Patto di non concorrenza: deducibilità, rilevanza IVA e certificazione
di Andrea CapponiNel presente articolo saranno trattati gli aspetti civilistici e fiscali del patto di non concorrenza.
Come si vedrà nel seguito, ancora oggi manca una linea interpretativa univoca in ambito civilistico. Il patto di non concorrenza è oggetto di letture differenti, che lo qualificano alternativamente come obbligo di non fare, indennità di natura risarcitoria ovvero compenso provvigionale. Di conseguenza, l’inquadramento fiscale non è pacifico.
In passato, l’Amministrazione finanziaria ha generalmente qualificato il patto di non concorrenza come indennità di natura risarcitoria. Tuttavia, la giurisprudenza si è espressa in modo non sempre uniforme nel corso degli anni, contribuendo a mantenere un quadro interpretativo frammentato.
Inquadramento civilistico
Tra i principali strumenti utilizzati per proteggere il patrimonio di conoscenze, competenze e i contatti propri di una società, un ruolo di primo piano è da sempre rivestito dal “patto di non concorrenza”. In costanza di rapporto la legge impone all’agente o al dipendente l’obbligo di non compiere atti in concorrenza con la società. Tale obbligo viene meno con la cessazione del rapporto di lavoro.
È proprio in questo momento – alla cessazione del rapporto – che l’esigenza di tutela per la società si rende necessaria: il patto di non concorrenza serve proprio a evitare che il collaboratore possa andare a lavorare per un concorrente.
In primo luogo, occorre ricordare che il patto di non concorrenza deve essere concordato in forma scritta, pena la sua nullità. È, inoltre, necessario che l’accordo:
- preveda una durata massima (che decorrerà dalla cessazione del rapporto di lavoro); e
- circoscriva un limite territoriale.
I principali articoli di riferimento del Codice civile che disciplinano il patto di non concorrenza sono:
− l’art. 2125, in materia di contratto di lavoro subordinato;
− l’art. 1751-bis, in materia di contratto di agenzia.
L’art. 2125, c.c., in riferimento al rapporto di lavoro subordinato, prevede che il datore di lavoro e il lavoratore possono stipulare un patto di non concorrenza in ragione del quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, venga limitato lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per un determinato periodo temporale successivo alla conclusione del contratto.
Requisiti di validità del patto di non concorrenza nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato
Nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, il patto di non concorrenza è un contratto:
− a titolo oneroso;
− a prestazioni corrispettive;
− che può essere stipulato in qualunque momento del rapporto.
Per essere valido, inoltre, pena la nullità, il patto di non concorrenza deve rispettare alcuni requisiti fondamentali:
− forma scritta;
− durata massima di 3 anni;
− ambito territoriale: deve essere definito con chiarezza il limite geografico entro cui è applicato il divieto;
− corrispettivo, deve essere a prestazioni corrispettive pattuite.
Il patto di non concorrenza nel contratto di agenzia
Il patto di non concorrenza, nell’ambito di un contratto di agenzia, può riguardare:
- il periodo durante la vigenza del contratto; e
- il periodo a seguito della cessazione del contratto.
Durante la vigenza del contratto, l’art. 1743, c.c., prevede che: «il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro».
Generalmente, a seguito della cessazione del contratto, una volta che il contratto di agenzia è cessato, i contraenti non sono soggetti a particolari vincoli e possono avviare attività che si pongono in concorrenza reciproca, salvo che le parti pattuiscano un divieto di concorrenza.
Il divieto di concorrenza non si applica a tutti gli agenti, ma solo a coloro che esercitano la propria attività in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali. Come previsto dal sopracitato art. 1751-bis, c.c., dal punto di vista civilistico, il patto di non concorrenza corrisposto all’agente in occasione della cessazione del rapporto, è considerato una indennità di natura non provvigionale. In particolare, il Codice civile stabilisce che dopo lo scioglimento del rapporto di agenzia, il patto di non concorrenza:
− deve riguardare la medesima zona, clientela e generi di beni o servizi per i quali il contratto di agenzia era stato concluso;
− deve essere stipulato per iscritto;
− non può eccedere i 2 anni successivi all’estinzione del contratto;
− dà diritto, al momento della cessazione del rapporto, a un’indennità di natura non provvigionale.
«Deve ritenersi nullo il patto che non indichi in maniera specifica la zona, la clientela e il genere di beni e servizi di cui l’agente non potrà occuparsi per un determinato periodo successivo alla risoluzione del rapporto, che indichi una zona più ampia rispetto a quella dove l’agente ha svolto la propria attività, oppure quando i prodotti menzionati siano diversi o comunque più ampi, anche nel genere e nella tipologia, rispetto a quelli che l’agente aveva il compito di commercializzare» (Cass. n. 12127/2015).
