11 Luglio 2025

Trust interposto e adempimenti bancari connessi

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

Chi si occupa professionalmente di trust deve necessariamente fare i conti con il tema della interposizione fiscale. Sul punto, negli ultimi anni, sono state diramate diverse risposte a interpello, con indicazioni talora discutibili. Ci sia concesso svolgere un esercizio di stile, invero poco scientifico ma efficace, al fine di condividere il disagio dell’operatore accorto. Proviamo ad estrapolare alcune affermazioni dell’Agenzia delle Entrate in tema di interposizione.

In particolare, il trust risulterebbe interposto:

  • quando il disponente ha il potere di revocare il guardiano da solo o anche quando l’atto istitutivo impone che concorra anche la volontà di almeno un beneficiario (risposta a interpello n. 267/E/2023);
  • quando, mancato il disponente, il potere di revoca del guardiano è rimesso alla maggioranza dei beneficiari nel caso in cui manchino «criteri oggettivi per l’individuazione del guardiano e del trustee» e non siano indicate le «circostanze oggettive che comportino la revoca degli stessi» (ancora risposta a interpello n. 267/E/2023);
  • quando i trustee debbono chiedere il consenso del guardiano per il compimento di talune attività se il guardiano è soggetto a essere sostituito dai beneficiari (risposta a interpello n. 796/E/2021);
  • quando i trustee deliberano l’alienazione del bene rilevante del trust nel corso di un incontro al quale partecipano i beneficiari, i quali manifestano il proprio consenso (risposta a interpello n. 9/E/2022);
  • quando i disponenti sono titolari del potere di modificare i beneficiari o di attribuire specifici beni a specifiche persone (risposta a interpello n. 381/E/2019).

In tema di trust, l’interposizione pare essere sempre dietro l’angolo.

Giova ricordare che quando si deve valutare la presunta interposizione di un trust, non è possibile esprimere giudizi compiuti, se non si ha a disposizione l’atto istitutivo, se non si conoscono i soggetti coinvolti ed il contegno da essi tenuto, e così via. Ovviamente, quando si esaminano i trust oggetto di risposte a interpello o di sentenze non si può che fondare l’analisi su elementi parziali, ovvero su alcune clausole o estratti di clausole, così come citati nelle risposte o sentenze in questione.

Invero, ogni trust ha una propria storia e deve essere singolarmente valutato al fine di poter esprimere un giudizio in tema di interposizione.

L’interposizione del trust porta con sé anche altri adempimenti.

Risale ad oltre 5 anni fa la risposta a interpello n. 111/E/2020, avente ad oggetto un trust revocabile e, come tale, fittiziamente interposto. Si leggeva, nella citata risposta, che «le opzioni per il regime del risparmio amministrato e del risparmio gestito (previste, rispettivamente, dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997), esercitate dal Trustee (ovvero dalla Fiduciaria) per conto del Trust, esplicano la loro validità nei confronti del Disponente.

A tal fine il Disponente o il Trustee sono tenuti ad informare tempestivamente l’intermediario o il gestore affinché quest’ultimi possano adempiere ai propri obblighi fiscali correttamente.

In particolare, l’intermediario e il gestore delle Relazioni Bancarie, informati dell’inesistenza del Trust ai fini dell’imposta sul reddito, devono applicare i predetti regimi di imposizione sostitutiva avendo riguardo al Disponente quale titolare delle Relazioni».

In sostanza, il trustee di un trust interposto opta per il regime amministrato o gestito, segnalando alla banca che il cliente effettivo è l’interponente.

Possiamo far sì che l’interposizione non interessi mai il trust? Purtroppo, per la natura dell’istituto, la risposta è negativa. Si potrebbe, invero, tentare di risolvere il problema (almeno in parte) prevedendo una regolamentazione normativa delle principali casistiche.

Da quanto si legge in giro, sembrerebbe che taluni vogliano estendere alle holding il tema dell’interposizione fiscale.

Pensando per un attimo di aderire acriticamente a questa impostazione potrebbe capitare che l’amministratore della società interposta possa optare per il regime del risparmio amministrato o gestito, segnalando all’intermediario che i clienti effettivi sono i soci della società, essendo la società interposta. Ove l’approccio non fosse accettato dalla banca, si potrebbe pensare di far esercitare l’opzione direttamente dai soci.

Non possiamo non notare come si tratti di una situazione abbastanza problematica che potrebbe ingenerare diverse criticità operative.

Peraltro, l’interposizione dovrebbe prescindere assolutamente dalla fonte della liquidità che ben potrebbe giungere dai soci come finanziamento o apporto di capitali o essere conseguita da dividendi o plusvalenze derivanti dalla cessione di quote. Infatti, se il reddito finanziario derivante dalla liquidità deve essere imputato ai soci, l’imputazione deve prescindere dalla fonte della liquidità stessa.

Ma è davvero necessario ritenere che una società possa essere interessata dal fenomeno dell’interposizione fittizia?

Chi scrive ritiene che l’interposizione fittizia mal si adatti alle società italiane e si condividono le affermazioni di chi ha sostenuto che considerare la holding fittiziamente interposta significa cancellarla dalla realtà, nonostante si tratti di una società pienamente funzionante.

Questo approccio crea una inaccettabile incertezza del diritto.

Si tratta di temi che verranno approfonditi nel master di specializzazione dedicato al trust organizzato da Euroconference che partirà il prossimo 10 novembre e i cui dettagli sono consultabili al seguente link.