17 Gennaio 2015

L’estensione della variazione Iva facilita gli accordi con i creditori

di Marco Capra
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Nella difficile “arte del rilancio”, un piccolo aiuto è portato dal legislatore fiscale: con l’entrata in vigore, lo scorso 13.12.2014, del D. Lgs. n. 175/2014, cd. decreto Semplificazioni, è stato eliminato il termine annuale per l’emissione delle note di variazione nei casi di accordo di ristrutturazione dei debiti[1] omologato e di piano attestato[2] pubblicato nel Registro delle imprese.

La novella è da salutare con favore, perché facilita gli accordi con i creditori, rendendo meno pesante il sacrificio loro imposto: il beneficio, forse, non sarà determinante, ma nice to have.

La disciplina previgente, prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, riguardante le variazioni dell’imponibile e dell’imposta, vedeva la possibilità, per un contribuente, di esercitare il diritto ad emettere una nota di variazione, con valenza sull’imposta, solo a specifiche condizioni. L’operazione originaria, necessariamente fatturata in precedenza, doveva venir meno (in tutto o in parte), oppure doveva ridursi l’ammontare imponibile, in seguito a:

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e casi assimilabili;
  • mancato pagamento, totale o parziale, a causa di procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose[3];
  • applicazione di abbuoni o sconti contrattualmente previsti.

Tale impostazione, generalmente, impediva il recupero dell’imposta nei casi di piano attestato e di accordo di ristrutturazione, a causa del trascorrere del termine annuale rispetto alla operazione originaria: è comune esperienza, infatti, che siffatte operazioni, per la loro complessità e la necessità di condivisione con il ceto creditorio, si perfezionano in circa 12 – 18 mesi.

La nuova previsione ha, dunque, lo scopo di:

  • estendere a queste due procedure para-concorsuali, la cui importanza nel panorama degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa è in forte crescita, la disciplina prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 per le procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore) e le procedure esecutive rimaste infruttuose;
  • coordinare la disciplina sulla deducibilità delle perdite su crediti, in riferimento alle II.DD., e la disciplina Iva attinente alle variazioni dell’imponibile o dell’imposta.

Tanto chiarito, è utile proporre una riflessione generale circa il momento in cui può essere esercitato il diritto alla detrazione. La mancata previsione di un limite da parte dell’art. 26 non consentirebbe in ogni caso il libero esercizio del diritto alla detrazione, in quanto dovrebbe, comunque, essere rispettato il principio generale sancito dall’art. 19 del citato D.P.R. n. 633/1972, che prevede, come termine ultimo per l’esercizio del diritto alla detrazione, la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui tale diritto alla detrazione è sorto: in tale senso si è espressa l’Amministrazione Finanziaria con Risoluzione n. 89/E/2002.

Pertanto il recupero dell’Iva versata su crediti non incassati potrà essere effettuato fino all’invio della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per apportare la variazione in diminuzione.

Nel caso delle procedure concorsuali ed esecutive, il momento da cui far decorrere il termine biennale per l’esercizio del diritto alla detrazione, in base a quanto indicato nella Circolare n. 77/E/2000, sarebbero:

  • in caso di dichiarazione di fallimento: dopo 10 giorni dal deposito in cancelleria del piano di riparto o 15 dal decreto di chiusura;
  • in caso di liquidazione coatta amministrativa: dopo 20 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuto deposito del piano di riparto;
  • in caso di concordato fallimentare o preventivo: dopo 15 giorni dall’affissione della sentenza di omologazione del concordato;
  • in caso di procedure esecutive: le stesse si considerano infruttuose quando il creditore è rimasto insoddisfatto. Va precisato che il procedimento di esecuzione forzata si compone di tre fasi e cioè il pignoramento, la vendita all’asta e l’attribuzione del prezzo ricavato dalla vendita.

Nelle due nuove fattispecie – il piano attestato e l’accordo di ristrutturazione, come detto – in mancanza di un intervento di prassi dell’Amministrazione finanziaria, in base al dettato letterale della norma, si ritiene che il momento da cui far decorrere il termine biennale sia:

  • per il piano attestato: la pubblicazione nel Registro delle imprese del piano stesso;
  • per l’accordo di ristrutturazione: la pubblicazione del decreto di omologazione da parte del Tribunale.

Con specifico riferimento al piano attestato, è opportuno rammentare come, ai sensi dell’art. 67 del R.D. n. 267/1942, il debitore non è obbligato alla pubblicazione sul registro imprese del piano, bensì ne ha la mera facoltà[4]. Con tutta probabilità, dunque, ove la “componente Iva” della massa passiva sia incisiva, si assisterà ad un conflitto tra il creditore ed il debitore: il creditore avrà interesse ad ottenere la pubblicazione del piano, in modo da ottenere la detrazione dell’Iva sulla parte di credito alla quale rinunciano[5], mentre il debitore non avrà interesse a ricevere le note di variazione, in quanto le stesse genereranno un corrispondente debito Iva.

 

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[1] Art. 182-bis del R.D. 267/1942.

[2] Art. 67, terzo comma, lettera d) del R.D. 267/1942.

[3] Si veda la risoluzione n. 195/E/08 per i casi di inammissibilità della nota di variazione.

[4] Invero, i casi di pubblicazione sono relativamente rari, per comprensibili ragioni di riservatezza.

[5] Può essere utile una specifica previsione nell’accordo stesso.