La transizione generazionale nell’impresa familiare: funzione e limiti del patto di famiglia
di Edoardo CatinariLuca GarettoIl patto di famiglia è uno strumento introdotto[1] nel nostro impianto normativo (che vede una tutela degli eredi legittimari non comune in contesti non domestici) per risolvere una delle problematiche più complesse della successione imprenditoriale: la continuità aziendale in un sistema giuridico che, fino alla sua introduzione, imponeva la suddivisione ereditaria del patrimonio con possibili effetti disgregativi sull’impresa. Analizzandolo sotto un profilo sistematico, funzionale e comparatistico, emergono diversi punti di forza e criticità che meritano un approfondimento[2].
Dal punto di vista dogmatico, il patto di famiglia si configura come un contratto inter vivos con effetti reali immediati, che la dottrina e la giurisprudenza[3] qualificano come tertium genus rispetto a donazioni e disposizioni testamentarie. Tale natura ibrida ne evidenzia il duplice obiettivo: da un lato la liberalità, dall’altro la stabilizzazione della governance aziendale.
La funzione del patto di famiglia: tra successione e governance aziendale
L’ordinamento italiano tradizionalmente vietava qualsiasi accordo successorio ex ante (art. 458, c.c.), per evitare che un soggetto disponesse della propria successione in vita, vincolando anticipatamente il futuro asse ereditario. Tuttavia, questo principio mal si conciliava con l’esigenza di preservare l’unitarietà delle aziende familiari, soprattutto in un contesto in cui – per la tipologia di un bene che non può considerarsi statico – la suddivisione ereditaria avrebbe potuto generare frammentazioni gestionali e litigi tra eredi.
Il patto di famiglia si pone quindi in deroga al divieto dei patti successori[4], consentendo all’imprenditore di anticipare la successione aziendale con effetto immediato e con il consenso di tutti gli eredi legittimari[5]. Ciò consente una pianificazione strategica del passaggio generazionale, riducendo il rischio di contenziosi e assicurando un assetto di governance stabile nel tempo.
L’impatto del patto di famiglia si estende anche al di fuori dell’ambito strettamente successorio:
− rafforza la credibilità aziendale verso banche, investitori e fornitori, che possono contare su una continuità gestionale definita;
− riduce il rischio di liti ereditarie che potrebbero compromettere il valore dell’impresa;
− permette di integrare strumenti di corporate governance, come il trust o il family buy-out, per agevolare la transizione e la liquidazione degli altri legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni;
− consente l’inserimento di clausole accessorie, quali impegni di inalienabilità temporanea, vincoli di destinazione sugli asset, obblighi di mantenere patti parasociali o meccanismi di aggiustamento delle compensazioni legati alla performance aziendale, rafforzandone la funzione di stabilizzazione della governance.
Tuttavia, il patto di famiglia è vincolante solo per i soggetti aderenti, il che significa che eventuali legittimari successivamente sopravvenuti potrebbero comunque far valere i propri diritti, creando in relazione a questa specifica ipotesi un’incertezza giuridica nel lungo periodo.
Un ulteriore elemento distintivo rispetto ad altre liberalità è l’esclusione dei beni oggetto di patto dalla collazione e dall’azione di riduzione, garantendo così maggiore certezza agli assetti societari e prevenendo future rinegoziazioni forzose del trasferimento.
L’obbligo di liquidazione e la tutela dei legittimari
Uno dei punti più delicati del patto di famiglia riguarda la tutela degli altri legittimari, che non ricevono l’azienda o le partecipazioni ma hanno diritto a una compensazione economica (art. 768-quater, c.c.).
Questo obbligo di liquidazione grava sul beneficiario e non sul disponente, configurando una responsabilità patrimoniale diretta.
