Come implementare un GHG Protocol
di Fabio SartoriIl GHG Protocol rappresenta lo standard internazionale di riferimento per la misurazione e la rendicontazione delle emissioni di gas serra. Attraverso la classificazione in Scope 1, 2 e 3, consente alle imprese di individuare le fonti emissive rilevanti e pianificare azioni di mitigazione efficaci. È uno strumento chiave per rispondere alla normativa europea in materia ESG e per rafforzare la governance ambientale.
Nell’attuale contesto di emergenza climatica, la misurazione delle emissioni di gas a effetto serra (Greenhouse Gases – GHG) si configura come presupposto imprescindibile per ogni strategia di mitigazione. La crescente attenzione rivolta alle performance ambientali delle imprese da parte di stakeholder finanziari, istituzioni pubbliche e consumatori ha determinato l’affermazione di strumenti metodologici che garantiscano trasparenza, comparabilità e affidabilità dell’informativa climatica. In questo scenario, il Greenhouse Gas Protocol (GHG Protocol) rappresenta lo standard volontario più diffuso a livello globale per la contabilizzazione e la rendicontazione delle emissioni climalteranti.
Attraverso il GHG Protocol le imprese possono misurare la propria esposizione climatica, predisporre inventari emissivi attendibili, integrare metriche ambientali nei sistemi di gestione e comunicare in maniera coerente le proprie azioni verso la decarbonizzazione. L’adozione di tale framework consente di rendere misurabile l’intangibile, ovvero l’impatto dell’organizzazione al cambiamento climatico globale e di tradurre in chiave quantitativa le politiche di transizione energetica.
Origine e sviluppo del GHG Protocol
Il Greenhouse Gas Protocol è frutto di un’iniziativa congiunta tra 2 organizzazioni internazionali: il World Resources Institute (WRI), centro di ricerca statunitense fondato nel 1982 con focus sulla sostenibilità ambientale, e il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), network globale di imprese istituito nel 1995 per promuovere lo sviluppo sostenibile nel settore privato[1]. La collaborazione tra WRI e WBCSD inizia nel 1997, con l’obiettivo di colmare un vuoto metodologico: all’epoca, infatti, non esisteva ancora uno standard condiviso per la misurazione delle emissioni di gas serra a livello aziendale[2].
Concetti chiave: emissioni e CO₂ equivalente
La comprensione del GHG Protocol richiede la familiarità con alcuni concetti fondamentali della climatologia e della contabilità ambientale. Tra questi, assumono particolare rilievo le definizioni di gas a effetto serra e tonnellate equivalenti di anidride carbonica (CO2e).
I gas a effetto serra (GHG) sono composti chimici che, presenti in atmosfera, assorbono e riemettono radiazioni infrarosse, contribuendo all’incremento della temperatura terrestre. Tra i principali GHG vi sono l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O), i gas fluorurati (HFC, PFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6). Ciascuna di queste sostanze ha un potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential – GWP) differente, misurato in relazione alla CO2.
Tabella GHG e provenienza
| GHG | Formula
chimica |
Provenienza |
| Anidride carbonica | CO2 | Utilizzo di fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) per la produzione di energia; deforestazione e conversione dei suoli per usi agricoli o urbani |
| Metano | CH4 | Attività agro-zootecniche (allevamenti intensivi, coltivazioni di riso); trattamento e smaltimento dei rifiuti |
| Protossido di azoto | N2O | Agricoltura (fertilizzanti); attività industriali; processi di ossidazione di idrocarburi |
| Idrofluorocarburi (HFC) | HFC | Sistemi di refrigerazione e condizionamento (ad esempio frigoriferi, condizionatori d’aria); pompe di calore; aerosol tecnici; agenti estinguenti (ad esempio antincendio) |
| Perfluorocarburi (PFC) | PFC | Industria elettronica (ad esempio fabbricazione di circuiti integrati e microchip); settore metallurgico (produzione dell’alluminio primario); agenti propellenti in applicazioni specialistiche |
| Esafluoruro di zolfo | SF6 | Isolamento elettrico in apparecchiature ad alta tensione (ad esempio trasformatori e interruttori industriali); gas tracciante per studi di dispersione atmosferica; produzione di magnesio (come gas protettivo) |
Il GHG Protocol, in quanto standard metodologico, consente di costruire in modo strutturato l’inventario delle emissioni climalteranti[3], secondo regole condivise e trasparenti. La scelta dei fattori di emissione, la definizione dei confini organizzativi e operativi, la frequenza di aggiornamento e la modalità di verifica dei dati costituiscono elementi chiave per l’efficacia e credibilità dell’inventario delle emissioni di carbonio (carbon inventory aziendale).
