23 Luglio 2025

Il trattamento IVA dei contributi pubblici

di Chiara Borghisani
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Il tema del discrimine tra contributo corrispettivo e contributo non corrispettivo è dirimente ai fini della corretta qualificazione ai fini IVA degli stessi. La disamina delle qualità caratterizzanti gli uni e gli altri, consente di qualificare un contributo come mera concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzione di vantaggi economici, ex art. 12, Legge n. 241/1990, e pertanto fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972, o come corrispettivi per prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 3, comma 1, della citata Legge IVA.

La disamina della copiosa prassi in materia ha delineato gli elementi da prendere in considerazione per condurre la valutazione sopra esposta pur nelle incertezze normative di una disciplina complessa (le numerose risoluzioni in materia sono la conferma di quanto affermato) che si trova oggi a interfacciarsi con strumenti e situazioni nuove recate dalla Riforma del Terzo settore.

Gli enti del Terzo settore spesso operano in convenzione/accreditamento con la Pubblica amministrazione nell’espletamento delle attività di interesse generale. Il “contributo pubblico” nei rapporti con gli enti del Terzo settore (ETS) rappresenta una forma di finanziamento che proviene dallo Stato, dalle Amministrazioni locali o da altri enti pubblici, con lo scopo di sostenere attività di interesse pubblico, sociale o culturale.

Lo stesso Codice riserva una disciplina ad hoc (recata dagli artt. 55, 56 e 57, D.Lgs. n. 117/2017) a tale tipologia di “collaborazione” definendone i caratteri peculiari ed esclusivi che ne tratteggiano il perimetro giuridico.

Anche sotto un profilo reddituale il Codice del Terzo settore, all’art. 79, D.Lgs. n. 117/2017, definisce la rilevanza reddituale e la concorrenza alla determinazione della natura fiscale delle attività di interesse generale, prima, e dell’ente del Terzo settore poi, di tali di remunerazioni/contribuzioni.

Nel presente lavoro esamineremo la disciplina IVA regolante i rapporti tra Pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore, introducendo una differenziazione sostanziale sotto un profilo terminologico rispetto al termine “contributo”.

 

Definizione di contributo pubblico corrispettivo versus contributo pubblico non corrispettivo

Infatti, nel contesto delle relazioni tra Pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (ETS), la qualificazione delle somme erogate a titolo di “contributo pubblico”, deve essere declinata nella distinzione tra contributo corrispettivo versus contributo non corrispettivo (contributo a fondo perduto).

I contributi a fondo perduto sono quelli versati senza alcuna connessione a prestazioni di servizi o a cessioni di beni, e in quanto tali non soggetti a IVA[1]. Nel presente lavoro gli stessi saranno qualificati come contributi non corrispettivi. I contributi pubblici non corrispettivi sono importi che vengono erogati a sostegno delle finalità dell’ente. Questi contributi non sono legati alla prestazione di un servizio specifico in cambio, ma hanno lo scopo di sostenere in modo generale le attività sociali, culturali o di utilità pubblica svolte dagli ETS (concessione di sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari o attribuzione di vantaggi economici).

I contributi pubblici non corrispettivi si connotano per le seguenti caratteristiche:

− assenza di obbligo di restituzione: l’ente non è tenuto a restituire i fondi ricevuti, anche se deve rendicontare l’uso che ne ha fatto;

− obiettivi di utilità sociale: questi contributi sono destinati a sostenere progetti che abbiano un valore sociale, culturale, educativo o ambientale;

− nessun corrispettivo diretto: non c’è una prestazione specifica che deve essere resa per ottenere il contributo, ma piuttosto un sostegno alle attività complessive dell’ente.

Esempio: un’associazione culturale che organizza eventi per la promozione della cultura locale può ricevere un contributo pubblico a fondo perduto per finanziare queste attività.

