10 Settembre 2025

La gestione dei contratti di leasing nel nuovo reddito da lavoro autonomo

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

La gestione fiscale dei contratti di leasing stipulati dai professionisti è argomento di peso rilevante all’interno della Riforma attuata dal D.Lgs. n. 192/2024; potremmo dire che l’argomento è trattato nel bene e nel male, posto che la stessa Riforma tralascia l’intervento normativo certamente più atteso, cioè la assimilazione, sul piano fiscale, della deduzione del canone di leasing immobiliare con la quota di ammortamento per acquisto diretto. La sperequazione (non motivabile in modo razionale) tra acquisto diretto dell’immobile professionale (operazione priva di riconoscimento fiscale) e acquisto in leasing non è rimossa dal D.Lgs. n. 192/2024, per motivi legati alla non copertura finanziaria di tale necessario intervento, nonostante la Legge delega n. 111/2023 lo avesse previsto.

Venendo ai temi di novità, certamente assume rilevo l’intervento sulla cessione dei contratti di leasing: viene individuata una propria disciplina normativa che permette di superare l’incerta e opinabile posizione interpretativa assunta in precedenza dalla Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 209/E/2020.

Infatti, con la pronuncia da ultimo citata, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto di poter assimilare la cessione di contratti di leasing alla cessione di elementi immateriali; ipotesi in passato prevista come imponibile, in base all’art. 54, comma 1-quater, TUIR, ante Riforma. Quella che a tutti gli effetti si configurava come una sopravvenienza attiva veniva, invece, definita un provento professionale tassabile in base al corrispettivo percepito; quindi, senza verificare se quel corrispettivo era correlato, almeno in parte, a somme non dedotte, e quindi legittimando, in pratica, una iniqua doppia tassazione. Pensiamo al caso dei leasing immobiliari (proprio il caso del citato interpello): affermare che la tassazione va eseguita sul corrispettivo significa non tenere conto che nel canone vi sono somme indeducibili (quota terreno) che, operando in siffatto modo, vengono attratti ad una doppia tassazione.

La nuova disposizione, inserita nell’art. 54-bis, comma 3, TUIR, di fatto uniforma il trattamento della cessione del contratto di leasing a quello già da tempo previsto nel reddito d’impresa (art. 88, ultimo comma, TUIR) con l’aggiunta di alcuni passaggi esplicativi certamente condivisibili che conferiscono lo status di Legge a quelle che precedentemente erano solo pronunce della Agenzia delle Entrate: ci si riferisce, in particolare, alla modalità di calcolo della sopravvenienza attiva. Essa, infatti, deve tener conto del valore normale del bene oggetto del contratto di cessione, ridotto sia dei canoni residui che il cessionario del contratto dovrà corrispondere alla società di leasing (debito che va attualizzato alla data di cessione) sia, per i leasing immobiliari, della eventuale quota terreno compresa nel valore capitale dei canoni pagati; quota terreno che, come è noto, non è stata dedotta dal primo contraente. Sarebbe stato il caso di aggiungere che tale disciplina si applica a condizione che, il contratto di leasing oggetto di cessione abbia generato vantaggi fiscali per il primo contraente, poiché viceversa la sopravvenienza attiva apparirebbe come una non tollerabile forma di doppia tassazione. Si pensi, ad esempio, ai contratti di leasing immobiliare stipulati ante 2014, oppure alla cessione di contratti di leasing aventi per oggetto veicoli solo in parte deducibili.

Ma tornando al tema della sperequazione per il professionista tra acquisto immobiliare diretto e acquisto in leasing, si pone la questione delicata delle conseguenze fiscali che possono essere generate da un lease back immobiliare, cioè il passaggio dell’immobile strumentale del professionista alla società di leasing per poi riottenerlo sotto forma di contratto di locazione finanziaria. Nel valutare questa opzione, molti operatori sono intimoriti da una eventuale pronuncia di abuso del diritto, cioè operazione priva di contenuto economico e tesa esclusivamente a permettere l’ottenimento di vantaggi fiscali diversamente non fruibili.

Sul punto, è certamente interessante valutare il contenuto dell’interpello n. 742/E/2021. L’operazione descritta in tale istanza non è propriamente un lease back, ma presenta qualche analogia con il tema del lease back, in quanto essa rappresenta la situazione di un professionista individuale che cede il contratto di leasing immobiliare (relativo all’immobile utilizzato esclusivamente come studio) ad una S.r.l. unipersonale di cui il professionista sarà unico socio. L’Agenzia boccia l’operazione come abusiva del diritto, ma ciò non a causa del fatto che tra cedente e acquirente vi è identità sostanziale (ancorché non giuridica), bensì a causa del fatto che la cessione è stata eseguita a un corrispettivo risibile rispetto al valore normale del bene, mentre l’operazione corretta doveva essere un conferimento di contratto (a valore normale). Quindi, non è contestata la cessione di contratto in sé (che avviene anche nel lease back), bensì la mera quantificazione del corrispettivo di cessione, il che fa ben sperare in una declaratoria di operazione non abusiva del diritto nel caso del lease back.

A ciò deve essere aggiunto che, anche la Suprema Corte si è espressa sulla eventuale natura abusiva del lease back (sentenza n. 18333/2021), affermando che il lease back non è operazione abusiva del diritto posto che essa è sempre sostenuta da una valida ragione economica, cioè ottenere immediata liquidità e nel contempo mantenere l’utilizzo del cespite. E ancora, in tempi più recenti, si registra la sentenza n. 26225/2024 della Cassazione con cui si è affermato che il lease back è contratto nullo solo se realizzato per aggirare il divieto di patto commissorio (cioè la cessione del bene oggetto del contratto alla società di leasing, cessione che in realtà si presenta come una offerta di garanzia a tutela della società di leasing che vanti un credito preesistente). Ebbene, queste pronunce tendono ad avallare la legittimità del lease back immobiliare professionale, quale strumento per superare l’irrazionale divieto di deduzione delle quote di ammortamento, mantenendo il diritto di utilizzare l’immobile adibito a studio.