Concordato semplificato e distribuzione di finanza esterna
di Ernestina De MedioNel concordato semplificato, il Tribunale deve compiere una valutazione complessiva della fattibilità del piano di liquidazione, che includa sia la sua conformità giuridica, sia la sua sostenibilità economica, intesa come una concreta e ragionevole possibilità di raggiungere i risultati previsti.
L’art. 25-sexies, comma 5, CCII, mostra una preferenza per il concordato semplificato, che deve essere preferito anche quando i risultati economici attesi siano equivalenti a quelli di una liquidazione giudiziale, considerando non solo il valore dell’attivo distribuibile, ma anche aspetti qualitativi, come la maggiore rapidità della procedura e il più tempestivo pagamento dei creditori. In assenza di un’esplicita norma che lo vieti, non si può escludere la possibilità di ridurre (falcidiare) i crediti fiscali e previdenziali nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi. Infatti, il pagamento parziale dei debiti rappresenta un elemento fisiologico della ristrutturazione.
Anche per i creditori pubblici, la tutela è garantita dal rispetto del criterio del miglior soddisfacimento rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e dal rispetto dell’ordine delle prelazioni legittime.
Ne consegue che è possibile ridurre i crediti privilegiati quando il patrimonio del debitore non è sufficiente. Infine, la regola che consente una distribuzione libera ai creditori delle somme provenienti da finanziamenti esterni non deriva dall’analogia con l’art. 84, comma 6, CCII, ma si fonda sui principi generali della responsabilità patrimoniale previsti dall’art. 2740, c.c. Pertanto, se la nuova finanza proviene da soggetti terzi e riguarda beni che non appartengono al patrimonio del debitore, tali risorse non sono soggette alle regole sulla graduazione dei crediti privilegiati, potendo quindi essere distribuite senza rispettare l’ordine delle prelazioni.
Quadro sistematico del concordato semplificato
Il concordato semplificato segue a un tentativo di composizione negoziata e si configura come forma di concordato liquidatorio con procedura semplificata, volta a una rapida liquidazione del patrimonio dell’imprenditore in crisi o insolvenza, senza continuità diretta e con eliminazione di vari passaggi dell’ordinario concordato preventivo (ammissione, commissario, voto, soglia del 20%, attestazioni). Scopo della procedura è evitare la liquidazione giudiziale dopo le trattative e la verifica dell’assenza di altre soluzioni idonee a superare la crisi o proseguire l’attività[1].
La proposta deve essere presentata entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto nominato nell’ambito del percorso di composizione negoziata, unitamente al piano di liquidazione e ai documenti dell’art. 39, CCII; il termine è decadenziale e la mancanza comporta inammissibilità.
L’esperto deve attestare correttezza e buona fede nelle trattative e l’impraticabilità di altre soluzioni, con dichiarazioni concrete e non meramente formali; la mancanza di tali elementi preclude la proposta.
I controlli del Tribunale in omologazione (art. 25‑sexies, comma 5, CCII)
La valutazione del Tribunale sul concordato semplificato prevista dall’art. 25-sexies, comma 5, CCII, è un controllo approfondito e unitario che ha lo scopo di verificare la fattibilità del piano di liquidazione proposto dal debitore, sia sotto il profilo giuridico che economico.
In dettaglio, il Tribunale verifica: la fattibilità giuridica, cioè che il piano sia conforme alla legge e che rispetti le regole previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), inclusi i principi dell’ordine delle cause legittime di prelazione e del miglior soddisfacimento dei creditori; la fattibilità economica, e dunque che il piano presenti una ragionevole probabilità di successo, ovvero deve essere realistico nel raggiungere gli obiettivi di liquidazione e distribuzione ai creditori.
Inoltre, il Tribunale deve assicurarsi che il concordato semplificato:
− offra ai creditori una soluzione migliore rispetto alla liquidazione giudiziale[2];
− rispetti i principi generali dell’ordinamento (come la parità di trattamento tra creditori e la proporzionalità nella distribuzione);
− sia coerente con lo spirito del concordato semplificato, che è quello di favorire una rapida ed efficiente regolazione della crisi, anche in assenza di un consenso formale dei creditori.
Non sono oggetto di accertamento in omologa il quantum dei crediti né le prelazioni in sé, restando fermo il dovere di verificare il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione nella proposta.
Secondo le Sezioni Unite, il Tribunale in sede di omologazione deve effettuare un controllo sulla fattibilità della proposta di concordato[3].