I contributi pubblici corrispettivo, per contro, sono erogazioni che vengono concesse agli ETS in cambio di un servizio o di una prestazione specifica che l’ente deve erogare. In sostanza, si tratta di un “compenso” che viene dato in cambio di un’azione concreta, connessa a un servizio reso a beneficio della comunità (convenzione a titolo oneroso a prestazioni corrispettive).

La fattispecie di contributo corrispettivo si connota per le seguenti caratteristiche:

condizioni specifiche: l’ente deve svolgere una determinata attività o servizio pubblico, come la gestione di una struttura, l’organizzazione di eventi o la fornitura di determinati servizi sociali;

contratti o accordi: solitamente questi contributi sono disciplinati da contratti o convenzioni che stabiliscono le modalità di erogazione e gli obblighi reciproci, prevedendo all’interno dell’accordo specifiche clausole contrattuali (tempi, modalità erogazione, penali per inadempimento, clausole risolutive, ecc.);

rendicontazione: l’ente beneficiario deve rendicontare l’utilizzo del contributo e il servizio svolto per giustificarne l’uso. L’obbligo di rendicontazione non determina automaticamente la corrispettività: la sola previsione di un obbligo di rendicontazione delle spese non comporta di per sé il carattere oneroso dell’erogazione, se non accompagnato da obblighi di risultato o altre forme di prestazione in cambio del contributo.

La distinzione sopra operata riveste una rilevanza fondamentale ai fini del trattamento tributario, in particolare con riferimento all’IVA.

Quindi, la distinzione principale tra i due tipi di contributi è legata alla natura della prestazione da rendere (un servizio specifico vs. attività generali di interesse pubblico) e alla presenza di obblighi contrattuali del “fare” (obbligo di prestazione vs. assenza di obbligo).

Ai sensi della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E/2013, per: «“contributo non corrispettivo” si intende una elargizione di somme di denaro che non trova causa in una prestazione resa a favore dell’ente erogatore, bensì è finalizzata al perseguimento di finalità di interesse generale, senza instaurare un rapporto giuridico sinallagmatico».

Ancorché sia trascorso più di un decennio, la circolare n. 34/E/2013, continua a essere il documento di prassi di riferimento sul tema.

La rilevanza di detta circolare, che rappresenta un utile strumento di interpretazione degli atti tra PA e ETS è quella di dettare dei criteri gerarchici da applicare alla disamina documentale: in prima battura vanno ricercati i criteri generali e poi, in subordine, quelli sussidiari per qualificare la natura delle erogazioni.

Il primo assunto fondamentale, nella qualificazione della natura del contributo o di attribuzione di altro vantaggio economico, recato dalla citata circolare si fonda sulla verifica del concreto assetto degli interessi delle parti. Verifica che deve essere condotta attraverso l’analisi documentale degli accordi per appurare quale sia l’interesse dei soggetti coinvolti nella definizione dell’accordo e che si basa sulla seguente disamina.

 

Criteri generali per l’attribuzione della qualifica di contributo

In prima battuta occorre verificare che il contributo sia stato definito tale in forza di norme di legge – specifiche o generali – ovvero in base al diritto UE.

Questo criterio interpretativo è fondamentale in quanto viene impresso un vincolo allo specifico finanziamento che impedisce che il soggetto beneficiario possa disporre liberamente delle somme stanziate[2].

La natura di contributo pubblico può essere desunta:

− direttamente da norme di legge, qualora la disposizione preveda l’attribuzione di somme a determinati soggetti al verificarsi di presupposti predeterminati (ad esempio 5×1000, contributi ex art. 72, CTS, contributi automatici o selettivi);

− dalla ricorrenza di procedimenti amministrativi ex art. 12, Legge n. 241/1990, i quali sono preordinati all’attribuzione di vantaggi economici, mediante atti unilaterali e nel rispetto di principi di trasparenza e imparzialità.