Classificazione delle emissioni: Scope 1, 2 e 3
Uno degli elementi distintivi e maggiormente innovativi del GHG Protocol è la classificazione delle emissioni di gas serra in 3 ambiti analitici noti come Scope 1, Scope 2 e Scope 3. Questa suddivisione consente una mappatura completa delle fonti emissive, andando oltre il perimetro dell’azienda per considerare anche gli impatti indiretti associati all’intera catena del valore. Tale articolazione si è affermata come standard internazionale, adottata da numerosi framework di reporting ESG e, più recentemente, dagli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) elaborati da EFRAG.
Scope 1 – Emissioni dirette
Le emissioni classificate nello Scope 1 derivano da fonti che sono direttamente fruite o controllate dall’organizzazione. Si tratta di emissioni fisicamente generate all’interno del perimetro operativo dell’azienda. Gli esempi più frequenti includono:
− combustione di carburanti fossili nei generatori, caldaie o forni industriali;
− emissioni dai veicoli aziendali a combustione interna;
− rilascio di gas refrigeranti da impianti di climatizzazione e refrigerazione;
− processi industriali che comportano trasformazioni chimiche (ad esempio cementifici, siderurgia).
Questa categoria rappresenta l’insieme delle fonti su cui l’organizzazione ha un controllo diretto e, quindi, la possibilità immediata di implementare strategie di efficientamento energetico o sostituzione tecnologica.
Scope 2 – Emissioni indirette da consumo energetico
Lo Scope 2 include le emissioni associate alla generazione dell’energia acquistata e consumata dall’organizzazione, come elettricità, calore o vapore. Sebbene tali emissioni avvengano fisicamente altrove (cioè, presso il fornitore energetico), sono attribuite all’azienda utilizzatrice poiché derivano da una sua decisione di consumo.
Il GHG Protocol prevede 2 approcci per il calcolo delle emissioni Scope 2:
− location-based: si basa sul mix energetico medio del Paese o della rete da cui l’azienda acquista l’energia;
− market-based: considera contratti specifici stipulati con fornitori di energia rinnovabile o con garanzie d’origine (es. PPA[4], certificati RECS[5] o GO[6]).
L’inclusione dello Scope 2 consente alle imprese di orientare la domanda energetica verso fonti rinnovabili, contribuendo indirettamente alla decarbonizzazione del sistema energetico nazionale.
Scope 3 – Altre emissioni indirette
Lo Scope 3 comprende tutte le altre emissioni indirette che si generano a monte o a valle delle attività aziendali, e che non sono comprese nello Scope 2. Questa categoria rappresenta la parte più complessa e, spesso, maggioritaria del bilancio emissivo di un’organizzazione.
Secondo la classificazione del GHG Protocol Scope 3 Standard, le emissioni possono essere suddivise in 15 categorie, tra cui:
− acquisto di beni e servizi;
− attività legate al capitale fisso;
− trasporti e distribuzione upstream e downstream;
− viaggi di lavoro;
− spostamenti casa-lavoro dei dipendenti;
− uso e fine vita dei prodotti venduti;
− trattamento dei rifiuti generati.
