24 Novembre 2025

La culpa in vigilando dei soci di una società in accomandita semplice

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

L’art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, prevede che nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave.

Il comma 3, dell’art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, specifica che la colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari. Non si considera determinato da colpa grave l’inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo.

In forza del successivo comma 4, dello stesso art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, è dolosa la violazione attuata con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta, ovvero diretta a ostacolare l’attività amministrativa di accertamento.

In questo contesto normativo/tributario si inserisce la recente sentenza della Corte di Cassazione – n. 24811/2025 – che va a esaminare l’onere probatorio relativo all’elemento soggettivo nelle sanzioni amministrative/fiscali, e in particolare la responsabilità dei soci di società di persone per “culpa in vigilando”.

Il caso è approdato in Cassazione a seguito di un avviso di accertamento notificato al socio accomandatario e alla socia accomandante di una S.a.s., con il quale si contestava l’utilizzo di fatture relative a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, emesse da una S.r.l., società priva di qualsiasi struttura organizzativa.

L’allora CTR, ribaltando la decisione dei giudici di prime cure, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, osservando che entrambi i contribuenti erano tenuti, nelle rispettive qualità, a vigilare sulla gestione societaria, come prevede l’art. 2320, c.c., e, in particolare, vi era tenuto il socio accomandatario, non avendo, peraltro, gli stessi contestato la frode fiscale di cui si erano ritenuti vittime.

Avverso tale sentenza, i ricorrenti proponevano ricorso per Cassazione, denunciando, per quel che qui ci interessa in questa sede, la violazione, inosservanza e/o falsa applicazione dell’art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, non avendo la CTR valutato in concreto la responsabilità colposa, sotto il profilo della culpa in vigilando, tenuto conto delle effettive possibilità dei ricorrenti di avere conoscenza dei fatti e dell’illiceità delle operazioni contestate. Infatti, i 2 soci non avevano mai partecipato all’attività d’impresa e non avevano mai compiuto atti di amministrazione delle società, ma si sono limitati diligentemente a richiedere annualmente il rendiconto e il risultato della gestione, essendo uno un operaio dipendente di un Comune e l’altra residente all’estero. Né risulta alcuna redditività dalla predetta attività. Pertanto, andava esclusa la loro consapevolezza circa le vicende inerenti all’operazione contestata, «sia sotto il profilo colposo che doloso».

Tali doglianze non colgono nel segno. Infatti, la Corte ribadisce che, in relazione alle sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente, ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza. Gli Ermellini richiamano un proprio precedente – Cass. n. 12901/2019 – in tema di condono tombale, in cui la Suprema Corte ha ritenuto che le operazioni di “compliance” tributaria affidate a professionista, rimasto inadempiente, fossero comunque addebitabili al contribuente per “culpa in vigilando“.

In conclusione, possiamo affermare che il richiamo ai soci sulla ordinaria diligenza deriva dal consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui nelle società di persone l’applicazione del principio di trasparenza comporta anche l’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione (Cass. n. 16116/2017), senza che possa invocarsi l’estraneità dei soci accomandanti all’amministrazione della società (Cass. n. 18881/2021).

Di fatto, la sanzione non viene irrogata sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, in quanto «la colpa consiste nell’omesso od insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 cod. civ., u.c.» (così Cass. n. 22122/2010).