Gli effetti della definizione agevolata ex art. 6, D.L. n. 119/2018, prevalgono sulle sentenze non passate in giudicato
di Luigi FerrajoliL’istituto della definizione agevolata delle controversie tributarie, introdotto dall’art. 6, D.L. n. 119/2018, conv. con modif. dalla Legge n. 136/2018, inserendosi nel più ampio quadro delle misure deflattive del contenzioso, finalizzate a ridurre il carico giudiziario e a favorire la stabilizzazione dei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, ha previsto la possibilità, per il primo, di definire i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del citato decreto.
In particolare, la norma in esame ha stabilito, al comma 1, che «le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia».
Il comma 1-bis afferma, poi, che «In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia».
In deroga a quanto previsto dal comma 1, il successivo comma 2, dispone che, in caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del decreto, le controversie possono essere definite con il pagamento:
a) del 40% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di I grado;
b) del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di II grado.
Per quanto concerne, invece, le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, per le quali l’Agenzia delle Entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, il comma 2-ter dispone che esse possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia.
Ai sensi del successivo comma 4, la norma si applica alle controversie in cui il ricorso in I grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del decreto e per le quali alla data della presentazione della domanda di definizione il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.
La definizione si perfeziona, come disposto dal comma 6, con la presentazione della domanda e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 31 maggio 2019.
Il comma 9 precisa, inoltre, che «Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto».
La domanda di definizione delle liti pendenti poteva essere pertanto presentata alla ricorrenza di 2 condizioni:
- il ricorso introduttivo della controversia doveva essere stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del decreto;
- alla data di presentazione dell’istanza di cui al comma 1 dell’art. 6 il processo non doveva essersi ancora concluso con pronuncia definitiva.
In tale contesto, si inserisce la recentissima sent. n. 30843/2025 della Corte di Cassazione, pubblicata in data 25 novembre 2025, che ha affrontato la questione cruciale del rapporto tra gli effetti della definizione agevolata e le pronunce giurisdizionali non ancora passate in giudicato.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui «Gli effetti della definizione agevolata di cui all’art. 6 del d.l. 119/2018, convertito, con modificazioni, nella L. n. 136/2018, nella ricorrenza delle condizioni previste dalla citata norma, prevalgono su quelli delle pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente al 24.10.2018 (data di entrata in vigore del d.l. n. 119/2018)».
Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte si pone nel più ampio dibattito sull’interferenza del Legislatore nei giudizi pendenti e sulla natura degli istituti deflattivi del contenzioso, dirimendo la questione giuridica consistente nel determinare se una norma sopravvenuta, che introduce una causa di estinzione del processo su base volontaria, possa neutralizzare gli effetti di una sentenza di merito favorevole a una delle parti, ma non ancora intangibile.
La sentenza in commento trova il suo fondamento normativo diretto e inequivocabile nel citato art. 6, comma 9, D.L. n. 119/2018; già in precedenti arresti, la giurisprudenza di legittimità aveva confermato la portata di tale norma, chiarendo che la domanda di definizione, se perfezionata, «costituisce il titolo di regolazione del rapporto d’imposta oggetto di contestazione». La ratio è quella di sostituire l’incertezza dell’esito giudiziario con una soluzione definitiva, voluta dal contribuente proprio per «sottrarsi a questa incertezza» (Cass., ord. n. 24663/2021).
Alla luce di quanto sopra, qualsiasi pronuncia, anche di legittimità, depositata successivamente alla data di entrata in vigore della norma agevolativa, non osta alla definizione della lite; l’adesione alla procedura, infatti, una volta perfezionata con la domanda e il pagamento, determina l’estinzione del giudizio, rendendo irrilevante l’interesse delle parti a una pronuncia sul merito (Cass., ord. 3475/2024).
La scelta del contribuente di aderire alla definizione è irrevocabile e preclude qualsiasi successiva richiesta di rimborso, anche qualora le somme versate risultassero eccedenti o la pronuncia non definitiva fosse stata favorevole (CGT di I grado di Roma, sent. n. 10036/2022). Tale aspetto rafforza la natura tombale dell’istituto, che si configura come una «forma atipica di definizione del rapporto tributario» (Cass., sent. n. 15257/2025).
Peraltro, la prevalenza degli effetti della definizione sulla sentenza non definitiva non lede il principio di separazione dei poteri, poiché opera prima che la funzione giurisdizionale si sia esaurita con la formazione di un giudicato intangibile, il quale, solo, sarebbe insensibile allo ius superveniens.
In conclusione, la sent. n. 30843/2025 si pone, quindi, in linea di continuità con l’orientamento prevalente, confermando che la definizione agevolata delle liti pendenti ex art. 6, D.L. n. 119/2018, costituisce un titolo autonomo e prevalente di regolamentazione del rapporto tributario, idoneo a travolgere gli effetti di qualsiasi pronuncia giurisdizionale non passata in giudicato. Tale principio, fondato su una precisa scelta del Legislatore volta a finalità deflattive, risulta costituzionalmente legittimo in quanto rimesso alla libera scelta del contribuente e operante esclusivamente sulle controversie ancora sub iudice, nel pieno rispetto del limite invalicabile costituito dal giudicato sostanziale.