Le emissioni Scope 3 richiedono una raccolta dati estesa e spesso complessa, coinvolgendo fornitori, clienti e altri operatori lungo la value chain. Per tale motivo, rappresentano anche un’opportunità strategica per attivare progetti collaborativi di riduzione con partner industriali.
Tabella degli ambiti emissivi (scope 1, 2, 3)
| Ambito (Scope) | Descrizione | Esempi |
| SCOPE 1
Emissioni dirette |
Emissioni derivanti da fonti direttamente possedute o controllate dall’organizzazione. Si tratta di emissioni fisicamente generate all’interno del perimetro operativo aziendale. | – Combustione di carburanti fossili in caldaie, generatori, forni; – emissioni da veicoli aziendali; – perdite di gas refrigeranti; – processi industriali con trasformazioni chimiche. |
| SCOPE 2
Emissioni indirette da consumo energetico |
Emissioni associate alla generazione dell’energia acquistata e consumata dall’azienda (elettricità, calore, vapore). Seppur sostenute altrove, sono imputate all’organizzazione. | – consumo di energia elettrica dalla rete; – riscaldamento fornito da terzi; – raffreddamento centralizzato; – approcci: location-based e market-based. |
| SCOPE 3
Altre emissioni indirette |
Emissioni indirette derivanti da attività a monte e a valle lungo la catena del valore, non incluse nello Scope 2. Rappresentano la parte più estesa e complessa del bilancio emissivo. | – Acquisto di beni e servizi; – trasporti e distribuzione; – viaggi di lavoro e pendolarismo; – uso e fine vita dei prodotti; – trattamento rifiut.i |
Rilevanza strategica della distinzione tra Scope
La classificazione delle emissioni secondo gli Scope 1, 2 e 3 non risponde unicamente a criteri metodologici, ma riveste una valenza strategica per la governance della sostenibilità aziendale. Essa consente di:
− focalizzare le azioni di mitigazione sulle emissioni direttamente generate dall’impresa (Scope 1), per le quali sussiste il massimo grado di controllo operativo;
− attivare leve gestionali indirette attraverso politiche di approvvigionamento energetico sostenibile (Scope 2), incidendo sulle scelte di fornitura e consumo;
− estendere la responsabilità ambientale lungo l’intera catena del valore (Scope 3), promuovendo una logica di rendicontazione integrata e di accountability condivisa con fornitori, clienti e stakeholder esterni.
Numerose imprese, in particolare nei settori manifatturiero, retail e ICT, hanno rilevato che la maggior parte del loro impatto emissivo complessivo risiede nello Scope 3. Questo dato ha spinto molte organizzazioni ad attivare sistemi di tracciamento dei fornitori, programmi di engagement con la supply chain e strumenti di carbon disclosure esterna.
Caso applicativo: la supply chain automotive
Un esempio concreto dell’approccio Scope-based può essere osservato nel settore automotive. Un costruttore di veicoli, ad esempio, contabilizzerà nello Scope 1 le emissioni delle sue linee produttive e delle flotte aziendali; nello Scope 2, l’elettricità utilizzata per alimentare gli impianti; mentre lo Scope 3 includerà le emissioni generate:
− dalla produzione dei componenti presso fornitori esterni (ad esempio acciaio, plastica, elettronica);
− dalla logistica e distribuzione;
− dall’uso dei veicoli da parte degli utenti per tutta la loro vita utile;
− dal trattamento a fine vita e dal riciclo dei materiali.
Il ciclo di vita dell’inventario GHG: fasi e attività
La redazione dell’inventario GHG si sviluppa lungo un ciclo annuale che comprende un percorso multi-step:
- definizione dei confini organizzativi e operativi;
- identificazione delle fonti emissive e raccolta dei dati di attività;
- selezione dei fattori di emissione coerenti con le attività svolte;
- calcolo delle emissioni per ciascuno Scope;
- verifica interna e assurance esterna;
- reporting e comunicazione agli stakeholder.