Due elementi critici emergono:
− problemi di liquidità: l’assegnatario dell’azienda deve avere la capacità finanziaria di compensare gli altri legittimari, il che può essere un ostacolo soprattutto per imprese di medie dimensioni con scarsa liquidità. In questi casi, si ricorre spesso a strumenti come finanziamenti bancari o la costituzione di una holding per la gestione delle quote;
− possibile inefficacia nel lungo periodo: se l’assegnatario si trova in difficoltà economiche o se la valutazione iniziale dell’azienda si rivela errata, la compensazione può risultare insostenibile o generare squilibri patrimoniali.
Inoltre, il patto di famiglia può contenere clausole di compensazione in natura, attraverso il trasferimento di altri beni ai legittimari non assegnatari. Tuttavia, se questi beni non sono facilmente liquidabili o equivalenti in valore all’azienda ricevuta dall’assegnatario, potrebbero sorgere contestazioni future[6].
Va sottolineato che la compensazione non ha natura di atto liberale, ma di obbligazione legale che assicura il rispetto dell’equità commutativa tra coeredi; sul piano fiscale, è qualificata come donazione indiretta, soggetta a imposizione autonoma anche se materialmente corrisposta dall’assegnatario all’altro legittimario.
Aspetti fiscali e opportunità di pianificazione
Dal punto di vista fiscale, sotto l’imposizione indiretta, il patto di famiglia beneficia di un regime agevolato significativo ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. n. 346/1990, che prevede l’esenzione dall’imposta sulle donazioni e successioni a condizione che il beneficiario prosegua l’attività d’impresa, mantenendone il controllo, per almeno 5 anni. Tuttavia, recenti sviluppi giurisprudenziali hanno sollevato questioni interpretative in merito all’imposizione delle compensazioni tra legittimari.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19561/2022 (in linea con la precedente sentenza n. 29506/2020 e con la recente risposta a interpello n. 12/E/2025), ha chiarito il trattamento fiscale del patto di famiglia, soffermandosi in particolare sulla tassazione delle compensazioni riconosciute ai legittimari non assegnatari.
Ipotizziamo un caso in cui il patto di famiglia riguardi una partecipazione societaria che l’imprenditore Tizio assegna al figlio Caio, mentre il secondo figlio, Sempronio, unico altro legittimario, riceva una liquidazione in denaro da parte di Caio. Secondo la Suprema Corte, il trasferimento è soggetto all’imposta sulle donazioni nei seguenti termini:
- trasferimento della partecipazione – la cessione della quota da Tizio a Caio è soggetta all’imposta sulle donazioni con aliquota del 4% e una franchigia di 1 milione di euro. In presenza dei requisiti previsti dall’art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. n. 346/1990, può tuttavia beneficiare dell’esenzione se Caio acquisisce o integra il controllo della società e si impegna a mantenerlo per almeno 5 anni;
- liquidazione della quota di riserva – la somma corrisposta da Caio a Sempronio costituisce, secondo la Cassazione, una donazione (indiretta) effettuata da Tizio a favore di Sempronio, con conseguente applicazione dell’imposta sulle donazioni al 4% (con franchigia di 1 milione di euro). Per questa fattispecie, tuttavia, non è prevista l’esenzione di cui al punto precedente.
Questa interpretazione si discosta da quanto affermato dalla stessa Suprema Corte nell’ordinanza n. 32823/2018, in cui si sosteneva che, per le compensazioni, l’aliquota dovesse essere determinata in base al rapporto di parentela tra l’assegnatario dell’azienda e il legittimario compensato (nel caso specifico, tra fratelli, con aliquota del 6% e franchigia di 100.000 euro).
Un ulteriore profilo di interesse riguarda la determinazione della base imponibile dell’imposta di donazione quando il patto di famiglia non beneficia dell’esenzione. L’ordinanza n. 19561/2022, conferma l’orientamento secondo cui il patto di famiglia si configura come una donazione con onere imposto dalla legge, assimilabile alla donazione modale ex art. 793, c.c.. Ne consegue che il valore della partecipazione trasferita potrebbe essere ridotto dell’importo della compensazione dovuta agli altri legittimari, in applicazione del principio generale secondo cui l’imponibile deve essere decurtato degli oneri imposti (art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 346/1990).
