20 Novembre 2025

Segreto professionale: in quali casi può essere eccepito?

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nel corso di un controllo fiscale effettuato nei confronti di un professionista regolarmente iscritto a un Albo (ad esempio, avvocato, commercialista, consulente del lavoro, ecc.), lo stesso può eccepire il segreto professionale.

In merito, l’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per procedere all’esame di documenti per i quali è eccepito il segreto professionale.

Inoltre, con riferimento agli Avvocati che svolgono funzioni difensive o professionisti che assumano l’ufficio di consulenti tecnici, sono previste particolari e più specifiche garanzie che derivano dalla clausola di salvaguardia, contenuta nel medesimo art. 52, D.P.R. n. 633/1972, che richiama l’art. 103, c.p.p., rubricato “garanzie del difensore”.

A livello operativo, come illustrato nella circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, in caso di opposizione, anche verbale, del segreto professionale da parte del contribuente in relazione a specifici atti e documenti diversi da quelli previsti dalle disposizioni tributarie e connotati da una valenza eminentemente fiscale, gli operanti:

  • desisteranno, in ogni caso, dalla consultazione e dall’acquisizione, anche in copia, del documento per il quale è eccepito il segreto;
  • effettueranno, nell’immediatezza dei fatti, ogni possibile accertamento per valutare se l’eccezione avanzata dal contribuente è fondata e legittima, assumendo ogni utile informazione da quest’ultimo o dalle altre persone in grado di riferire su circostanze utili, dandone atto nel processo verbale di verifica ovvero nei processi verbali di operazioni compiute, nonché nei processi verbali di acquisizione di informazioni sottoscritti dai soggetti auditi;
  • assumeranno tempestivi contatti con l’Autorità giudiziaria territorialmente competente per ottenere, ricorrendone i presupposti, l’autorizzazione a procedere all’acquisizione e al successivo esame dei documenti, ai sensi dell’ 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, avendo cura di informarla sull’esito degli accertamenti già esperiti;
  • adotteranno, ove ricorra la concreta possibilità che le informazioni ritenute segrete possano essere irrimediabilmente disperse nelle more del pronunciamento dell’Autorità giudiziaria, ogni misura necessaria ad assicurarne l’integrità e la conservazione, provvedendo, se del caso, a cautelare il documento cartaceo o il dispositivo digitale in cui risiede il documento informatico.

Tali cautele saranno fatte risultare nel processo verbale di verifica, evidenziando che i documenti cautelati non sono stati in alcun modo visionati, in attesa dell’autorizzazione del magistrato; in caso di impossibilità tecnica ad assumere utili iniziative ai fini della conservazione del documento secondo quanti dianzi indicato, ipotesi riscontrabile, ad esempio, quando le informazioni d’interesse risiedano in uno spazio di memoria esterna (ad esempio, cloud, server remoti, ecc.), riferiranno la circostanza all’Autorità giudiziaria adita, evidenziando le specifiche ragioni di urgenza e indifferibilità che non consentono, in alcun modo, di procrastinare l’acquisizione;

  • nel caso in cui l’Autorità giudiziaria adotti uno specifico provvedimento autorizzativo atto a rimuovere il segreto professionale, questo sarà eseguito attraverso l’acquisizione dei dati d’interesse agli atti della verifica o del controllo, avendo cura di darne tempestiva informazione all’Autorità giudiziaria che ne ha disposto l’esibizione; in caso contrario i documenti eventualmente cautelati saranno immediatamente rimessi nella disponibilità della parte.

Come precisato dal citato documento di prassi, si ritiene che il richiamo legislativo all’art. 103, c.p.p., comporti l’intangibilità dei soli documenti individuabili a norma dell’art. 35 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, concernenti i rapporti strettamente inerenti al mandato fiduciario tra il difensore (Avvocato) o il consulente tecnico (commercialista, psicologo, consulente del lavoro, ecc.) e il cliente.

Resta inteso che, anche per i documenti che non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 103, c.p.p., il professionista può comunque opporre il segreto professionale, eventualmente superabile attraverso una specifica autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, peraltro impugnabile dal contribuente dinanzi al giudice tributario unitamente all’atto impositivo ovvero, laddove la verifica non dia luogo all’emanazione di un atto impositivo o se tale atto non viene impugnato, dinanzi al giudice ordinario (Cass., SS.UU., n. 8587/2016).

In tema di segreto professionale è recentemente intervenuta, in sede di legittimità, la suprema Corte di Cassazione, con l’ord. n. 17228/2025, nella quale sono illustrati interessanti spunti interpretativi proprio con riferimento alla corretta applicazione dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972.

Gli Ermellini richiamano espressamente la normativa di riferimento a mente della quale, tra l’altro, è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale, ferma restando la norma di cui all’art. 103, c.p.p..

Quindi, qualora durante l’accesso in locali destinati all’esercizio di attività professionale i verificatori intendano procedere all’esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, essi devono «in ogni caso» munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore del Repubblica o, in alternativa, dell’autorità giudiziaria più vicina.

Ciò posto, nel caso risolto in apicibus dai supremi giudici, l’esame dei documenti era avvenuto nel corso di un accesso eseguito da militari della Guardia di Finanza presso lo studio di un professionista esercente la professione di avvocato.

Durante tale accesso era stato eccepito il segreto professionale relativamente ai detti documenti, onde gli operanti avrebbero potuto esaminarli soltanto in forza di un’autorizzazione «ad hoc».

Inoltre, «una siffatta autorizzazione, proprio perché divenuta necessaria soltanto a seguito dell’opposizione del segreto professionale, non poteva che intervenire successivamente al verificarsi della situazione che ne aveva imposto il rilascio e con specifico riferimento ai documenti per i quali l’esigenza si era manifestata».

Proseguono i supremi giudici di legittimità che: «Non era, quindi, sufficiente un’autorizzazione preventiva e generica, quale quella che la CTR ha accertato essere stata rilasciata nel caso di specie dal Procuratore della Repubblica di Paola».

Sullo specifico argomento viene in rilievo la sentenza delle Sezioni Unite della stessa Corte di Cassazione (n. 11082/2010), con la quale è stato affermato che l’autorizzazione in oggetto è un atto interno al procedimento fiscale, producente effetti soltanto in tale ambito, e che la valutazione circa la sua legittimità o meno è devoluta al sindacato del giudice tributario, la cui giurisdizione non riguarda esclusivamente gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, ma si estende a tutti quelli che siano stati emanati nelle varie fasi dello stesso.

I giudici di piazza Cavour concludono che «nel richiamato arresto nomofilattico, per quanto qui specificamente interessa», è stato sottolineato che il «contenuto motivazionale» di detta autorizzazione «deve essere necessariamente correlato all’esigenza di esplicitare l’avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti, ovverosia dei motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale e delle ragioni che, secondo l’organo verificatore, rendono necessari e/o indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l’esame dei documenti e/o l’acquisizione delle notizie “secretati”».

In conclusione, proprio la predicata necessità di una «comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti» lascia chiaramente intendere come il provvedimento di cui all’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, possa essere legittimamente adottato solo dopo che il segreto professionale è stato eccepito, e non anche in via preventiva, quando ancora non è dato sapere se, ed eventualmente in relazione a quali documenti, esso sarà opposto.