9 Settembre 2025

Escluso l’obbligo di versamento dell’IVA non dovuta in assenza di rischio di danno erariale

di Marco Peirolo
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La scheda di FISCOPRATICO

L’art. 203, Direttiva n. 2006/112/CE, recepito dall’art. 21, comma 7, D.P.R. n. 633/1972, prevede che l’IVA sia dovuta da chiunque la indichi in fattura e, quindi, anche in assenza di un’operazione imponibile.

La portata di tale disposizione nel caso in cui il cliente, al quale il fornitore abbia erroneamente addebitato una maggiore IVA per effetto dell’applicazione di un’aliquota superiore a quella prevista per l’operazione posta in essere, sia un “privato consumatore”, in quanto tale non legittimato a esercitare la detrazione dell’imposta, è stata esaminata dalla Corte di Giustizia UE con 2 recenti sentenze.

La prima, più datata, è relativa alla causa C-378/21 dell’8 dicembre 2022, rispetto alla quale la Corte ha affermato che il fornitore non è obbligato a versare all’Erario la maggiore IVA erroneamente addebitata in fattura.

Infatti, il citato art. 203, Direttiva n. 2006/112/CE, ha l’obiettivo di evitare il rischio di danno erariale conseguente all’esercizio della detrazione da parte del cliente; rischio che non si pone nel caso di specie, in cui il cliente sia un “privato consumatore”.

Dato che l’IVA indebitamente applicata non deve essere versata all’Erario, la Corte ha ritenuto “assorbite” le ulteriori questioni sollevate dal giudice nazionale, dirette a sapere:

  • se la rettifica della fattura possa essere omessa qualora, da un lato, sia escluso il rischio di perdita di gettito e, dall’altro, la rettifica della fattura non sia più possibile;
  • se la rettifica dell’IVA sia preclusa dal fatto che il cliente abbia corrisposto l’imposta al fornitore, che, quindi, otterrebbe un indebito arricchimento.

Più recentemente, con la sentenza 1° agosto 2025, causa C-794/23, la Corte ha confermato la propria posizione.

Nel caso considerato, l’errore di aliquota è stato commesso dal gestore di un parco giochi e non è possibile escludere che, tra i numerosi visitatori, vi siano anche clienti che rivestono la qualifica di soggetti passivi IVA, ponendosi, quindi, la questione di quale sia la linea di demarcazione tra le due fattispecie, tenuto anche conto che l’identità dei clienti nei “contratti di massa” non viene solitamente annotata dall’impresa che effettua la prestazione.

La Corte ha anzitutto ribadito che, in una situazione in cui una parte dell’IVA addebitata è stata erroneamente fatturata, l’art. 203, Direttiva n. 2006/112/CE, è applicabile solo all’importo dell’imposta che supera quello correttamente fatturato. Infatti, in questo caso, sussiste un rischio di perdita di gettito fiscale, in quanto il destinatario della fattura, se soggetto passivo, potrebbe essere esercitare il diritto alla detrazione senza che l’Amministrazione finanziaria sia in grado di stabilire se siano soddisfatte le condizioni per l’esercizio di tale diritto.

Ne consegue che l’applicazione dell’art. 203, Direttiva n. 2006/112/CE, è subordinata unicamente all’esistenza di un rischio di perdita di gettito fiscale, il quale deve essere valutato sulla base di ciascuna specifica fattura e non può dipendere dal fatto che le prestazioni siano state fornite non soltanto a persone che non sono soggetti passivi, ma anche a soggetti passivi. Pertanto, ai fini della valutazione dell’esistenza del rischio in esame, occorre verificare se il destinatario della fattura sia effettivamente un soggetto passivo e possa, in caso positivo, esercitare il diritto alla detrazione.

In ordine alla nozione di “privato consumatore”, rispetto al quale non è configurabile il rischio di danno erariale, la Corte ha confermato che, per tale, s’intende non soltanto la persona che non è un soggetto passivo, ma anche il soggetto passivo che, in una determinata situazione, non può esercitare il diritto di detrazione. Pertanto, l’obbligo di versare all’Erario l’IVA indebitamente applicata non opera per le fatture emesse nei confronti di soggetti passivi che, a causa dell’utilizzo della prestazione per fini privati, non hanno, sotto il profilo sostanziale, alcun diritto alla detrazione. Lo stesso vale anche, sempre a titolo di esempio, per le prestazioni rese a favore di soggetti passivi ai quali, in considerazione della natura esente delle operazioni effettuate “a valle”, non spetta parimenti, sotto il profilo sostanziale, il diritto di detrazione.

Infine, nella causa C-794/23, la Corte si è pronunciata anche sulle modalità di determinazione dell’IVA non dovuta da versare all’Erario nel caso in cui una parte dei clienti ai quali sia stata erroneamente addebitata l’imposta siano soggetti passivi con diritto alla detrazione.

L’individuazione esatta delle fatture, in relazione alle quali sussiste un rischio di perdita di gettito e di quelle per le quali tale rischio, è escluso riguarda l’autonomina procedurale degli Stati membri, attenendo all’onere di esporre e provare i fatti nel procedimento tributario del rispettivo Stato membro.

Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria deve accertare, in linea di principio, il numero delle fatture emesse nei confronti di soggetti passivi per poter affermare l’esistenza di un debito d’imposta ai sensi dell’art. 203, Direttiva n. 2006/112/CE e, a tal fine, occorre tenere conto di tutte le circostanze pertinenti, quali la natura del servizio fornito, le modalità di prestazione e di fatturazione di tale servizio, nonché di ogni informazione statistica relativa ai destinatari di detto servizio di cui dispone il suo prestatore. A questo riguardo, assume particolare rilievo il fatto che, nel caso di specie, i clienti del soggetto passivo interessato siano piuttosto raramente altri soggetti passivi.

La Corte ha ammesso la possibilità di stimare la base imponibile, qualora la stessa non possa essere quantificata, purché siano rispettati i principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità.

Come indicato dall’Avvocato generale nelle conclusioni presentate il 19 dicembre 2024, i criteri ritenuti idonei per una stima della quota delle fatture che implicano un rischio di perdita di gettito discendono dal tipo di prestazione e dalla cerchia di clienti tipica. Anche l’identità del fornitore e il tipo di contributo reso al fine di chiarire i fatti possono costituire criteri rilevanti per una stima.