24 Settembre 2025

La Cassazione interviene sulla differenza tra rappresentanza e pubblicità

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La scheda di FISCOPRATICO

Con un recente sentenza (n. 25143/2025 del 13 settembre 2025), la Corte di cassazione interviene (nuovamente) sulla distinzione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità ai fini della loro deduzione dal reddito d’impresa. La pronuncia è di notevole interesse, poiché riafferma e consolida principi ermeneutici già stabiliti, fornendo chiarimenti cruciali sulla corretta qualificazione di talune tipologie di costi aziendali.

Nel ricorso, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che i criteri essenziali per la qualificazione delle spese di rappresentanza fossero la gratuità, le finalità promozionali o di pubbliche relazioni, e la ragionevolezza e coerenza. In particolare, sottolineava come, a partire dal periodo d’imposta 2008 (per effetto delle modifiche a suo tempo apportate), il Legislatore (art. 108, TUIR, e D.M. 19 novembre 2008) avesse dato rilievo al criterio della gratuità e come la giurisprudenza avesse superato il tradizionale discrimine basato sull’oggetto del messaggio (prodotto = pubblicità; immagine = rappresentanza). La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo il motivo fondato, seppur con alcune precisazioni. Il fulcro della decisione risiede nella riaffermazione del criterio degli “obiettivi perseguiti” come elemento dirimente per distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità.

La Corte ha richiamato la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui:

  • le spese di rappresentanza sono sostenute per accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa, senza dar luogo a un’aspettativa diretta di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso l’aumento della notorietà e dell’immagine aziendale. Esse si configurano come costi di iniziative incentrate sull’ente stesso, volte a potenziarne la conoscenza, l’immagine e il prestigio tra potenziali clienti, anche se da ciò può derivare un incremento collaterale delle vendite;
  • le spese di pubblicità (o propaganda) hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, attraverso l’informazione ai consumatori e l’esaltazione delle loro caratteristiche, con l’obiettivo primario di incrementare le vendite. Tali spese devono rispondere a una finalità promozionale specificamente incentrata sui prodotti e calibrata sulla loro vendita.

Questa distinzione è in linea con la nozione di pubblicità emergente dalla giurisprudenza unionale, che implica la diffusione di un messaggio volto a informare il consumatore sull’esistenza e le qualità di un prodotto o servizio allo scopo di incrementare le vendite.

La Corte ha esaminato il quadro normativo di riferimento:

  • l’art. 19-bis.1, comma 1, lett. h), D.P.R. n. 633/1972, prevede l’indetraibilità oggettiva dell’IVA per le spese di rappresentanza, salvo quelle per beni di costo unitario non superiore a 50 euro;
  • l’art. 108, comma 2, TUIR, stabilisce che le spese di rappresentanza sono deducibili se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con Decreto Ministeriale;
  • il D.M. 19 novembre 2008, art. 1, comma 1, specifica che le spese di rappresentanza sono considerate inerenti se costituiscono erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa o sia coerente con pratiche commerciali di settore.

La Suprema Corte ha chiarito che il D.M. 19 novembre 2008, nel definire le spese di rappresentanza, pone l’accento sulla promozione dell’immagine dell’impresa (“rectius“, dell’impresa stessa) piuttosto che sui suoi prodotti, in armonia con la “natura” e la “destinazione” delle spese di cui all’art. 108, comma 2, TUIR.

Relativamente al criterio della gratuità, la Corte ha precisato che esso integra un indice valutabile, ai fini di una ricostruzione fattuale obiettiva e completa della spesa, ma non costituisce l’elemento dirimente per la qualificazione. La gratuità è un connotato normalmente, ma non necessariamente né univocamente, riguardante le spese di rappresentanza. L’elemento dirimente resta la natura e la funzione della spesa.