In concreto, il Tribunale, tenuto conto delle peculiarità del giudizio di omologazione, deve accertare che:
− la documentazione prodotta è completa e regolare;
− il commissario giudiziale ha correttamente informato i creditori e ha fornito loro sufficienti elementi di valutazione;
− il piano è compatibile con le norme inderogabili (fattibilità giuridica);
− il piano è realizzabile in quanto permette in concreto il superamento della crisi (fattibilità giuridica): il Tribunale deve verificare che non emergano elementi evidenti tali da escludere che il piano possa raggiungere gli obiettivi prefissati[4].
Si ricorda che il controllo sulla fattibilità economica del piano, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, è invece interamente devoluto ai creditori; mentre il controllo da parte del Tribunale è limitato alla sola verifica della sussistenza di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi[5].
La Cassazione ha giudicato corretto il giudizio del Tribunale che ha dichiarato inammissibile un concordato liquidatorio, considerando incompatibile con tale concordato la programmata persistenza di un contratto d’affitto di azienda alberghiera per altri 6 anni al cui spirare era posticipata la liquidazione del complesso di beni[6].
Il Tribunale deve verificare la regolarità del contraddittorio e procedimento, rispetto delle prelazioni, la fattibilità del piano, l’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria, l’utilità per ciascun creditore; le verifiche ostative vengono effettuate d’ufficio anche in assenza di opposizioni[7].
Sulla regolarità del contraddittorio, il Tribunale deve controllare la competenza del Tribunale adito; la presentazione del ricorso nel termine di legge[8]; il parere dell’esperto (ai sensi dell’art. 25-sexies, comma 3, CCII); il contenuto della relazione finale dell’esperto (ai sensi dell’art. 25-sexies, comma 1, CCII).
Il controllo deve estendersi a tutte le risultanze processuali che possano disattendere le conclusioni raggiunte dal professionista[9]; il Tribunale deve quindi verificare la completezza della relazione finale dell’esperto e la ragionevolezza delle sue conclusioni, che non possono essere né ambigue né apodittiche ma devono saldarsi in modo chiaro, logico e conseguenziale ai dati contabili accertati[10].
Tale controllo si estende anche al contenuto delle soluzioni prospettate dall’impresa ai creditori, alle concrete modalità di svolgimento delle trattative e alla legittimità delle soluzioni della crisi ipotizzate[11]; alla correttezza e buona fede nella conduzione delle trattative[12]. ln merito al rispetto della correttezza e buona fede, il Tribunale non può limitarsi a prendere atto delle dichiarazioni dell’esperto, dovendo comunque valutare in concreto l’esistenza di detto presupposto, soprattutto se sono sollevate opposizione specifiche[13].
La verifica deve estendersi chiaramente anche all’esistenza del presupposto soggettivo, ossia che il proponente possa qualificarsi come imprenditore[14].
Finanza esterna e deroga alle cause di prelazione: condizioni e limiti
Dal 28 settembre 2024, la proposta di concordato minore liquidatorio deve prevedere l’apporto di risorse esterne che incrementino in misura apprezzabile l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda (art. 74, comma 2, CCII, modificato dall’art. 20, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 136/2024).
La previsione di un apporto che aumenti in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori implica che il contributo deve essere consistente e non irrisorio, ossia anche se non necessariamente di natura pecuniaria deve essere economicamente valutabile in termini tali da differenziare il trattamento che sarebbe risultato dal mero attivo[15], pena l’inidoneità del piano ad assolvere la propria funzione causale che, in tutti gli strumenti di regolazione della crisi, è il soddisfacimento in concreto delle ragioni dei creditori[16].
Come nel concordato preventivo, la distribuzione della finanza esterna non è soggetta alle regole della APR (Absolute Priority Rule) ma può essere liberamente distribuita (in deroga agli artt. 2740 e 2741, c.c.).
Si considera ammissibile anche un concordato minore liquidatorio con finanza esterna esclusiva, ossia in assenza di altre risorse patrimoniali del debitore, in quanto tale apporto è idoneo a incrementare l’attivo disponibile e consente al debitore di accedere a uno strumento di regolazione alternativo alla liquidazione controllata[17] purché sia rispettata la regola che ciascun creditore, anche se chirografario, deve essere almeno in parte soddisfatto (nel rispetto dell’art. 74, comma 3, CCII)[18].