Questo processo si ripete su base ciclica, con l’obiettivo di migliorare progressivamente la qualità del dato e la capacità predittiva dell’impresa rispetto ai propri impatti ambientali.
Sistemi di raccolta dati: centralizzazione e decentramento
A seconda della complessità dell’organizzazione, la raccolta dati può avvenire:
− in forma centralizzata, tramite un unico ufficio di sostenibilità o risk management, che accentra la compilazione dell’inventario;
− in forma decentrata, coinvolgendo referenti ESG locali in ciascuna unità produttiva, filiale o area geografica.
Il secondo modello è più adatto per multinazionali o gruppi industriali diversificati, ma comporta la necessità di standardizzare i processi e formare i referenti locali, garantendo l’omogeneità metodologica.
Il ruolo della governance nella supervisione dell’inventario
La costruzione dell’inventario emissivo non può essere relegata alla sola funzione tecnica. L’organo amministrativo, i comitati ESG e la direzione finanziaria devono assumere un ruolo di supervisione strategica, soprattutto nei seguenti ambiti:
− approvazione della metodologia di rendicontazione e dei confini di calcolo;
− validazione dei dati comunicati all’esterno, soprattutto nei documenti ufficiali (bilancio integrato, climate report, CDP[7]);
− monitoraggio del raggiungimento dei target di riduzione e delle performance rispetto agli obiettivi SBTi[8].
L’integrazione tra climate accounting e corporate governance è oggi una delle principali raccomandazioni dei framework internazionali, come la Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) e le linee guida EFRAG per l’ESRS.
I dataset di emissione e le fonti ufficiali
Uno dei primi passaggi nella costruzione di un inventario GHG è la selezione dei fattori di emissione, ovvero dei coefficienti che permettono di convertire l’attività (ad esempio litri di carburante consumati, kWh di energia usata, tonnellate di materiali lavorati) in quantità di CO2 equivalente. Il GHG Protocol raccomanda l’utilizzo di fonti accreditate e aggiornate periodicamente, tra cui:
− intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): fornisce i GWP (Global Warming Potential) dei principali gas serra;
− UK DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs): produce annualmente database aggiornati con valori per numerose attività economiche;
− banca dati Ecoinvent: fornisce dati di inventario del ciclo di vita (LCI), utilizzata per stimare le emissioni indirette;
− IEA (International Energy Agency): utile per il mix energetico dei Paesi e i consumi energetici settoriali.
La corretta scelta dei fattori è fondamentale per garantire coerenza e comparabilità delle emissioni dichiarate, soprattutto nel contesto dei report obbligatori ai sensi della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).
Modelli di calcolo GHG: strumenti ufficiali e personalizzabili
Per misurare efficacemente le emissioni climalteranti, le imprese e le Amministrazioni pubbliche possono fare affidamento su un insieme di strumenti ufficiali sviluppati dal GHG Protocol, progettati per facilitare la creazione di inventari completi e affidabili delle emissioni. Questi tool supportano non solo le aziende, ma anche città e governi, nel monitoraggio dei propri obiettivi climatici e nella rendicontazione periodica dei progressi.
La costruzione di un inventario emissivo non è un’operazione istantanea, ma un processo articolato in più fasi. Prima di procedere con le stime vere e proprie, è necessario prestare particolare attenzione alla qualità dei dati raccolti, alla loro coerenza metodologica e alla corretta classificazione delle attività emissive. Solo a valle di questa fase preparatoria è possibile avviare il calcolo vero e proprio delle emissioni.
La Corporate Accounting and Reporting Standard del GHG Protocol costituisce la guida metodologica di riferimento per l’intero processo di elaborazione dell’inventario aziendale.