In tali ipotesi, l’Amministrazione non instaura un contratto con l’ente, ma dispone un’erogazione che ha come presupposto il perseguimento di finalità pubbliche condivise. Ciò consente di qualificare la somma come contributo pubblico e non come corrispettivo, escludendone la rilevanza IVA.

L’art. 12, Legge n. 241/1990, statuisce il principio per il quale qualsiasi attribuzione di denaro pubblico a qualsiasi titolo debba essere predeterminata nei criteri e nelle modalità, al fine di garantirne la trasparenza e di verificare l’assenza di qualsivoglia profilo di ambiguità sulla natura della dazione di denaro pubblico.

Criteri sussidiari per l’attribuzione della qualifica di contributo

Nel caso in cui non vi sia una norma (specifica o generale) che consenta di qualificare un’erogazione pubblica come contributo o corrispettivo, la circolare n. 34/E/2013, al par. 2, impone di ricorrere a criteri sussidiari. Questi mirano a ricostruire il concreto assetto degli interessi tra le parti, e sono:

a) rapporto di scambio che attribuisca alla PA erogante un vantaggio diretto ed esclusivo a fronte dell’attività posta in essere dall’ente beneficiario;

b) acquisizione da parte del soggetto erogante dei risultati dell’attività finanziata. Se il soggetto pubblico acquisisce la proprietà – anche parziale – dei risultati (ad esempio di una ricerca, di un’opera, di un servizio), si configura un rapporto sinallagmatico e quindi corrispettivo;

c) presenza di clausola risolutiva espressa o obbligo di risarcimento per inadempimento che dia luogo a una responsabilità contrattuale. Queste clausole contrattuali sono tipiche dei contratti a prestazioni corrispettive. La loro presenza è sintomo di reciprocità degli obblighi, e quindi si è presumibilmente di fronte a un corrispettivo imponibile IVA. Tali elementi, laddove sussistano, orientano verso la qualificazione del contributo come corrispettivo.

Questi criteri devono essere valutati caso per caso, analizzando attentamente l’accordo, la convenzione o il provvedimento di assegnazione delle risorse, esaminando il rapporto giuridico sottostante, la natura dell’atto amministrativo o convenzionale e la presenza di elementi sintomatici di corrispettività, e rappresentano un passaggio fondamentale per inquadrare correttamente il trattamento IVA. Comprendere infatti se la Pubblica amministrazione abbia intenzione di attuare un contratto o una serie di contratti oppure finanziare una predeterminata tipologia di attività e/o progetti, è un’operazione che andrebbe effettuata ogniqualvolta un ente pubblico conferisce denaro a un soggetto privato, a maggior ragione se trattasi di un ente del Terzo settore, ulteriormente soggetto a obblighi e limitazioni. A oggi, in considerazione anche dell’evoluzione normativa in tema di contratti pubblici, è imprescindibile procedere a un corretto inquadramento della fattispecie, onde evitare riprese a tassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, laddove l’erogazione avvenga in assenza di obbligazioni a carico del beneficiario (di dare, fare, non fare o permettere) e non sia configurabile un obbligo contrattuale verso la Pubblica amministrazione, essa si qualifica come mera movimentazione finanziaria e risulta fuori dal campo di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972.

Una erogazione in denaro qualificabile come contributo, ossia come mera movimentazione di denaro, sarà esclusa dall’IVA, non integrandone i presupposti e, in particolare, il carattere di onerosità che deve avere la cessione di beni o la prestazione di servizi (artt. 2, comma 1 e 3, comma 1, D.P.R. n. 633/1972). Diversamente, ove la corresponsione di denaro pubblico sia manifestazione di sinallagma, ossia di un nesso di reciprocità fra le prestazioni, indipendentemente dal nomen iuris, ai fini fiscali deve essere considerata una operazione rilevante ai fini IVA e quindi assoggettata all’imposta. Si riportano di seguito alcuni esempi rappresentativi di casistiche frequenti nella prassi degli enti del Terzo settore, con relativa qualificazione ai fini dell’IVA.

