Cassazione n. 12227/2025, su detrazione IVA e inerenza nei rapporti controllante-controllata: perché non può diventare un “no” generalizzato ai beni in comodato
di Stefano ChirichignoCon l’ord. n. 12227/2025, la Corte di Cassazione torna su un tema centrale per il diritto tributario: la detraibilità dell’IVA sugli acquisti e il principio di inerenza, con particolare attenzione ai rapporti tra società controllanti e controllate. La sentenza, pur muovendosi nel solco della giurisprudenza consolidata, solleva interrogativi affatto trascurabili per la prassi operativa delle imprese e per l’interpretazione del concetto di inerenza ai fini IVA.
Premessa
La recente ord. n. 12227/2025, offre un nuovo passaggio, importante ma a ben vedere più circoscritto di quanto potesse apparire a prima vista, nel percorso giurisprudenziale sull’inerenza ai fini IVA. Il caso “Alfa” ruota attorno all’acquisto, da parte della controllante, di un impianto di cogenerazione poi utilizzato dalla controllata, con detrazione dell’IVA assolta “a monte” e successivo recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria per difetto di inerenza (ovviamente con annessi sanzioni e interessi). La Cassazione conferma le decisioni di merito, ambedue sfavorevoli al contribuente, ribadendo (i) che l’onere probatorio ricade in capo al soggetto passivo e (ii) la necessità di un collegamento diretto tra acquisto e attività esercitata. Se non si valorizza a pieno questo aspetto si rischia di generalizzare oltre misura la portata della sentenza. L’ordinanza non afferma né può essere letta come affermazione di un principio generale ostativo alla detrazione per i beni dati in comodato, o comunque utilizzati da soggetti “a valle” diversi dal cessionario. In altri termini, la pronuncia si radica in uno specifico deficit probatorio e documentale. Una lettura espansiva, idonea a travolgere prassi consolidate, giurisprudenza compatibile e ratio unionale della neutralità, sarebbe, non solo metodologicamente scorretta, ma anche pericolosa sul piano sistematico.
Il fatto e il percorso processuale: dove si colloca il focus della decisione
La vicenda trae origine dall’acquisto, nel 2011, da parte di Alfa S.p.A., di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con detrazione dell’IVA esposta. L’impianto viene di fatto gestito da una neocostituita controllata, Alfa E. S.r.l., partecipata al 100%, alla quale viene concesso in comodato gratuito il terreno e che, nel 2012, subentra nel contratto di fornitura con il fornitore dell’impianto. La linea difensiva di Alfa è la seguente: la controllata si impegna ad alimentare l’impianto esclusivamente con gli oli e i grassi animali prodotti dalla controllante; le cessioni di tali prodotti avvengono con IVA; l’investimento, pur “fisicamente” impiegato dalla controllata, sarebbe funzionale, in termini di strumentalità economica, al core business di Alfa.
Sia la Commissione tributaria provinciale che la Commissione tributaria regionale avevano rigettato i ricorsi. La Cassazione conferma con ord. n. 12227/2025, prendendo posizione anche su profili processuali per i quali rinviamo al seguente box.
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Profili processuali dell’ord. n. 12227/2025 |
| Giudicato esterno e limiti temporali
La Corte esclude che una pronuncia favorevole su diversa annualità determini un vincolo nel nuovo giudizio: nelle imposte periodiche il giudicato esterno opera solo se ricorrono fatti a efficacia permanente o rapporti di durata, con identità di soggetti, petitum e causa petendi. La mera identità di questioni giuridiche non impone lo “stare decisis”. |
| Motivazione della CTR e “minimo costituzionale”
È ritenuta sufficiente la motivazione che, pur concisa, renda percepibile il ragionamento: nel caso di specie è valorizzato l’uso dell’impianto da parte della controllata e l’assenza di accordi scritti intercompany, elementi reputati decisivi per negare l’inerenza in capo alla controllante. |
| Valutazione delle prove ex artt. 115 e 116, c.p.c.
