La nuova disciplina dei riaddebiti tra dubbi e criticità
di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365La disciplina fiscale dei riaddebiti eseguiti analiticamente da parte dei professionisti al proprio committente per spese sostenute per l’esecuzione dell’incarico è forse l’esempio più rilevante di quella che potremmo chiamare “una novità legislativa tormentata”, oggetto di modifiche e ripensamenti continui in un arco temporale di 6 mesi. Varie sono le modifiche intervenute sul testo originario previsto dal D.Lgs. n. 192/2024, e naturalmente mutamenti così frequenti e ripetuti, in tempi ristretti, creano incertezze e confusioni. In questo panorama già complesso si inseriscono ulteriori dubbi sia sull’ambito oggettivo del termine riaddebito, sia sul piano soggettivo, dove ancora attendiamo di sapere se i professionisti in regime forfettario debbano essere considerati un “corpo” a parte rispetto alla platea dei professionisti ordinari.
Ma andiamo con ordine.
Che fosse necessario un intervento di coordinamento normativo era emerso in modo plateale quando il Legislatore della Legge di bilancio (Legge n. 207/2024, art. 1, comma 81, lett. b)) aveva previsto l’obbligo del pagamento delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto in modalità tracciabile inserendo un comma 6-ter all’art. 54, TUIR, non considerando che quest’ultimo articolo era stato modificato qualche giorno prima dal D.Lgs. n. 192/2024, e che nella versione modificata esso prevedeva solo 3 commi. Inoltre, la Legge di bilancio aveva stabilito l’indeducibilità di dette spese condizionandola alla circostanza che esse non fossero pagate in modalità tracciabile, trascurando il fatto che queste stesse spese erano già state, in precedenza, definite indeducibili dall’art. 54-ter, TUIR. In sostanza, è emerso che il Legislatore della Legge di bilancio non conosceva le modifiche già approvate alla norma che egli stesso voleva modificare. Un corto circuito dal quale si è usciti solo con l’art. 1, D.L. n. 84/2025, che sistema la numerazione dei commi, e soprattutto stabilisce che il mancato pagamento tracciato dei costi riaddebitati (limitatamente a quelli sostenuti in Italia) determina l’imponibilità del riaddebito stesso. Questa previsione certamente stimolerà il professionista a eseguire pagamenti tracciabili, al fine di evitare sia l’imponibilità del riaddebito sia la ritenuta d’acconto su detto provento. Ma la penalizzazione non si ferma qui, poiché il pagamento non tracciato dei costi comporta l’indeducibilità degli stessi dal reddito professionale ex art. 54-septies, comma 6-bis (aggiunto appunto dal D.L. n. 84/2025), il che delinea uno scenario eccessivamente penalizzante ed evocativo del divieto di doppia tassazione.
Venendo nel concreto all’ambito oggettivo dei rimborsi detassati, l’art. 54, comma 2, lett. b), cita le ipotesi di vitto, alloggio, viaggio e trasporto. Già in questo elenco occorrerebbe capire la differenza tra viaggio e trasporto, nel senso che si potrebbe, in prima battuta, affermare che la nozione di viaggio è più ampia di quella di trasporto, comprendendo anche spese che non sono specificamente afferenti allo spostamento fisico del professionista. Tuttavia, tali “altre spese” non possono essere quelle di vitto e alloggio, poiché esse sono specificamente citate a parte, quindi deve trattarsi di altro. Viene da pensare, anzitutto, ai costi di parcheggio, lavanderia e altri similari, ma qui entra in scena l’interpretazione restrittiva contenuta in vari documenti della prassi ufficiale. Tali pronunce sono individuabili nella disciplina del reddito da lavoro dipendente in cui, da sempre, l’art. 51, comma 5, cita le stesse voci di costo sopra elencate, qualificandole rimborsi detassati per il lavoratore in trasferta se il rimborso stesso è richiesto in forma analitica e non forfettaria. Ebbene in relazione alle 4 voci di costo in oggetto (vitto, alloggio, viaggio e trasporto), sia la circolare n. 326/1997, sia la più recente risposta di consulenza giuridica n. 5/E/2019, sono concordi nell’affermare che le spese di parcheggio, lavanderia, ecc., sono altro rispetto alle spese di viaggio e trasporto. Così, letteralmente, afferma la risposta citata: «Con circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997 par. 2.4.1 sono state ricomprese tra le “altre spese (ulteriori rispetto a quelle di viaggio, trasporto, vitto e alloggio (…)” … a titolo di esempio, quelle relative alla “lavanderia, il telefono, il parcheggio, le mance etc. (….)».
Questa tesi appare decisamente opinabile per 2 motivi:
- sembra oltremodo restrittivo non considerare come correlate al trasporto le spese di parcheggio che sono comunque ancillari allo spostamento fisico del professionista;
- se spesa di parcheggio, lavanderia e similari non sono ricomprese nella nozione di viaggio, qual è il distinguo tra viaggio e trasporto ?
Altro tema che si presenta nella applicazione pratica dell’art. 54, comma 2, lett. b), è tradurre in casi concreti le spese di trasporto. In particolare, lo spostamento eseguito dal professionista con utilizzo dell’auto propria e rimborsato dal committente sulla base delle tariffe ACI, può essere considerato come rimborso analitico?
Da una parte, a favore della risposta positiva al quesito, si pone un ragionamento elementare: perché il professionista dovrebbe essere obbligato a servirsi di mezzi pubblici per eseguire uno spostamento, quando potrebbe utilizzare l’auto propria? Il rimborso al puro costo, quindi, analitico e senza ricarico, fiscalmente prende il nome di tariffe ACI; basti ricordare un passaggio molto noto della circolare n. 326/1997 che, in relazione a un testo normativo uguale a quello del succitato art. 54, TUIR, afferma «i rimborsi analitici delle spese di vitto e alloggio, quelli delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennita’ chilometrica, e di trasporto, non concorrono a formare il reddito».
Quindi, sembrerebbe di poter dire che è spesa di trasporto analitico anche il rimborso chilometrico secondo tariffe ACI, ma questa conclusione andrebbe opportunamente confermata dalla prassi dell’Agenzie delle Entrate, poiché sussiste un argomento non trascurabile che deporrebbe per la tesi contraria, e cioè che la non imponibilità dei rimborsi analitici è correlata all’inutilità della tassazione e della operazione di ritenuta d’acconto nella misura in cui vi sia la deducibilità, per uguale importo, del costo. Ma nel caso del costo sostenuto per l’impiego del proprio veicolo, il professionista non opera una deducibilità integrale, bensì limitata dall’art. 164, TUIR, il che pone oggettivi dubbi sulla equazione rimborso chilometrico tariffe ACI/ rimborso analitico detassato.


