21 Aprile 2015

L’accordo di ristrutturazione, si intravede la falcidia

di Claudio Ceradini
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La rubrica settimanale sulla crisi di impresa sta analizzando gli strumenti a disposizione dei soci per tentare di risanare l’impresa in difficoltà. Esaminato la scorsa settimana il piano attestato, si affronta oggi l’accordo di ristrutturazione


Con una situazione come quella delineata negli esempi delle scorse settimane, ed una LGD di quasi quattro milioni di euro, è perlomeno improbabile che un attestatore avveduto possa riconoscere i caratteri di fattibilità di un piano di risanamento puramente incentrato sul recupero della redditività e sulle operazioni di dismissione e ricapitalizzazione. Le risorse per il completamento del pagamento dello scaduto ai fornitori (3.300 in due anni, di cui nei conti sono stati inclusi solo i primi 1.650) mancano dopo il primo anno, ed inoltre l’applicazione degli stress test che i Principi di Attestazione impongono evidenzia una sensibilità alle variazioni rispetto al piano troppo significative, se rapportate all’obiettivo di recupero dell’equilibrio. E’ sufficiente che le vendite non crescano nella misura sperata, o che il margine si riduca, o che le politiche di credito con i clienti si modifichino, ed il fabbisogno finanziario sale in modo eccessivo rispetto alla capacità di copertura. E’ sufficiente che uno solo dei presupposti non si verifichi ed il piano salta, se poi sono più di uno i parametri che non dovessero tornare, gli effetti sarebbero disastrosi. Carenza di copertura e troppa incertezza quindi, oltre ad esigui spazi di manovra a fronte delle variazioni possibili. Commentando i principi di attestazione ne riparleremo, ma era fin dall’inizio chiaro che una “china” di quattro milioni è difficilmente scalabile senza intoppi, a fronte dei quali margini di sicurezza adeguati sono irrinunciabili e, qui, mancanti.

Lo stesso imprenditore preferirebbe rischiare i propri soldi, non pochi a fronte di un piano che offrisse un margine di sicurezza superiore nel suo risultato.

La Legge Fallimentare offre una possibilità: l’accordo di ristrutturazione del debito di cui all’art. 182bis. Nato ormai quasi dieci anni fa in occasione di una delle riforme epocali della disciplina fallimentare, è stato successivamente sostituito dall’art, 16, co. 4, D.Lgs. n. 169/2007 e poi ancora modificato dal D.L. n. 78/2010 (conv. L. n. 122/2010) e dalla L. n. 134/2012. Come già la rubrica lascia intuire, si tratta di un accordo, un contratto, che il debitore conclude con almeno il 60% dei creditori, e del quale richiede al Tribunale l’omologa, traendone benefici in ordine sia agli effetti protettivi sul patrimonio rispetto alle procedure esecutive individuali, in corso o in arrivo, sia anche al trattamento tributario dei relativi effetti, o perlomeno di alcuni. Problema non irrilevante, i creditori dissenzienti debbono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa se scaduti, o entro120 giorni dalla scadenza.

E’ strumento contrattuale, che consente, per non dire presuppone, la richiesta ai creditori di un sacrificio, variamente configurato ma molto spesso costituito da una parziale rinuncia alla pretesa in linea capitale e/o una consistente dilazione. Il carattere dello strumento, che non è concorsuale, consente di raggiungere accordi con i diversi creditori che rispondano ad esigenze aziendali, passando il rigoroso rispetto della gerarchia delle prelazioni in secondo piano. Non è banale, come vantaggio, rispetto al più classico piano concordatario, che è invece concorsuale, perché consente una progettazione più libera.

E quindi la situazione potrebbe cambiare e non di poco.