La Corte richiama i confini del sindacato di legittimità: non è denunciabile come violazione di legge la diversa “pesatura” delle prove, salvo ricorso a prove non introdotte dalle parti o violazione di regole legali di valutazione. |
Ma è sul merito su cui ci vogliamo soffermare. Si può dire che, sotto questo profilo la Suprema Corte rinsalda 3 assi portanti:
- l’inerenza è un giudizio qualitativo sulla riferibilità del costo all’attività effettivamente esercitata dal soggetto che detrae;
- l’onere della prova dell’inerenza incombe sul contribuente e non è soddisfatto dalla mera prospettazione di vantaggi economici indiretti (incremento di fatturato, volumi, utilità mediata);
- nella specie difetta una cornice contrattuale e documentale idonea a “ricondurre” l’impianto all’attività della controllante. Il cuore motivazionale non è la proprietà del bene né il mero fatto del comodato, bensì l’assenza di documenti e accordi scritti che disciplinassero in modo coerente e persuasivo la destinazione strumentale dell’impianto all’attività della società che ha esercitato la detrazione.
Sotto questo profilo, oggettivamente la sentenza non aiuta: testualmente si parla di «contratto di comodato per la cessione del terreno sul quale insisteva l’impianto». È legittimo il dubbio che il set documentale a disposizione della difesa del contribuente non fosse dei migliori e, come si avrà modo di sottolineare oltre, ciò deve avere influenzato non poco i giudici di legittimità. Infatti, se l’impianto, come sembrerebbe, era stato già realizzato dalla società Alfa e sembrerebbe altresì entrato in funzione, in primo luogo il contratto di comodato avrebbe dovuto avere a oggetto l’impianto e non il terreno, le cui possibilità di distinto utilizzo da parte del comodatario erano praticamente azzerate per l’appunto dall’esistenza dell’impianto. La Cassazione non “corregge il tiro”, ma tutto fa pensare che il giudizio si sia basato su un “implicito” comodato dell’impianto. Ma vi è un secondo elemento di incertezza ancor più significativo: ma la società Alfa aveva realizzato l’impianto sulla base di una «destinazione prospettica» che già contemplava la costituzione di una società ad hoc partecipata al 100% cui concedere in uso gratis l’impianto, ovvero vi è stato un «cambiamento di destinazione» sopravvenuto? La domanda potrebbe sembrare eccessiva, andando a interrogarsi sulle mere intenzioni degli attori della vicenda; tuttavia, l’utilizzo di espressioni come «destinazione prospettica» e «cambiamento di destinazione» non è affatto casuale, perché è su di esse che tecnicamente si gioca il discrimine tra il diritto alla detrazione da un lato e l’obbligo di rettificare (in tutto o in parte) la detrazione a suo tempo esercitata (che rimarrebbe quindi perfettamente legittima) dall’altro. Di tutto ciò nella sentenza non vi è traccia e, considerato che è fuor di dubbio che la contestazione fosse mossa dall’Agenzia in termini di esercizio del diritto di detrazione e non di obbligo di rettificare la detrazione effettuata, dobbiamo assumere che la costituzione della NewCo facesse parte del disegno imprenditoriale originario ovvero – e forse questo è lo scenario più verosimile – la difesa della società Alfa non sia stata in grado di produrre prove documentali a sostegno del cambiamento di destinazione. In ogni caso, nel prosieguo, ci baseremo giocoforza sull’assunto che il “problema” non fosse risolvibile attraverso la rettifica della detrazione.
L’angolo visuale corretto: una decisione sul caso concreto, non un cambio di paradigma
È fondamentale evitare uno slittamento concettuale. L’ord. n. 12227/2025:
a) non introduce un divieto generalizzato di detrazione per beni non utilizzati direttamente dal soggetto acquirente o per beni in comodato;
b) non rimette in discussione il principio di neutralità, né i criteri unionali sul nesso diretto e immediato tra operazioni a monte e a valle;
c) non smentisce le linee giurisprudenziali e di prassi che, da decenni, riconoscono la detrazione ove sussista una strumentalità effettiva, anche quando il bene non sia di proprietà del soggetto detraente o sia messo a disposizione di terzi nel quadro dell’attività economica.
Al contrario, la Corte fa applicazione di coordinate consolidate: il giudizio di inerenza è ancorato a elementi oggettivi (attività concretamente esercitata, destinazione dei beni al ciclo operativo del soggetto passivo, tracciabilità documentale della funzione strumentale). Sotto questo profilo, la motivazione richiama la linea già nota per cui utilità meramente potenziali, indirette o mediate non bastano.