Profili contabili del patto di non concorrenza nell’ambito del contratto di agenzia
Laddove le parti abbiano previsto un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 1751-bis, c.c., riconoscendo all’agente, al momento della cessazione del rapporto, un’indennità, la società deve rilevare un apposito fondo nella voce B.1 – “Fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili” del passivo dello Stato patrimoniale. L’accantonamento al fondo per trattamento di quiescenza e obblighi simili è rilevato nella voce B.7 – “Costi per servizi” del Conto economico, in coerenza con la voce nella quale sono rilevate le competenze ordinarie, in costanza di rapporto.
«[…] Si rilevano, tuttavia, alla voce B7, gli altri accantonamenti relativi a trattamenti di fine rapporto, diversi da quelli di lavoro subordinato. Ciò, in coerenza con la voce nella quale sono rilevate le competenze ordinarie, in costanza di rapporto. Rientrano, ad esempio, nella voce B7, gli accantonamenti ai fondi indennità suppletiva di clientela, ai fondi indennità per la cessazione di rapporti di agenzia e rappresentanza, ed ai fondi di indennità per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa» (Principio contabile OIC 31, par. 20).
L’accantonamento annuale è comunque determinato in misura idonea a consentire un progressivo adeguamento del relativo fondo per renderlo congruo rispetto alla passività che sarà maturata alla cessazione del rapporto, quando l’indennità verrà corrisposta mediante rilascio del fondo accantonato negli anni.
Deducibilità ai fini IRES e IRAP del patto di non concorrenza
Il trattamento ai fini delle imposte dirette del patto di non concorrenza dipende dalla natura del rapporto da cui origina. In questa sede ci soffermeremo ad analizzare la deducibilità del patto di non concorrenza ai fini IRES e IRAP nell’ambito del contratto di agenzia.
Gli accantonamenti operati a fronte di “premi fedeltà” erogati agli agenti al momento della cessazione del rapporto e collegati alla sottoscrizione di un patto di non concorrenza sono indeducibili dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 107, comma 4, TUIR. Gli oneri relativi a tali accantonamenti sarebbero, quindi, deducibili esclusivamente nell’esercizio in cui le indennità sono corrisposte.
Il citato art. 107, comma 4, TUIR, precisa che non sono deducibili gli accantonamenti diversi da quelli espressamente nominati nei commi precedenti, facendo riferimento ad accantonamenti per i quali è prevista una deducibilità IRES precisa (ad esempio gli accantonamenti per operazioni a premio).
Con particolare riferimento alla deducibilità ai fini IRAP, l’accantonamento al fondo del patto di non concorrenza è rilevato nella voce B7 – “Costi per servizi” del Conto economico. Sembrerebbe pacifico considerare gli accantonamenti operati a fronte di “premi fedeltà” erogati agli agenti al momento della cessazione del rapporto e collegati alla sottoscrizione di un patto di non concorrenza, indeducibili al momento dello stanziamento in bilancio (vedasi istruzioni al rigo IC53 del Modello IRAP). Gli oneri relativi a tali accantonamenti sarebbero, quindi, deducibili nell’esercizio in cui le indennità sono corrisposte.
Rigo IC53 del Modello IRAP/2025
Indicare nel presente rigo «i costi effettivamente sostenuti al verificarsi di eventi per i quali, in precedenti esercizi, sono stati contabilizzati nel passivo dello stato patrimoniale fondi per rischi e oneri, sempreché detti costi rientrino tra quelli rilevanti nella determinazione della base imponibile IRAP (cfr. circolare n. 12 del 19 febbraio 2008, paragrafo 9.2). Ovviamente, detti oneri non sono più deducibili qualora siano stati già dedotti nei precedenti esercizi, in sede di iscrizione dei relativi fondi;».
Inquadramento IVA del patto di non concorrenza
L’inquadramento IVA del patto di non concorrenza non è, ancora oggi, pacifico.
A norma dell’art. 1751-bis, c.c., l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale «di una indennità di natura non provvigionale». Detta indennità dovrebbe assumere pertanto una natura risarcitoria in relazione ai mancati introiti dell’agente.
Secondo l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria, il compenso corrisposto a titolo di patto di non concorrenza all’agente dopo lo scioglimento del rapporto di agenzia dovrebbe ritenersi non soggetto a IVA per carenza del presupposto oggettivo dell’imposta.
«Con nota del 17 dicembre u.s. (n.2001/179539) della quale Vi comunichiamo il testo, condividendo la nostra conclusione, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che dalla natura risarcitoria del versamento a fronte del patto di non concorrenza si desume la estraneità dello stesso al campo di applicazione dell’IVA» (Assonime, circolare n. 2/2002).
Tale interpretazione, tuttavia, è stata oggetto di ripetute riflessioni e critiche.