La modifica operata dal c.d. terzo correttivo ha lo scopo di chiarire il concetto di “risorse esterne” essendo più facilmente accertabile dal Tribunale l’incremento dell’attivo disponibile al momento della domanda piuttosto che all’aumento della soddisfazione dei creditori (così Relaz. al D.Lgs. n. 136/2024).
Per il concordato semplificato, non vi è una disposizione che disciplini in modo espresso la distribuzione della finanza esterna in deroga alle cause di prelazione; resta fermo, in sede di omologazione, l’obbligo di verifica del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, nonché dell’utilità per ciascun creditore e della comparazione con lo scenario liquidatorio, che potrebbero essere soddisfatti mediante corretta strutturazione di finanza esterna ove compatibile con tali verifiche.
Ne discende che, in assenza di una disposizione espressa sul concordato semplificato, la legittimità di una distribuzione di finanza esterna in deroga alle prelazioni deve essere sorretta da un impianto argomentativo e documentale che consenta al Tribunale di superare i controlli su prelazioni, utilità e miglior soddisfacimento; ove la finanza esterna sia impiegata, essa dovrà essere tracciata nel piano di liquidazione e corredata da stime e comparazioni, ai fini della valutazione di non pregiudizio e dell’utilità non irrisoria per tutti i creditori.
Proposta priva di piano, stime e concrete prospettive: rischi e motivi di rigetto
La proposta deve essere depositata con un piano di liquidazione e la documentazione ex art. 39, CCII, entro 60 giorni; la mancanza del piano è incompatibile con la struttura del procedimento e conduce all’inammissibilità o al rigetto, non potendo il Tribunale svolgere i controlli sulla fattibilità, sul non pregiudizio e sull’utilità per ciascun creditore.
Anche alla luce dei principi generali elaborati per concordati e accordi, il Tribunale deve rigettare l’omologa ove il piano sia affetto da assoluta e manifesta inidoneità o si presenti prima facie irrealizzabile/implausibile, soprattutto in difetto di documentazione e stime idonee a consentire la verifica comparativa e la fattibilità giuridica.
La recente sentenza del Tribunale di Piacenza
Il Tribunale di Piacenza si è di recente pronunciato sull’omologazione di un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25-sexies, CCII, con particolare attenzione alla distribuzione della finanza esterna in deroga alle regole ordinarie delle prelazioni.
I fatti esaminati dal Tribunale vertevano sulla proposizione, da parte di una società, dopo la chiusura della procedura di composizione negoziata, di un concordato semplificato liquidatorio per pagare (in parte falcidiando) i debiti tramite vendita di beni aziendali, restituzione somme indebitamente prelevate dall’amministratore e apporto di finanza esterna da parte della socia amministratrice.
Il piano prevedeva la suddivisione dei creditori in classi, la distribuzione dell’attivo secondo la Absolute Priority Rule (APR) e la finanza esterna senza vincoli di prelazione legale.
Si sono opposti INPS, Agenzia delle Entrate e un creditore: il primo perché contesta la distribuzione della finanza esterna in deroga alle prelazioni, la falcidia e il trattamento del credito previdenziale; l’Agenzia delle Entrate lamenta invece l’errata indicazione del proprio credito e mancata prova dell’assenza di pregiudizio rispetto alla liquidazione giudiziale, segnalando possibili azioni di responsabilità verso l’amministratore.
Il Tribunale valuta la fattibilità del piano, l’assenza di pregiudizio rispetto alla liquidazione giudiziale e la presenza di un’utilità per ciascun creditore, affermando che la regola della libera distribuzione della finanza esterna non deriva dall’applicazione analogica dell’art. 84, comma 6, CCII, ma dai principi generali sulla garanzia patrimoniale: i beni apportati da terzi non sono vincolati alle prelazioni e possono essere distribuiti liberamente.
Dunque, la valutazione della fattibilità del piano nel concordato semplificato è rafforzata perché il Tribunale deve compiere un accertamento positivo, non limitandosi all’assenza di manifesta inattuabilità.
L’art. 25-sexies, comma 5, CCII, esprime un favor per il concordato semplificato anche in caso di equivalenza tra risultati economici del concordato e della liquidazione, tenendo conto anche della maggiore rapidità e tempestività della procedura.
Il Tribunale ha dunque ritenuto ammissibile la falcidia dei crediti fiscali e previdenziali, la cui tutela si fonda sul rispetto di 2 criteri: assenza di pregiudizio rispetto alla liquidazione e rispetto dell’ordine delle prelazioni e ha respinto le opposizioni non emergendo prove che la liquidazione giudiziale garantirebbe maggiore soddisfacimento (il credito INPS, ad esempio, sarebbe addirittura azzerato nella liquidazione).
