15 Luglio 2025

Dubbi sul riparto delle posizioni soggettive nel conferimento d’azienda

di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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Come già rappresentato in altro scritto, l’art. 2, comma 1, lett. c), D.L. 84/2025 (decreto correttivo), amplia (inopinatamente) ai conferimenti d’azienda ex art. 176, TUIR, le disposizioni relative al riparto delle perdite, degli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti, nonché all’eccedenza ACE, previste dal comma 10 dell’art. 173, TUIR, raccordando alla società conferitaria la condizione fiscale della beneficiaria ed avendo riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio chiuso anteriormente alla data di efficacia del conferimento.

Si è sottolineato come l’inconciliabilità della traslazione delle perdite alla conferitaria derivi dalla connotazione strutturale dell’operazione, tradizionalmente ritenuta incentrata sull’oggetto (l’azienda) e non sul modello di riorganizzazione dei soggetti (fusioni e scissioni). In altri termini, le perdite fiscali costituiscono una posizione soggettiva partecipe della capacità contributiva del conferente, verso la quale soltanto può esperire i connaturati effetti fiscali. La traslazione della perdita ad un altro soggetto (la conferitaria) partecipe di una configurazione strutturale di capacità contributiva che non dispone di alcuna identità costituzionale.

In sede negoziale si possono trasferire gli effetti meramente economici dell’obbligazione tributaria, ma non i diretti addendi che concorrono a delinearla, proprio per lo stretto raccordo personale che l’art. 53, Costituzione, intesse con ogni contribuente. Tale novità legislativa, anche se anomala, pone peraltro la questione se, per una qualche necessità di coerenza disciplinare con la scissione, anche le altre c.d. posizioni soggettive del conferente debbano seguire la medesima regola di riparto. Il dubbio nasce dal fatto che per prassi consolidata (si veda risposta a interpello n. 129E/2021) le perdite fiscali e così le eccedenze di interessi passivi e dell’ACE costituiscono una specie del più ampio genere delle posizioni soggettive regolamentate dall’art. 173, comma 4, TUIR. In tali casi, ordinariamente si rende operante il principio per il quale la portata disciplinare della fattispecie specifica si espande al suo più ampio genere di appartenenza, in virtù dell’intrinseca omogeneità che raccorda la specie al genere.

Se, ad esempio, presso il conferente fosse in essere la rateazione fiscale di una plusvalenza ex art. 86, comma 4, TUIR, tale rateazione si deve intendere sottoposta al riparto commisurato al patrimonio aziendale conferito? In fondo gli effetti connessi alla rateazione della plusvalenza partecipano (sia pure con segno contrario) della medesima dinamica fiscale del riporto delle perdite. O ancora, se fosse in essere il piano rateale prescritto dall’art. 102, comma 6, TUIR, in ordine alle spese di manutenzione e riparazione, il cui riflesso fiscale si accomuna nella sostanza (sia pure con meccanismi diversi) a quello delle perdite, si applica la medesima regola del riparto? Si premette che chi scrive è dell’opinione che se una norma (legislativamente poco o persino per niente ponderata) non si raccorda in modo omogeneo con l’istituto alla cui disciplina viene astrattamente resa partecipe, il suo nesso regolamentare deve rimanere circoscritto alla sua esclusiva portata letterale, senza effetti espansivi dell’irrazionalità di cui è portatrice.

L’interprete non può scavalcare la chiara stesura letterale della norma, in virtù delle prescrizioni dell’art. 12, Preleggi al c.c., ma prestata obbedienza a tale vincolo, deve adottare l’interpretazione conforme a Costituzione per i principi superiori di cui essa è custode, sottolineandone semmai l’irregolare commistione di regole eterogenee. Come già sopra rappresentato, le posizioni soggettive portatrici di manifestazioni di capacità contributiva già generatasi, hanno causalmente intrapreso un raccordo ormai inscindibile con il soggetto che quella capacità contributiva l’ha espressa e i suoi diretti effetti fiscali non sono traslabili. Nelle fusioni e nelle scissioni, costituendo le medesime solo un’evoluzione dell’originario modello costitutivo delle società, inidonea, quindi, a portare a rappresentazione autentiche vicende circolatorie di portata intersoggettiva (come invece avviene per i conferimenti d’azienda), la promiscuità delle posizioni soggettive non è incompatibile con la descritta commisurazione soggettiva della capacità contributiva.