Immaginiamo che l’accordo di ristrutturazione del debito si sostanzi:

  • nei confronti delle banche, nell’impegno di mantenimento degli affidamenti e nella pattuizione del rientro dell’extra fido utilizzato abusivamente in 5 anni, unitamente alla concessione di un periodo di preammortamento su tutte le posizioni a medio termine.
  • nei confronti dei fornitori, in due diverse pattuizioni:
    • un rientro programmato in cinque anni per i fornitori strategici, che si decide di non falcidiare, che non sono sostituibili e per i quali peraltro anche il debitore è cliente importante
    • una falcidia del 30%, con rientro in cinque anni per i fornitori molto esposti, ma sostituibili, che in caso di cessazione e liquidazione perderebbero di più (la previsione era il 40%, e tipicamente a consuntivo le cose peggiorano, non migliorano), e che quindi accettano. Alcuni fornitori minori, come spesso accade, non accettano, contando sul conseguente obbligo del debitore di saldare loro l’intero importo entro 120 giorni dall’omologa dell’accordo.

Quindi:

 

Debito verso fornitori

 

Debito dopo l’ADR

 

Fornitori

5.800

 

4.500

 

 – strategici

2.200

100%

2.200

pagamento in 5 anni

 – piccoli

1.000

100%

1.000

dissenzienti, pagamento al 120mo giorno

 – rilevanti

2.600

30%

1.820

falcidia e pagamento in 5 anni

 

Il fabbisogno finanziario lordo si riduce, più precisamente subisce il duplice effetto della falcidia per 1.300 e della distribuzione nel tempo consentita dalla dilazione.

 

 

Ipotesi

PA

Ipotesi

ARD

 

Anno 1

Anno 1

Anno 2

Anno 3

Crediti Vs clienti

100

100

Magazzino

-500

-500

Fornitori

-1.650

-1.000

-804

-804

Rientro programmato fornitori strategici

-440

-440

Pagamento dissenzienti

-1.000

Rientro programmato fornitori falcidiati

 

-364

-364

Variazione CCN operativo

1.250

600

804

804

Manutenzioni straordinarie vitali

350

350

0

0

Rimborso mutuo e finanziamento

-200

0

-224

-224

Rientro negli affidamenti

-600

0

-120

-120

Fabbisogno finanziario lordo

2.400

950

1.148

1.148

 

La copertura finanziaria appare più agevole e la necessità della ricapitalizzazione distribuita nel tempo.

 

 

Ipotesi

PA

Ipotesi

ARD

 

Anno 1

Anno 1

Anno 2

Anno 3

Fabbisogno finanziario lordo

2.400

950

1.148

1.148

Autofinanziamento

Risultato netto

-250

-250

60

190

Ammortamenti / accantonamenti

430

430

430

430

Totale

180

180

490

620

Fabbisogno finanziario netto

2.220

770

658

528

Copertura:

 

 

 

 

Finanziamento manutenzioni

120

120

Ricapitalizzazione

1.300

700

600

Cessione cespite

800

800

Totale copertura

2.220

920

700

600

 

Eppure ancora il piano non è perfetto, e l’accordo di ristrutturazione non risolve tutti i problemi. La copertura del fabbisogno finanziario negli anni dal secondo in poi è per certa parte, non irrilevante costituita dai versamenti eseguiti dai soci per ricapitalizzare (700 e poi 600). E gli anni dopo? Per una parte certamente il risultato finanziario positivo accumulato nel triennio (differenza tra copertura e fabbisogno netto) aiuta, ma non basta. Contro un fabbisogno di 1.150 circa che tenderà a rimanere costante per il quinquennio pattuito, la copertura sarà costituita dal solo autofinanziamento, e dalla riserva di liquidità accumulata nel triennio.

E quindi delle due l’una, o ci sono concrete speranze di un autofinanziamento superiore, o forse, ancora una volta, i soldi non basteranno. Si tratta di capire allora se richiedere ai creditori un maggior sacrificio, o se individuare mezzi di copertura adeguati. Se nessuna delle due strade si rivelasse percorribile, allora diventa necessaria una misura ancora più drastica, e non facile, di natura, questa volta, concorsuale.

La vedremo martedì.