Di conseguenza, il Tribunale in commento ha omologato il concordato semplificato con accoglimento della possibilità di distribuire la finanza esterna in deroga alle prelazioni, a condizione che sia garantita un’utilità a ciascun creditore e sia assente un pregiudizio rispetto alla liquidazione giudiziale, e ha chiarito che:
«La finanza esterna apportata da terzi può essere liberamente distribuita tra i creditori anche in deroga alle regole delle prelazioni, perché non fa parte del patrimonio del debitore e non è soggetta alla par condicio».
La pronuncia in commento, dunque, offre un orientamento chiaro a favore della flessibilità nella distribuzione della finanza esterna nei concordati semplificati, rafforzando il ruolo del Tribunale come garante unico degli interessi dei creditori, in particolare pubblici, e come arbitro di un bilanciamento tra soddisfacimento economico e celerità della procedura.
Anche il Tribunale di Pescara, con sentenza 27 gennaio 2025, ha affrontato la domanda di omologa di un concordato semplificato presentato da una società, dopo l’insuccesso della composizione negoziata. Il piano originario, basato anche su finanza esterna (rinuncia TFR dei soci, apporto immobili personali, liquidità), inizialmente non assicurava alcuna utilità ai creditori chirografari e risorse insufficienti per i privilegiati. Dopo opposizioni e rilievi dell’ausiliario, la società ha modificato il piano, integrando l’attivo (con rivalutazione immobiliare e maggiori liquidità) e destinando parte della finanza esterna ai chirografari.
La sentenza conferma che il concordato semplificato può essere un’opzione valida per le imprese in difficoltà, soprattutto quando è possibile coinvolgere risorse esterne. Il caso dimostra anche che, pur in assenza di un voto da parte dei creditori, il piano deve essere strutturato in modo tale da offrire loro una prospettiva di soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione giudiziale.
L’ausiliario, nella relazione aggiornata, infatti, ha attestato che il piano modificato consente un soddisfacimento parziale dei chirografari (4,24%) e assicura un’utilità a ciascun creditore, risultando più vantaggioso della liquidazione giudiziale, dove i chirografari non avrebbero avuto alcun soddisfacimento e il Tribunale, riconosciuta la legittimità di modificare la proposta pre-omologa per tenere conto di fatti sopravvenuti, valorizzando così la finanza esterna come elemento essenziale per assicurare almeno un’utilità minima a tutti i creditori, anche in assenza di soglie percentuali, ha esteso l’interpretazione dell’utilità per il creditore ritenendo ravvisabile non solo nel pagamento monetario, ma anche in un altro vantaggio, ad esempio la salvaguardia di rapporti economici.
È sufficiente, dunque, che il piano non sia peggiorativo rispetto alla liquidazione giudiziale, anche se il soddisfacimento è percentualmente molto basso.
Il Tribunale afferma che il concordato semplificato non richiede una soglia minima di soddisfacimento, a differenza del concordato preventivo, confermando la possibilità di omologare anche piani che offrono ai chirografari utilità molto limitate, purché non siano pregiudicati rispetto alla liquidazione.
L’omologa arriva solo dopo una rigorosa verifica della fattibilità del piano e della sua convenienza rispetto alla liquidazione, con l’ausilio di perizie, pareri e integrazioni documentali.
Anche in questo caso il Tribunale ha respinto le opposizioni fondate su contestazioni generiche o su questioni relative all’accertamento del passivo, confermando che queste ultime sono di competenza di un ordinario giudizio di cognizione.
La sentenza valorizza come decisivo, ai fini della comparazione con la liquidazione giudiziale, l’apporto di risorse che non sarebbero disponibili in caso di fallimento (ad esempio, rinuncia TFR, immobili personali, finanza esterna dedicata) affermando:
«Anche la proposta concordataria modificata e rettificata dall’ausiliario, appare più vantaggiosa rispetto alla procedura di liquidazione giudiziale, considerando l’apporto di finanziamenti esterni, risorse che verrebbe meno nella seconda ipotesi. In questo contesto, il piano concordatario permette di soddisfare parzialmente anche i creditori chirografari per una percentuale pari al 4,2413% assicurando, quindi, un’utilità a ciascun creditore».