L’interesse per il patto di famiglia non si limita, quindi, alla possibilità di anticipare gli effetti della successione e la divisione tra legittimari, ma si estende anche alle potenziali implicazioni fiscali, in particolare alla riduzione della base imponibile nei casi in cui non trovi applicazione l’esenzione dall’imposta sulle donazioni. Con riferimento a situazioni in cui si tratta di trasferire partecipazioni di società con un patrimonio netto rilevante, che costituisce il valore cui applicare l’imposta indiretta, nei casi in cui la compensazione del legittimario non assegnatario ha un’incidenza elevata (pensiamo al caso di assenza di coniuge e 2 figli, la compensazione è pari a 1/3 di tale patrimonio netto) la possibilità di abbattere il valore delle partecipazioni per una frazione rilevante delle stesse rappresenta un’apprezzabile soluzione di efficiente pianificazione rispetto a uno scenario di successione legittima senza una preventiva gestione delle conseguenze.
Comparazione con altri ordinamenti
In ambito internazionale, il patto di famiglia ha analogie con strumenti già presenti in altri ordinamenti, come il “family agreement” inglese o il “Erbvertrag” tedesco, che consentono accordi successori vincolanti per la governance aziendale. Del resto, l’Italia restava uno dei pochi Paesi europei (oltre al nostro Paese anche Francia, Belgio, Spagna e Lussemburgo) che ancora non avevano abbattuto tale divieto nonostante le sollecitazioni effettuate dall’Unione Europea[7].
Rispetto a questi sistemi, il modello italiano si distingue per:
− l’obbligo di partecipazione di tutti i legittimari, che può rendere il processo più complesso rispetto a ordinamenti in cui è sufficiente il consenso dell’imprenditore e dell’assegnatario;
− l’obbligo di compensazione, assente in alcuni sistemi di common law, dove prevale la libertà testamentaria;
− l’esenzione fiscale condizionata alla continuità aziendale, un incentivo meno rigido rispetto ad altri Paesi, ma che potrebbe essere ampliato per favorire la competitività delle imprese familiari italiane.
Approfondendo la comparazione: in Germania l’Erbvertrag vincola le parti ma produce effetti solo mortis causa; in Francia la donation-partage consente una partizione anticipata ma resta revocabile; in Svizzera i pactes successoraux hanno la forza di un testamento; nei Paesi di common law, family settlements e living trusts garantiscono flessibilità fiduciaria ma non proteggono i legittimari. Questo dimostra come l’Italia si distingua per la rigidità compensativa e per l’esclusione da collazione e riduzione, che rafforzano la certezza ma riducono la flessibilità[8].
Sul piano europeo, il patto di famiglia non rientra nel Regolamento (UE) 650/2012 (successioni mortis causa), bensì nel Regolamento Roma I sui contratti (Regolamento (CE) 593/2008). Ciò ne rafforza la natura contrattuale, ma solleva problemi di riconoscimento transfrontaliero laddove gli ordinamenti stranieri ritengano non tutelati i legittimari, con possibili conflitti con l’ordine pubblico internazionale.
Limiti e possibili sviluppi normativi
Nonostante i vantaggi, il patto di famiglia presenta alcune criticità:
− manca una regolamentazione chiara in caso di sopravvenienza di nuovi legittimari, il che potrebbe creare squilibri successori (l’evoluzione delle relazioni familiari – senza voler qui approfondire i cambiamenti che nell’ambito della c.d. longevity sempre più spesso sono di attualità nella consulenza all’imprenditore – con frequenza vede la presenza di un coniuge legittimario diverso dal genitore dei figli avuti da precedenti relazioni);
− l’obbligo di liquidazione può essere eccessivamente gravoso, soprattutto in imprese con elevato valore patrimoniale ma scarsa liquidità;
− non è possibile vincolare il beneficiario alla gestione dell’impresa oltre i 5 anni previsti per l’agevolazione fiscale, mentre in altri ordinamenti esistono strumenti per garantire la stabilità della governance nel lungo periodo.