Contributi erogati in regime di co-programmazione e co-progettazione (art. 55, D.Lgs. n. 117/2017)

Il Codice del Terzo settore, D.Lgs. n. 117/2017, all’art. 55, in attuazione del principio di sussidiarietà previsto dalla Costituzione (art. 18), prevede che le Amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle funzioni di programmazione territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale di cui all’art. 5 del citato Decreto legislativo, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto delle norme di materia di procedimento amministrativo di cui alla Legge 7 agosto 1990, n. 241. Le Linee Guida in tema di strumenti partecipativi del Terzo settore adottate con D.M. n. 72/2021, qualificano gli istituti di co-progettazione co-programmazione e convenzioni con OdV e APS quali contributi ex art. 12, Legge n. 241/1990.

La co-programmazione, ex art. 55, D.Lgs. n. 117/2017, è finalizzata all’individuazione dei bisogni da soddisfare, dei relativi interventi necessari, delle loro modalità di realizzazione, e delle risorse disponibili.

La co-progettazione, ex art. 55, D.Lgs. n. 117/2017, è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare i bisogni individuati nella fase di co-programmazione.

La stessa Corte Costituzionale, con l’epocale sentenza n. 131/2020, afferma che: «il modello configurato dall’art. 55 CTS, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico».

Sul tema è intervenuta recentissimamente l’Agenzia delle Entrate con una risposta a interpello[3] nel quale ha ribadito, richiamando la prassi individuata dalla circolare n. 34/E/2013, dell’analisi case by case e da altri documenti di prassi[4], l’irrilevanza ai fini IVA delle erogazioni di denaro effettuate dalla Pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 12, Legge n. 241/1990, come espressamente richiamata dall’art. 55, D.Lgs. n. 117/2017.

Pertanto, nell’ambito dei rapporti di amministrazione condivisa tra enti pubblici ed ETS disciplinati dagli artt. 55-57 del Codice del Terzo settore, i contributi erogati a seguito di co-progettazione – qualora non sussista un rapporto sinallagmatico – non costituiscono corrispettivo, ma mera movimentazione finanziaria, rientrando pertanto fuori dal campo IVA (art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972).

 

Contributi per convenzioni ex art. 56 CTS con OdV e APS (rimborso spese documentate)

L’art. 56 del Codice del Terzo settore, individua i requisiti che devono essere necessariamente inseriti nelle convenzioni a rimborso spese tra Pubblica amministrazione e OdV e APS.

Le convenzioni ex art. 56, recano l’indicazione dei contenuti minimi in ordine a: «le modalità di risoluzione del rapporto, forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità, la verifica dei reciproci adempimenti nonché le modalità di rimborso delle spese, nel rispetto dell’effettività delle stesse, con esclusione di qualsiasi attribuzione a titolo di maggiorazione, accantonamento, ricarico o simili, e con la limitazione del rimborso indiretti alla quota parte imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione».

Infatti, le convenzioni stipulate con OdV o APS ai sensi dell’art. 56, D.Lgs. n. 117/2017, prevedono il solo rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, in regime di gratuità conforme alla nozione eurocomunitaria[5]. Pertanto, la domanda che ci si pone è se in assenza di remunerazione, le somme corrisposte potrebbero essere qualificate come non rientranti nel campo di applicazione dell’IVA? In dottrina la tesi è controversa.

A parere di chi scrive, in assenza di una precisa indicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, rifacendosi a quanto prescritto nella circolare n. 34/E/2013 dell’Amministrazione finanziaria, non sarebbe la limitazione del contributo (rimborso spese) a definire la rilevanza ai fini IVA ma il contenuto della convenzione e la verifica del concreto assetto degli interessi delle parti.