Conclusioni
La recente giurisprudenza rafforza il principio per cui il concordato semplificato/minore può essere omologato anche con percentuali molto basse di soddisfacimento dei chirografari, se vi è anche una minima utilità e il piano è più vantaggioso della liquidazione giudiziale, grazie anche all’apporto di finanza esterna.
Indica che la valutazione della proposta deve essere concreta, rigorosa e supportata da dati, perizie e pareri, ma non è necessario garantire una soglia minima di soddisfacimento.
Offre una cornice chiara per la gestione delle opposizioni e delle modifiche del piano prima dell’omologa, valorizzando la funzione di tutela della massa creditizia e la ragionevolezza delle prospettive offerte dal piano.
[1] Lo scopo della procedura è quello di «evitare la liquidazione giudiziale dopo l’esperimento delle trattative e la verifica che non vi sono altre soluzioni possibili per il superamento dello stato di crisi e per la prosecuzione dell’attività» (Cass. n. 9730/2023).
[2] La legge richiede una utilità qualsiasi a ciascun creditore, senza specificare alcunché, potrebbe dunque bastare una qualsiasi utilità anche non monetaria (come, ad esempio, la prosecuzione dei rapporti). In ogni caso, deve trattarsi di una utilità di qualsiasi natura apportata dal debitore alla procedura rispetto alla soluzione alternativa della liquidazione giudiziale (App. Ancona 27 marzo 2024). Ad esempio, non è stata considerata come utilità apportata dal debitore in quanto certamente presente anche nello scenario alternativo della liquidazione giudiziale:
– la deducibilità fiscale del credito (App. Ancona 27 marzo 2024);
– la possibilità di recuperare l’IVA sui crediti (Trib. Bergamo 6 dicembre 2023).
La legge, inoltre, non impone in questo caso il rispetto di una percentuale minima di soddisfacimento; qui ci si limita a pretendere che ciascun creditore ne tragga un’utilità. In ogni caso, tale utilità deve garantire il soddisfacimento di ogni creditore in misura non irrisoria, a prescindere dall’alternativa liquidatoria (Trib. Como 27 ottobre 2022).
In ogni caso, l’assenza di tale utilità comporta la declaratoria di irritualità.
Secondo la dottrina, se il debitore proponesse una tale utilità non monetaria ai creditori privilegiati incapienti (che non troverebbero utile collocazione nello scenario alternativo del fallimento) risulterebbe difficile per l’organo giudiziario impedire l’omologazione. Naturalmente una simile o diversa utilità dovrà essere attribuita anche a ciascun creditore chirografario.
[3] Così Cass., SS.UU., n. 1521/2013, tesi riaffermata da Cass. n. 22691/2017, Cass. n. 5107/2015.
[4] In tal senso Cass. n. 21175/2018, Cass. n. 22691/2017, App. Firenze 11 luglio 2016.
[5] Cass. n. 17103/2023.
[6] Cass. n. 21175/2018.
[7] La verifica della sussistenza di presupposti ostativi all’omologazione deve essere compiuta d’ufficio e nell’interesse di tutti i creditori, anche nell’ipotesi di carenza di opposizioni o di opposizioni tardive; pertanto, l’inerzia dei creditori non conduce all’automatica omologazione della proposta di concordato (App. Ancona 4 dicembre 2024).
Non sono invece oggetto di verifiche o valutazioni l’accertamento dei crediti, né in relazione al quantum degli stessi, né in relazione alla sussistenza di eventuali cause di prelazione (Trib. Cuneo 10 luglio 2025).
Il mancato richiamo alle norme sull’ammissione del concordato e la rapidità della procedura che porta al giudizio di omologa, dove invece il Tribunale è chiamato a una valutazione comparativa tra proposta concordataria e liquidazione giudiziale, lascia ritenere che il Tribunale, in questa fase, ove riscontri la regolarità formale della proposta e il parere positivo dell’esperto, debba dar senz’altro corso alla procedura.
[8] Cfr. App. Salerno 6 aprile 2023.
[9] Trib. Avellino 3 ottobre 2023.
[10] App. Milano 13 luglio 2023.
[11] App. Milano 13 luglio 2023.
[12] Trib. Trieste 14 dicembre 2023.
[13] Trib. Ancona 1° aprile 2025.
[14] Trib. Genova 1° agosto 2024.
[15] Trib. Ferrara 23 maggio 2023.
[16] Trib. Milano 29 febbraio 2024.
[17] Trib. Campobasso 14 gennaio 2025.
[18] Trib. Avellino 28 febbraio 2025.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Crisi e risanamento”.


