del 5%, che costituisce l’argine di commisurazione invalicabile dell’immediato diritto di deduzione dal reddito imponibile di esercizio.