La necessità di operare, per OdV e APS, esclusivamente a rimborso delle spese effettivamente sostenute non qualifica di per sé la dazione di denaro come mera movimentazione di denaro se non effettivamente priva di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli ETS, nel perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. In assenza di questi elementi la convenzione si connota come una prestazione di servizi per la quale la remunerazione è commisurata alle spese sostenute e l’attività è a vantaggio diretto ed esclusivo della Pubblica amministrazione erogante[6] e pertanto l’attività è rilevante ai fini IVA.

 

Contributi a fondo perduto erogati da bandi pubblici (es. PNRR, avvisi art. 72, CTS)

Nel caso di contributi pubblici a fondo perduto, attribuiti a seguito di procedura selettiva (ad esempio bando PNRR, avviso ministeriale), senza che il soggetto beneficiario sia obbligato a fornire una prestazione in cambio, l’erogazione non configura un corrispettivo, ed è pertanto fuori campo IVA.

Tuttavia, laddove dall’accordo emerga un obbligo di risultato o la produzione di output a favore dell’ente pubblico (ad esempio. rapporto, software, studio trasferibile), potrebbe ravvisarsi un rapporto sinallagmatico, con conseguente rilevanza IVA[7].

 

Finanziamenti con clausole contrattuali tipiche (clausola risolutiva, obbligo di risultato, penali)

Qualora l’atto di assegnazione del contributo o la convenzione prevedano elementi che richiamano un contratto d’opera o di appalto (es. clausola risolutiva, obbligo di restituzione, penali per inadempimento), anche con espresso riferimento al Codice degli appalti D.Lgs. n. 36/2023, e il beneficiario si impegni ad eseguire una prestazione specifica a favore dell’Amministrazione, si configura un rapporto a prestazioni corrispettive. In tal caso, il contributo, costituisce il compenso per la prestazione resa[8] e il corrispettivo sarà imponibile ai fini IVA, da assoggettare secondo le regole ordinarie.

 

Conclusioni

Di fatto la tematica non sembra né risolta né di pronta soluzione, dovendosi procedere a delle valutazioni caso per caso, e considerando anche il fatto che il mutato quadro normativo e l’avvento di nuovi strumenti nei rapporti tra PA e ETS introdotti dalla riforma del Terzo Settore renderebbero necessario, o quanto meno auspicato, un coordinamento oltreché una ricognizione normativa per il corretto inquadramento delle procedure contributive nel rispetto delle normative fiscali.

Ciò è reso ancor più necessario dal dettato normativo dell’art. 6, D.Lgs. n. 36/2023, il quale, pur disciplinando il Codice dei contratti pubblici, sancisce principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale nei rapporti con gli ETS. In tale ottica anche il Codice dei contratti pubblici riconosce che le PA possono ricorrere a modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli ETS, nel perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato.

Fondamentale è l’esclusione per legge dell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici degli istituti partecipativi disciplinati dal Titolo VII, D.Lgs. n. 117/2017, ossia artt. 55-57 e un chiarimento della disciplina IVA applicabile in caso di convenzioni ad OdV e APS, ex art. 56, che non traggano origine da procedure partecipative.

[1] Risoluzione n. 54/2001; risoluzione n. 183/2002; risoluzione n. 21/2005.

[2] Circolare n. 20/E/2015; risoluzione n. 42/E/2004, risoluzione n. 16/E/2006.

[3] Interpello n. 904-785 ottobre 2024.

[4] Risoluzione n. 54/E/2001, risoluzione n. 183/E/2002, risoluzione n. 42/E/2004.

[5] Corte di Giustizia UE, sent. C-113/13 e C-50/14.

[6] Risoluzioni n. 83/E/2002, n. 21/E/2005, n. 16/E/2006 e risposta n. 532/E/2021.

[7] Risposte Agenzia delle Entrate n. 532/E/2021 e n. 211/E/2020.

[8] Risoluzioni n. 54/E/2001, n. 268/E/2002.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Associazioni e sport”.