Un possibile sviluppo normativo potrebbe prevedere:
− una maggiore flessibilità nei criteri di compensazione dei legittimari, con la possibilità di dilazioni di pagamento o strumenti finanziari dedicati (frequente è la rinuncia alla compensazione anche alla luce di contestuali liberalità da parte dello stesso genitore che a titolo gratuito contestualmente ha ceduto l’azienda o la partecipazione al diverso erede assegnatario);
− l’estensione delle agevolazioni fiscali a condizioni più ampie, per favorire una pianificazione successoria più efficace;
− l’introduzione di meccanismi di revisione del patto, per adeguarlo a mutamenti del contesto familiare o aziendale nel tempo.
A prescindere da valutazioni de iure condendo su possibili future evoluzioni del contesto normativo, nelle relazioni con gli imprenditori i limiti sopra individuati risultano agevolmente superati ove prevale l’esigenza di cristallizzare una pianificazione tra eredi che solo con il patto di famiglia previene ogni contestazione sulla valutazione dell’azienda o delle quote al momento dell’apertura della successione rispetto ai valori presi in considerazione al tempo del trasferimento a titolo gratuito all’assegnatario. Solo nei casi in cui la priorità sia la stabilizzazione del passaggio generazionale, i limiti insiti nell’istituto possono essere considerati secondari rispetto ai benefici conseguibili.
Conclusioni
Frequente è la convinzione che lo strumento del patto di famiglia sia l’unica modalità applicativa dell’esenzione dall’imposta di donazione e successione per i trasferimenti in linea retta e che qualsiasi patto di famiglia la consenta. Di conseguenza, nei casi in cui in presenza di partecipazioni in società di capitali prive del requisito del controllo si assiste all’immediato abbandono dell’istituto, mentre le considerazioni inerenti la riduzione della base imponibile dell’imposta indiretta per un valore pari a quello della compensazione dovuta al legittimario non assegnatario ben potrebbe far ridestare un interesse per una attiva pianificazione tramite la cristallizzazione dei valori dell’azienda di famiglia con conseguenti vantaggi sia in termini di stabilità della governance, sia di pianificazione fiscale efficiente.
Più in generale, il patto di famiglia rappresenta un esempio paradigmatico di come l’ordinamento italiano cerchi di conciliare autonomia privata, tutela dei legittimari e continuità aziendale. La sua qualificazione come contratto inter vivos lo rende peculiare nel panorama europeo e idoneo a dialogare con strumenti funzionalmente simili di altri ordinamenti, pur con le difficoltà di riconoscimento transfrontaliero. In questa prospettiva, il patto non va visto solo come istituto di diritto successorio, ma come tassello di un più ampio mosaico di strumenti di governance familiare destinati a evolversi nel contesto del pluralismo giuridico e dell’integrazione europea.
[1] Invero, mediante l’emanazione della Legge n. 55/2006, sono stati introdotti nel c.c., gli artt. 768-bis–768-octies, con i quali, attraverso un accordo contrattuale, si consente all’imprenditore di trasferire, in tutto o in parte, la propria azienda, e al titolare di partecipazioni societarie di trasferire, in tutto o in parte, le proprie quote, a quel o quei discendente/i ritenuto/i più idoneo/i a proseguirne l’attività dopo la sua morte.
[2] Come si legge in S. Andreazza, “Eredi subito con i patti di famiglia”, in ItaliaOggi del 27 aprile 2006, pag. 51, mediante il patto di famiglia, il titolare di un’azienda può programmare «la gestione dell’impresa anche per il tempo successivo alla sua morte [evitando] eventuali disaccordi tra eredi legati alla suddivisione della massa ereditaria che spesso rischiano di portare all’estinzione dell’azienda stessa».