In chiave unionale, il riferimento imprescindibile è l’art. 168, Direttiva 2006/112/CE: il diritto alla detrazione sorge nella misura in cui beni e servizi siano impiegati per operazioni soggette a imposta. Da qui discende il nesso diretto e immediato tra operazioni a monte e a valle che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ancorato all’uso effettivo del bene/servizio, escludendo che l’aumento del fatturato o del volume delle operazioni imponibili sia, di per sé, elemento pertinente. Tale allineamento con la prospettiva europea è il vero baricentro dell’ordinanza: non si penalizzano modelli operativi più o meno complessi, ma si pretende che il nesso sia dimostrato secondo criteri oggettivi e documentali.
È un principio che vale sempre, anche quando l’attività non sia ancora iniziata o non possa essere avviata per cause indipendenti dalla volontà del contribuente: in tali casi, la giurisprudenza riconosce la detrazione a fronte di un progetto imprenditoriale serio, documentato e non meramente ipotetico, con la previsione di rettifiche ove il nesso venga meno in seguito.
Nesso diretto, irrilevanza dei volumi “a valle” e neutralità
Inerenza e diritto alla detrazione presuppongono un nesso diretto e immediato tra l’acquisto “a monte” e le operazioni “a valle”; la verifica si concentra sull’uso effettivo dei beni o servizi.
Questa impostazione, tuttavia, non “nega” la detrazione nei casi in cui l’inserimento dello strumento nella catena operativa dell’impresa sia tracciabile e sorretto da un disegno economico e contrattuale coerente. Anzi, la giurisprudenza di legittimità richiamata riconosce la detrazione per spese preparatorie e beni non immediatamente utilizzati nel ciclo produttivo, a condizione che l’assetto operativo sia chiaro, la finalizzazione imprenditoriale effettiva, le cause di mancato o ritardato utilizzo indipendenti dalla volontà del contribuente, e il collegamento oggettivo con l’attività programmata sufficientemente dimostrato.
Perché i frigoriferi in comodato restano un paradigma “buono” (e non un’eccezione)
È qui che occorre calare nel testo, come parte integrante dell’argomentazione, l’esempio storicamente consolidato dei frigoriferi dati in comodato ai rivenditori da parte delle aziende di bevande.
Si deve risalire agli albori del tributo, vale a dire alla risoluzione n. 16/1973, che costituisce la storica risoluzione che riconobbe la detraibilità dell’IVA per i frigoriferi dati in comodato ai rivenditori da parte delle aziende produttrici di bevande, in quanto beni strumentali all’attività d’impresa. Il principio è stato confermato e consolidato in tempi (relativamente) più recenti dalla risoluzione n. 179/E/2005 dell’Agenzia delle Entrate, che ribadisce che la detrazione dell’IVA è ammessa anche per beni dati in comodato (frigoriferi, espositori, ecc.), purché vi sia un nesso di strumentalità con l’attività economica.
Siffatta prassi, riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria è avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità. Merita citare la sent. n. 13162/2024, della Cassazione a Sezioni Unite, che afferma che la detrazione IVA non dipende dalla proprietà del bene, ma dalla sua effettiva strumentalità all’attività d’impresa e la più recente ord. n. 450/2018, che conferma che la detrazione IVA è legittima anche per beni non di proprietà, se effettivamente strumentali.
Non si tratta di “deroghe”, bensì di applicazione piana del principio di inerenza: la detrazione è ammessa non in quanto il bene resti nella sfera fisica dell’acquirente, ma perché è strumentale, in modo diretto, all’attività economica di quel soggetto (presidio del canale distributivo, standard qualitativi, promozione del brand, incremento delle vendite nella filiera propria). La proprietà è irrilevante; rileva la funzione.
La documentazione tipica a supporto del diritto alla detrazione è articolata: accordi di comodato, manuali d’uso e manutenzione, standard qualitativi, obblighi di esclusiva/visibilità del marchio, piani promozionali e clausole di monitoraggio.
La lezione è duplice. Primo: la messa a disposizione del bene a favore di terzi non spezza il nesso diretto se il bene opera come “protesi” dell’attività del soggetto detraente. Secondo: la prova della strumentalità non può essere affidata a mere affermazioni di utilità mediata, ma deve risultare da contratti, policy operative, piani commerciali, parametri di impiego, regole di manutenzione, obblighi di uso e controllo che qualificano il bene come inserito nel circuito dell’impresa che esercita il diritto alla detrazione. È esattamente questa prova che, nel caso Alfa, la Cassazione ha ritenuto mancante.