Dall’art. 2504-bis, c.c., rubricato “Effetti della fusione”, si ricava l’effetto del subentro della società incorporante o risultante dalla fusione in tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti all’operazione, con prosecuzione di tutti i rapporti, inclusi quelli processuali anteriori alla fusione incentrata sulla società incorporante/risultante dalla fusione. La fusione determina l’effetto di ridurre ad unità le sfere giuridiche delle società, secondo un principio di continuità che evoca una vicenda successoria e non un trasferimento in senso tecnico. L’orientamento tornato di recente ad imporsi per effetto del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 21970/2021) è quello definibile come “modificativo – devolutivo – estintivo” che pur non disconoscendo alla fusione la peculiare natura di vicenda modificativa dell’originario contratto sociale, rende compatibile tale connotazione con l’effetto estintivo che l’operazione determina. Secondo tale orientamento, la fusione si raccorda con un’operazione di riorganizzazione o di riconfigurazione degli assetti societari che incide sulla struttura dei patrimoni dei soggetti coinvolti, generando una vicenda modificativa dell’originario contratto societario, ma nel contempo essa realizza anche una vicenda devolutiva – estintiva dell’incorporata o delle società che si fondono. Intesa in tal modo, il tratto caratterizzante dell’operazione risiede nella conciliazione di sintesi di un effetto modificativo – evolutivo o riorganizzativo degli assetti societari con l’effetto devolutivo – estintivo che la fusione determina nei confronti dei soggetti coinvolti.

Anche se i soggetti si estinguono, le organizzazioni permangono. Alla base di tale costruzione giuridica di sintesi, per gli importanti effetti pratici (anche tributari) che essa comporta, risiede la connotazione di un’operazione non fondata su vicende autenticamente circolatorie dei beni e diritti delle società che per effetto della fusione si estinguono, ma su una vicenda tipicamente successoria di tali situazioni giuridiche. Sul piano tributario, tale configurazione appare pienamente in linea con il regime della piena neutralità fiscale, non venendosi a generare con l’operazione le dinamiche realizzative che sono alla base degli ordinari obblighi impositivi nei confronti delle società coinvolte e nei confronti dei soci che scambiano le originarie partecipazioni.

Anche in ordine alla scissione, nonostante la sua opposta dinamica strutturale di frammentazione dei patrimoni, in luogo della loro concentrazione, si rendono adattabili le medesime rappresentazioni giuridiche sopra esposte in ordine alla fusione. A supporto di tale conclusione è la stessa tecnica normativa di rinvio alle norme sulla fusione a cui il Codice civile ricorre per disciplinare la gran parte degli istituti che concorrono a dare identità giuridica alla scissione. Anche in dottrina vi è l’opinione comune che le vicende che prendono forma nella fusione e nella scissione sono in qualche misura tra loro speculari e che, quindi, la configurazione della scissione possa essere ricostruita facendola dipartire dalla fusione. Proprio le indicate manifeste diverse prerogative giuridiche sottese ai due generi di operazioni (fusioni e scissioni) e (conferimenti d’azienda) non consentono alcuna interscambiabilità di norme regolamentari, per cui il richiamo ora operato con ’innesto del comma 5-bis all’art. 176, TUIR, in quanto irragionevole, va limitato al suo stretto riferimento letterale, con la doverosa evidenza, da parte dell’interprete, che la configurazione di una delineazione strutturale della norma caratterizzata da una disorientante commistione di regole tra loro inconciliabili, rende la norma censurabile sotto il profilo dell’art. 3, Costituzione, a cui la Corte Costituzionale riconduce ogni contraddittoria forma legislativa (si veda, Corte Costituzionale n. 179/1976, che nel dichiarare l’illegittimità del c.d. cumulo dei redditi tra i coniugi, ebbe a sottolineare il rango costituzionale del principio di personalità della capacità contributiva).

Sul piano operativo, quindi, in ordine alle varie posizioni soggettive maturate dal conferente, esse non possono che rimanere abbinate al suo esclusivo status fiscale, inclusa la sorte delle riserve in sospensione d’imposta, in raccordo con l’oggetto del trasferimento costituito dall’azienda e cioè da un modello organizzato di beni di stretta derivazione civilistica (art. 2555, c.c.), mai confondibile con un patrimonio netto o con una più generale situazione contabile. Le precisazioni regolamentari indicate per la scissione con scorporo, si rendono del tutto applicabili e persino a maggiore ragione, nei conferimenti d’azienda.

Se nella scissione con scorporo, che, nell’impostazione ripete la delineazione strutturale del conferimento, pur costituendo un’operazione sui soggetti, l’opzione legislativa è stata quella di raccordare all’incremento delle riserve della beneficiaria esclusiva natura di riserve di capitale, con invarianza qualitativa della stratificazione delle riserve nella scissa, alla stregua di un’operazione intersoggettiva, a maggior ragione l’identica natura contabile e fiscale delle riserve deve essere mantenuta nella conferente e nella conferitaria assunta la sua autentica natura di operazione traslativa di tipo intersoggettivo.