In particolare, in giurisprudenza è stato osservato in più occasioni che l’indennità relativa al patto di non concorrenza potrebbe configurarsi come corrispettivo di una specifica obbligazione di “non fare”, soggetta a IVA ai sensi dell’art. 3, D.P.R. n. 633/1972. La Corte di Cassazione non da ultimo ha disposto che il patto di non concorrenza costituisce un’obbligazione di “non fare” il cui corrispettivo è soggetto a IVA quale prestazione di servizi imponibile ex art. 3, D.P.R. n. 633/1972.
«Sul piano delle ricadute fiscali il patto di non concorrenza costituisce una tipica obbligazione di non fare, disciplinata dall’art. 2596 c.c., e il cui corrispettivo è soggetto a imposizione sul valore aggiunto quale prestazione di servizi imponibile ai sensi dell’art. 3, comma 1, del Decreto IVA. Un patto come quello in esame, cioè l’impegno di non fare concorrenza, risponde al principio dell’imposizione generale sul consumo, atteso che con l’impegno assunto si fornisce, dietro corrispettivo, un vantaggio sul mercato che può considerarsi come un elemento costitutivo del costo dell’attività del beneficiario nel circuito commerciale» (Cass. n. 5155/2016).
La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con sent. n. 23331/2024, ha lasciato intendere che la natura del patto di non concorrenza può dipendere anche dalle condizioni contrattuali. Sembrerebbe cambiare la natura a seconda che la corresponsione del patto di non concorrenza avvenga in corso di rapporto piuttosto che alla cessazione del rapporto. Infatti: «l’accettazione del patto di non concorrenza comporta in occasione della cessazione del rapporto la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale a fronte della corresponsione in corso di rapporto da parte della società convenuta di anticipi a titolo invece provvigionale».
La CGT di primo grado Friuli-Venezia Giulia, con sent. n. 44/2025, ha rigettato un ricorso avverso un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate con il quale ha riqualificato detto emolumento (compenso corrisposto a titolo di patto di non concorrenza), incassato non già alla fine del rapporto di agenzia ma durante il corso dello stesso, come provvigione supplementare versata in aggiunta a quella contrattualmente dovuta e costituente perciò – a differenza dell’indennità di cui all’art. 1751-bis, c.c., non avente natura provvigionale per espresso disposto normativo – maggior ricavo d’impresa rilevante agli effetti della base imponibile IRPEF, IRAP e IVA.
Secondo un altro filone giurisprudenziale, sarebbero applicabili le disposizioni sull’indennità per la cessazione del rapporto di agenzia.
Di seguito si riporta una tabella riepilogativa delle differenti linee interpretative sopra citate.
| Patto di non concorrenza – Profili IVA | |||
| Natura del reddito | Natura provvigionale | Natura non provvigionale – risarcitoria –
Cessazione rapporto agenzia |
Obbligo di “non fare” |
| Trattamento IVA | IVA ordinaria art. 3, D.P.R. n. 633/1972 | Fuori campo IVA | IVA ordinaria art. 3, D.P.R. n. 633/1972 |
Certificazione del patto di non concorrenza
In conseguenza a quanto riportato nel paragrafo relativi all’IVA, anche l’inquadramento del patto di non concorrenza ai fini reddituali (e quindi ai fini della certificazione unica) non è pacifico.
Ai sensi dell’art. 1751-bis, c.c., l’indennità spettante all’agente, quale corrispettivo del patto di non concorrenza, ha natura risarcitoria e non provvigionale. In tal caso, l’indennità potrebbe essere ricondotta a un reddito diverso soggetto a ritenuta a titolo di acconto ai sensi dell’art. 25, D.P.R. n. 600/1973.
L’indennità che – secondo parte della giurisprudenza come già riportato nel paragrafo del trattamento IVA – ha natura provvigionale, invece, potrebbe essere ricondotta nel reddito d’impresa (ai sensi dell’art. 6, comma 2, TUIR), poiché volta a risarcire l’agente dei mancati introiti conseguenti al divieto di sfruttare a proprio favore la clientela acquisita nell’esecuzione del rapporto contrattuale. Tale fattispecie sarebbe soggetta quindi a ritenuta a titolo di acconto applicata alle provvigioni ai sensi dell’art. 25-bis, D.P.R. n. 600/1973.
Secondo altre posizioni giurisprudenziali, sarebbero applicabili le disposizioni sull’indennità per la cessazione del rapporto di agenzia. In tal caso è operata una ritenuta a titolo di acconto ai sensi del citato art. 25, D.P.R. n. 600/1973.
Infine, considerandola quale corrispettivo per l’obbligazione assunta di non operare in concorrenza con l’ex impresa mandante, l’indennità potrebbe essere inquadrata tra i redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di “non fare” e soggetta quindi a ritenuta ai sensi del citato art. 25, D.P.R. n. 600/1973.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.