Distinguere per non confondere: controllante e controllata, comodato e inerenza
Alla luce di quanto precede, gli spunti critici verso una lettura espansiva dell’ord. n. 12227/2025, sono netti.
In primo luogo, il rapporto partecipativo non elide, di per sé, la possibilità di inerenza in capo alla controllante rispetto a beni utilizzati dalla controllata. L’ordinanza non afferma un principio ostativo “di gruppo”. A monte e a valle resta il binario: serve un collegamento diretto tra il bene acquistato e l’attività della controllante. Quando il bene, pur utilizzato giuridicamente o materialmente dalla controllata, è funzionale all’attività della controllante, la detrazione è ammissibile, purché il disegno operativo sia tracciato e provato.
In secondo luogo, l’ordinanza insiste sul profilo documentale. La «mancanza di atti o contratti scritti» che regolino gestione e destinazione dell’impianto tra le società del gruppo è ritenuta decisiva. Non si nega la possibilità di strutturare modelli di uso intersocietario che preservino il nesso di inerenza; si sanziona l’assenza di tale strutturazione, tanto più quando la narrazione dell’utilità si fondi su effetti indiretti e potenziali.
In terzo luogo, il comodato non è un fattore negativo “per definizione”. Nel paradigma dei frigoriferi la detrazione è stata, e resta, fisiologica. Il comodato è compatibile con l’inerenza se e nella misura in cui il bene, benché fisicamente presso terzi, sia funzionalmente inserito nell’attività del soggetto detraente.
Né va dimenticato che la Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 13162/2024) ha ricondotto l’attenzione sulla strumentalità effettiva quale criterio guida, chiarendo che la proprietà del bene non costituisce elemento costitutivo del diritto alla detrazione. Il diritto sorge quando il bene/servizio è funzionalmente collegato all’attività economica del soggetto passivo, e questo collegamento è oggettivamente dimostrabile. L’ord. n. 12227/2025, si muove nello stesso solco: non afferma mai che l’impianto non fosse detraibile perché gestito da un soggetto diverso dall’acquirente; afferma invece che, in assenza di un apparato contrattuale idoneo a rendere il bene “strumento” dell’attività della controllante, la detrazione non è consentita. È una differenza radicale, perché la prima lettura ucciderebbe la neutralità dell’IVA nei modelli evoluti di supply chain; la seconda salvaguarda la neutralità, esigendo rigore probatorio.
Questa cornice consente anche di chiarire il rapporto tra detrazione e rettifica: se il nesso diretto viene meno (per impossibilità sopravvenuta, mutamento del progetto, destinazione incompatibile), la detrazione non si consolida e occorre rettificare. Viceversa, se il nesso permane ed è tracciato da governance e documenti adeguati, la detrazione resiste, anche quando l’utilizzo materiale del bene avvenga presso o per il tramite di terzi all’interno della filiera.
Una roadmap probatoria per evitare derive interpretative
La lezione operativa che si ricava è semplice e, insieme, esigente. Nei modelli in cui la controllante sostiene investimenti in beni utilizzati dalla controllata, la detrazione IVA “tiene” se e solo se:
− il progetto industriale e commerciale è definito e documentato ex ante;
− i rapporti intercompany sul bene sono regolati da accordi scritti che ne definiscono destinazione, oneri, poteri e flussi economici coerenti con la funzione strumentale alla controllante;
− i profili di allocazione dei rischi, manutenzione, assicurazione, standard di utilizzo, monitoraggio e rientro dell’investimento sono disciplinati in modo da qualificare il bene quale “protesi” dell’attività della controllante e non semplice asset della controllata;
− i flussi IVA e le modalità di ribaltamento/corrispettivo sono coerenti con la catena del valore e consentono di ancorare il nesso diretto tra l’acquisto “a monte” e le operazioni “a valle” imputabili alla controllante.
A valle di questi pilastri, una check-list documentale aiuta a standardizzare la prova:
− contratto di comodato/servizi intercompany con oggetto, durata, poteri di controllo della controllante, standard di utilizzo, responsabilità e clausole di rientro;
− piano industriale e business case che imputi l’asset alla funzione della controllante con indicatori di performance coerenti;
− policy operative (manutenzione, sicurezza, assicurazioni) e manuali d’uso che attestino la governance dell’asset da parte della controllante;
− flussi economici e IVA: meccanismi di ribaltamento/corrispettivi, eventuali canoni figurativi, coerenza con prezzi di trasferimento e con la mappa delle operazioni imponibili;
− sistema di monitoraggio (reporting, audit, KPI) e dossier fotografico/documentale sull’inserimento del bene nel circuito dell’impresa detraente.