[3] Cass., n. 29506/2020.
[4] Il divieto dei patti successori sancito dall’art. 458, c.c., si estende anche ai patti successori dispositivi e rinunciativi. Invero, mentre con il patto istitutivo un soggetto regolamenta con un beneficiario l’assetto della propria vicenda successoria, con il patto dispositivo un soggetto dispone dei diritti che prevede di acquistare succedendo mortis causa a un altro soggetto, e, infine, il patto rinunciativo riguarda ogni atto di rinuncia a successioni non ancora aperte. La nostra attenzione è rivolta ai patti istitutivi poiché in tale categoria si possono fare rientrare i patti successori d’impresa. G. Capozzi, Successioni e donazioni, tomo I, Milano, 1983, pag. 27 ss.; V. Putortì, Morte del disponente e autonomia negoziale, Milano, 2000, pagg. 75-76.
[5] La ratio del divieto dei patti successori risiede nell’esigenza di tutelare la libertà del de cuius di modificare o revocare in ogni momento il proprio testamento fino all’ultimo giorno di vita, giacché la stipulazione di un patto successorio lo vincolerebbe al rispetto di quanto stabilito con le altre parti del contratto. La compressione della libertà di disporre della propria successione presenta dei risvolti estremamente utili nelle realtà imprenditoriali. Infatti, prima di tale modifica del Codice civile, potendo il testamento essere modificato in qualsiasi momento finché il testatore è in vita, non vi era alcuna certezza per l’erede prescelto, riguardo al trasferimento del governo dell’impresa in suo favore, almeno fino alla lettura del testamento. Una situazione di incertezza di questo tipo non giovava né agli eredi, che non potevano sentirsi stimolati a interessarsi dell’amministrazione dell’azienda non essendo sicuri di divenirne i proprietari, né all’azienda stessa poiché essa può presentarsi più credibile nei confronti di fornitori, istituti di credito, clienti e altri partners aziendali se il suo futuro è stato già pianificato in maniera attendibile.
[6] Si rimanda a: A. Felicioni, “Successioni d’impresa in un patto”, in ItaliaOggi del 2 febbraio 2006, pag. 34; A. Zoppini, “Il patto di famiglia non risolve le liti”, in Il Sole – 24 Ore del 3 febbraio 2006, n. 33, pag. 27; A. Felicioni – G. Ripa, “I nuovi patti di famiglia al decollo”, in ItaliaOggi del 2 marzo 2006, pag. 34; F. Tassinari, “Il patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari”, in Atti del Convegno “Professione e Ricerca. Attualità e problematiche in materia di donazioni, patrimoni separati e fallimento”, tenutosi a Pozzo Faceto-Fasano (BR) nei giorni 23-24 giugno 2006, pagg. 76-79. Al contrario, la disciplina dell’istituto della donazione, tutelando gli eredi del donante non beneficiari della donazione mediante l’obbligo di collazione e l’esercizio dell’azione di riduzione, rende instabili gli effetti della donazione stessa con tutte le conseguenze che ne derivano qualora oggetto della donazione siano l’azienda ovvero le partecipazioni.
[7] Già nella Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (G.U.C.E. 31 dicembre 1994, L 385) si è messa in evidenza l’esigenza dei Paesi membri di regolare la successione dell’impresa. Nel 1998 la Commissione Europea è intervenuta nuovamente sull’argomento con la Comunicazione n. 98/C 93/02, relativa alla trasmissione delle Piccole e Medie Imprese.
[8] Sul punto E. Catinari, “Challenges and Prospects of the Italian Patto di Famiglia in the Context of European Succession Law Harmonization”, in European Taxation, 65 (9), 2025, IBFD, https://doi.org/10.59403/djf5yg.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.


