3 Novembre 2025

Factoring: soggetta a IVA la commissione di finanziamento addebitata dal factor

di Marco Peirolo
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Giustizia UE, con la sentenza 23 ottobre 2025, causa C-232/24, ha affermato che, nell’esercizio di un’attività di factoring tramite cessione di crediti, nell’ambito della quale le operazioni di recupero crediti e il rischio di inadempimento dei debitori vengono trasferiti dal cliente alla società di factoring, la provvigione di finanziamento e le spese di apertura del fascicolo costituiscono il corrispettivo di una prestazione di recupero crediti soggetta a IVA, essendo il recupero crediti espressamente escluso dall’esenzione prevista dall’art. 135, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE.

In base a tale disposizione, gli Stati membri esentano dall’IVA la concessione e la negoziazione di crediti, nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi, mentre il recupero crediti è escluso dall’esenzione, ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. b), della stessa Direttiva.

Dato che le esenzioni, ponendosi quali deroghe all’applicazione generale dell’imposta, devono essere interpretate restrittivamente, la nozione di “recupero crediti”, costituendo un’eccezione alla previsione derogatoria, deve essere interpretata estensivamente.

Secondo la giurisprudenza, la nozione in esame riguarda le operazioni finanziarie dirette a ottenere il pagamento di un debito in denaro e comprende tutte le forme di factoring, indipendentemente dalle loro modalità, dato che, per la sua natura oggettiva, il factoring ha come scopo essenziale il recupero e l’incasso dei crediti di un terzo. Non esiste nessuna valida ragione che possa giustificare una disparità di trattamento, dal punto di vista dell’IVA, tra il factoring “in senso proprio” e il factoring “in senso improprio”, dato che, in entrambi i casi, il factor fornisce al cliente prestazioni a titolo oneroso ed esercita, in tal modo, un’attività economica.

Un’attività di factoring tramite vendita di crediti, come quella di cui trattasi nella fattispecie in esame, presenta le stesse caratteristiche del factoring “in senso proprio”, oggetto del procedimento di cui alla causa C‑305/01. Analogamente a quanto dichiarato in tale sentenza, si deve pertanto ritenere che una siffatta attività rientri nella nozione di “recupero crediti”, di cui all’art. 135, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE.

Lo stesso vale per il factoring tramite pegno, praticato dalla società nella sentenza di cui alla causa C-232/24 in commento.

Infatti, siccome la Corte ha dichiarato che il factoring “in senso improprio” rientra nella nozione di “recupero crediti”, il factoring tramite pegno – che differisce dal factoring tramite vendita di crediti solo per il fatto che i crediti detenuti dal cliente non sono trasferiti al factor, ma utilizzati a garanzia del finanziamento fornito da quest’ultimo al cliente, mentre il factor si occupa per il resto del recupero e dell’incasso di tali crediti – deve parimenti considerarsi riconducibile a tale nozione.

Dopodiché, la Corte ha dovuto stabilire se la commissione di finanziamento e le spese per l’apertura di un fascicolo costituiscano il corrispettivo di una prestazione unica e indivisibile di recupero crediti, soggetta a IVA, o se esse retribuiscano, in parte, una prestazione distinta di concessione di credito, rientrante nell’esenzione di cui all’art. 135, par. 1, lett. b), Direttiva 2006/112/CE.

Dalla giurisprudenza risulta che una prestazione deve essere considerata unica quando 2 o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono così strettamente collegati da formare, oggettivamente, un’unica prestazione economica inscindibile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale. L’unicità della prestazione si verifica anche quando 1 o più prestazioni costituiscono una prestazione principale e le altre prestazioni sono a essa accessorie, applicandosi pertanto a esse lo stesso trattamento impositivo della prestazione principale. Segnatamente, una prestazione deve essere considerata accessoria a una prestazione principale quando per la clientela non costituisce un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire al meglio del servizio principale offerto dal fornitore.

Al fine di stabilire se le prestazioni fornite siano indipendenti o costituiscano una prestazione unica è importante individuare gli elementi caratteristici dell’operazione di cui trattasi, prendendo in considerazione, inoltre, la totalità delle circostanze in cui si svolge l’operazione in questione e tenendo altresì conto dell’obiettivo economico perseguito, nonché dell’interesse dei destinatari delle prestazioni.

Secondo la Corte, dal punto di vista del cliente e del factor, il factoring costituisce, in linea di principio, un’operazione economica unica, avente come obiettivo principale quello di consentire al cliente di traslare su un terzo il recupero e l’incasso dei crediti.

In proposito, riguardo al factoring tramite vendita di crediti, i fondi versati dal factor al cliente non corrispondono a un prestito che quest’ultimo è tenuto a rimborsare, ma costituiscono il corrispettivo della vendita definitiva dei crediti, sicché non esiste nessun rapporto di credito tra il factor e il suo cliente. Di conseguenza, la commissione di finanziamento e le spese per l’apertura del fascicolo, versate in tale contesto, non possono essere considerate come il corrispettivo di una prestazione di concessione di credito, esente da IVA ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. b), Direttiva 2006/112/CE, ma costituiscono il corrispettivo di servizi imponibili di recupero crediti, ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. d), della stessa Direttiva.

Riguardo al factoring tramite pegno, esso consiste nella messa a disposizione di fondi da parte del factor al suo cliente a fronte della garanzia costituita da crediti su fatture non scadute e, per il resto, il factor provvede al recupero e all’incasso dei crediti, il che costituisce lo scopo essenziale del factoring. Inoltre, sebbene il recupero dei crediti da parte del factor sia accompagnato dalla messa a disposizione, da parte di quest’ultimo, di un finanziamento corrispondente all’importo dei crediti dati in garanzia, non risulta che un siffatto finanziamento sia fornito dal factor indipendentemente dal servizio di recupero crediti, di cui costituisce il corollario.

Ne consegue che la commissione di finanziamento e le spese per l’apertura della pratica, pagate dal cliente nell’ambito di un factoring tramite pegno, caratterizzato dal fatto che il factor si fa carico del recupero e dell’incasso dei crediti che, senza essere trasferiti al factor, sono utilizzati a garanzia del finanziamento fornito al cliente, devono essere considerate come il corrispettivo di una prestazione unica e indivisibile di recupero crediti, soggetta a IVA.

Infine, la Corte ha affermato che l’eccezione relativa al “recupero crediti”, prevista dall’art 135, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE, presenta un carattere incondizionato e preciso, tale da avere efficacia diretta nell’ordinamento interno e, pertanto, può essere invocata dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato.

Infatti, in tutti i casi in cui le disposizioni della Direttiva 2006/112/CE appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i contribuenti possono invocarle dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, segnatamente quando quest’ultimo le abbia recepite in modo scorretto.

In proposito, si ricorda che una disposizione del diritto dell’Unione Europea è, da un lato, incondizionata quando sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni dell’Unione Europea o degli Stati membri e, dall’altro, tanto precisa da poter essere invocata da un contribuente e applicata dal giudice quando sancisce un obbligo in termini inequivocabili.