Esterovestizione e stabile organizzazione occulta: tassazione ai fini IVA
di Marco BargagliRecentemente, il D.Lgs. n. 209/2023 ha novellato l’art. 73, comma 3, TUIR, il quale, con effetto giuridico dal 1° gennaio 2024, prevede che «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso».
In particolare:
- la sede di direzione effettiva coincide con la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (con contestuale recepimento del criterio di localizzazione della residenza fiscale adottato nella generalità delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni);
- la gestione ordinaria è, invece, riferita al continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (imponendo, quindi, una valutazione dell’effettivo radicamento della società, dell’ente o dell’associazione in un determinato territorio).
La normativa in rassegna ha lo scopo di contrastare il fenomeno della c.d. esterovestizione societaria, ossia la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale.
Quindi, l’esterovestizione (c.d. Foreign-dressed companies) è un termine che si riconduce a particolari tecniche di pianificazione fiscale internazionale, attuate mediante la costituzione di una o più società in un altro Stato estero, non solo localizzato nei paradisi fiscali, al solo scopo di ottenere un indebito risparmio d’imposta.
Avuto riguardo, invece, alla stabile organizzazione, ai sensi dell’art. 162, TUIR, è possibile constatare la presenza di una stabile organizzazione occulta sul territorio dello Stato italiano.
In particolare, il fenomeno evasivo/elusivo riconducibile alla “stabile organizzazione”, si configura quando:
- un soggetto non residente ha costituito una sede fissa d’affari “occulta” in Italia, per mezzo della quale esercita un’attività d’impresa evadendo le imposte dovute (IRES, IRAP, IVA);
- un soggetto residente in Italia “occulta” l’esistenza di una stabile organizzazione estera, al fine di evitare che il reddito prodotto dalla stessa venga tassato in Italia in base al c.d. worldwide principle (tassazione su base mondiale).
Sul punto, nella circolare n. 1/2008 del Comando generale della Guardia di Finanza, “Istruzioni sull’attività di verifica”, Vol. III, Parte VI, Capitolo 7, par. 4, pag. 139, viene chiarito che: «Le forme evasive più pericolose che interessano l’istituto della stabile organizzazione sono individuabili, principalmente, nelle situazioni in cui: un’impresa estera operi in Italia attraverso una stabile organizzazione non formalmente costituita e, pertanto, sconosciuta come tale all’Amministrazione finanziaria; un’impresa residente fiscalmente in Italia disponga all’estero di stabili organizzazioni non dichiarate».
Ai fini IVA, l’art. 9, Direttiva n. 77/388/CEE, prima dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 282/2011, stabiliva che: «Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale».
Successivamente l’art. 11, Regolamento (UE) 282/2011, del 15 marzo 2011, ha fornito la definizione di stabile organizzazione ai fini IVA, prevedendo che la stessa «designa qualsiasi organizzazione caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione».
Delineato brevemente l’ambito giuridico di riferimento in subiecta materia, giova illustrare gli interessanti principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione, Sez. V civ., nella recente sentenza n. 16607/2025 pubblicata in data 20 giugno 2025, nella quale gli ermellini hanno tracciato i profili di tassazione, ai fini IVA, della stabile organizzazione, valutata in stretto rapporto con la esterovestizione.
In particolare, l’ipotesi della c.d. esterovestizione ricorre quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell’attività di direzione e gestione dell’impresa, localizza la propria residenza fiscale all’estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa.
La stessa può essere dimostrata mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione, desumibili da tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza tali da trarre vigore l’uno dall’altro, completandosi a vicenda (Cass., Sez. V, n. 14485/2024, Cass., Sez. V, n. 15424/2021).
I giudici di Piazza Cavour hanno precisato che la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cass., Sez. V, n. 16697/2019).
Conformemente, si cita l’orientamento della Corte di Giustizia UE nella sentenza 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sèri, in cui è stato affermato che la nozione di sede dell’attività economica «indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo (punto 60)».
La fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento.
Se ne trae conferma dalla sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas della Corte di Giustizia UE (richiamata da Cass., Sez. V, n. 16697/2019), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.
Nel caso oggetto di analisi da parte dei supremi giudici di legittimità, sulla base delle risultanze istruttorie, con accertamento di fatto, è emerso che la società non residente, pur se costituita all’estero, era di fatto amministrata in Italia ove era localizzato l’oggetto principale della propria attività, individuato nella commercializzazione di beni prodotti in Italia.
Riguardo alla tassazione ai fini IVA, non vi è stata alcuna estensione della disciplina prevista ai fini imposte dirette dall’art. 73, TUIR, avendo la Commissione Tributaria Regionale basato il suo giudizio sulla frode posta in essere dalla società estera, che operava in Italia.
Dall’accertamento in fatto compiuto dalla CTR è emerso che il contribuente si serviva di 2 società “esterovestite” per distribuire i propri prodotti in Italia, conseguendo vantaggi ai fini IVA.
Sul punto, l’art. 7, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che «per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva».
Pertanto, è da ritenersi stabilita nel territorio dello Stato anche la società avente la sede “effettiva” nello Stato, come nel caso di specie.
L’art. 4, D.P.R. n. 633/1972, prevede, inoltre, che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate a imposizione.
In conclusione, il pagamento dell’IVA in Italia è conseguenza diretta dell’accertamento dell’“esterovestizione”.