In mancanza di questa architettura, il rischio di contestazioni per difetto di inerenza è elevato. Ma questo è un tema di prova e governance contrattuale, non un cambiamento di paradigma sui beni in comodato o sui rapporti intragruppo.
Conclusioni: salvaguardare neutralità e certezza, evitando letture “massimaliste”
L’ord. n. 12227/2025, è un richiamo al rigore probatorio sull’inerenza, non un bando alla detrazione per beni in comodato o utilizzati da società collegate. La neutralità dell’IVA resta il faro: il diritto alla detrazione spetta quando il bene è effettivamente strumentale all’attività del soggetto passivo che detrae, a prescindere dalla proprietà e dalla materiale utilizzazione, purché il nesso diretto e immediato sia dimostrato e non si riduca a una prospettazione di vantaggi indiretti. L’esempio storico dei frigoriferi in comodato non è un’eccezione benevola, ma la prova che il sistema funziona se si governa il fatto con contratti e documenti adeguati.
La critica alla Cassazione va dunque incanalata non contro i principi che la Corte applica, ma contro l’uso improprio che se ne potrebbe fare in sede amministrativa: estendere la portata della decisione oltre il suo perimetro probatorio significherebbe disallinearsi tanto alla prassi amministrativa consolidata quanto alle coordinate unionali e, in ultima analisi, alla stessa giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, che fa della strumentalità l’elemento essenziale, non della proprietà né del luogo di utilizzo del bene.
In definitiva, l’ord. n. 12227/2025, conferma che il discrimine non è il comodato, non è il gruppo, non è la proprietà. Il discrimine è la prova, seria e documentata, che quel bene è davvero uno strumento dell’impresa che detrae. Laddove questa prova c’è, la detrazione deve essere riconosciuta; laddove manca, è corretta la ripresa. Ogni lettura diversa rischia di trasformare una fisiologica decisione sul caso concreto in un precedente “massimalista” capace di minare la neutralità dell’imposta e la certezza operativa delle imprese.
Non vi è dubbio che il caso di specie affrontato dall’ord. n. 12227/2025, non è affatto chiaro, ma se la precisazione che la comodataria «si sarebbe impegnata ad utilizzare per la produzione di energia elettrica i prodotti della società contribuente controllante» sta effettivamente a significare che tali “prodotti” venivano ceduti con applicazione dell’IVA dalla comodante alla comodataria, allora è veramente il caso di stracciarsi le vesti, perché l’inerenza è forse addirittura più evidente del caso storico dei frigoriferi.
Approfondimento
Frigoriferi ed espositori in comodato
Prassi amministrativa: la detrazione è stata riconosciuta per i beni dati in comodato (frigoriferi, espositori e simili) quando il bene opera come estensione funzionale dell’attività del produttore lungo il canale distributivo.
Coerenza sistemica: la messa a disposizione presso terzi non recide il nesso diretto se il bene è governato da regole di utilizzo, manutenzione, controllo e rientro che lo qualificano come “protesi” dell’impresa detraente.
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Appendice operativa: confutare le obiezioni tipiche dell’Amministrazione |
| “Il bene è usato da terzi, quindi non è inerente”. L’uso materiale presso terzi non esclude l’inerenza se il bene è governato come strumento dell’impresa detraente (governance, poteri di controllo, obblighi d’uso, rientro, KPI). |
| “Manca aumento di fatturato diretto”. L’inerenza è qualitativa: l’assenza o l’aleatorietà dell’incremento di vendite non è decisiva; rileva l’inserimento oggettivo del bene nel circuito operativo del soggetto che detrae. |
| “Non c’è identità soggettiva tra chi acquista e chi usa”. L’identità non è richiesta; ciò che conta è la strumentalità all’attività del soggetto passivo che esercita la detrazione, secondo una visione funzionale coerente con neutralità e diritto unionale. |
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Queste contro-argomentazioni reggono se e nella misura in cui la documentazione ex ante ed ex post sia robusta e coerente con il modello di business dichiarato. |
Si segnala che l’articolo è tratto da “Iva in pratica”.