Gli strumenti messi a disposizione includono una varietà di modelli, suddivisi per ambiti di applicazione:
− tool trasversali: utilizzabili da organizzazioni di qualsiasi settore, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta;
− tool specifici per Paese: modelli sviluppati per singoli Paesi, con parametri, unità di misura e fattori di emissione tarati sulle caratteristiche locali;
− tool specifici per settore: progettati per industrie ad alta intensità emissiva (energia, logistica, cemento, agricoltura), ma spesso adattabili anche ad altri contesti produttivi;
− strumenti per enti pubblici e città: orientati a monitorare gli obiettivi di neutralità climatica a livello territoriale o urbano.
Poiché le fonti di emissione sono spesso diversificate, è frequente che un’organizzazione debba combinare più strumenti tra loro per coprire in modo esaustivo tutte le attività rilevanti. Questo approccio modulare consente di mantenere elevati standard di accuratezza, trasparenza e comparabilità nella rendicontazione.
A garanzia della conformità metodologica, il GHG Protocol ha introdotto anche il marchio “Built on GHG Protocol”, che certifica la coerenza di uno strumento o linea guida con i suoi standard ufficiali.
Tutti gli strumenti sono accessibili dal portale ufficiale del GHG Protocol (ghgprotocol.org), dove sono anche disponibili le FAQ, i disclaimer legali e i materiali formativi destinati a imprese, enti pubblici e consulenti.
Accuratezza e verificabilità dei dati
Uno degli elementi di forza del GHG Protocol è l’attenzione alla qualità dei dati. I 5 principi guida (Relevance, Completeness, Consistency, Transparency, Accuracy) richiedono che ogni dato:
− sia rilevante per il business e le finalità del report;
− copra tutte le fonti emissive significative;
− sia calcolato secondo criteri replicabili nel tempo;
− sia documentato in modo da consentire audit esterni;
− raggiunga un livello di accuratezza in linea con gli standard settoriali di riferimento.
La crescente richiesta di assurance da parte degli auditor esterni (soprattutto in ambito CSRD ed ESRS) rende essenziale una struttura documentale solida, capace di giustificare ogni input e ogni coefficiente utilizzato nei calcoli.
L’inventario GHG aziendale: struttura, periodicità, governance
L’inventario delle emissioni di gas serra rappresenta lo strumento operativo attraverso il quale le imprese possono rendere tangibile la propria esposizione climatica. In ambito GHG Protocol, l’inventario costituisce la sintesi organizzata, documentata e verificabile dei dati emissivi rilevati lungo le 3 categorie Scope 1, 2 e 3. La costruzione e l’aggiornamento dell’inventario riflette le scelte strategiche dell’organizzazione in merito ai propri confini di rendicontazione, alla qualità dei dati, al coinvolgimento delle business unit e ai meccanismi di governance interna.
Processi di audit e assurance: standard e soggetti terzi
Una volta redatto, l’inventario GHG può essere sottoposto a processi di verifica esterna (assurance). Le forme di assurance possono essere:
− limitata: verifica campionaria delle fonti e della metodologia;
− ragionevole: verifica approfondita, con analisi documentale e test di coerenza.
I soggetti abilitati all’assurance sono generalmente revisori ESG, società di audit ambientale o organismi accreditati. La scelta di sottoporsi ad assurance sta diventando una prassi presso le imprese che devono rispondere alle richieste degli investitori istituzionali o delle Autorità di vigilanza.
L’inventario delle emissioni rappresenta oggi molto più di un’esigenza tecnico-contabile. È il presupposto per la credibilità di ogni strategia climatica, per la legittimità della comunicazione ESG e per l’accesso a meccanismi di finanziamento legati alla sostenibilità. In questo senso, si configura come una leva strategica che connette l’analisi quantitativa degli impatti ambientali con le scelte di investimento, approvvigionamento, pricing e comunicazione istituzionale.
Integrazione nei report integrati e nel bilancio di sostenibilità
Sempre più imprese scelgono di integrare le informazioni ambientali nei propri report. Il GHG Protocol, quindi, non è solo uno standard tecnico, ma diventa uno strumento narrativo che consente di articolare la transizione climatica all’interno di una logica di creazione di valore sostenibile. L’integrazione tra GHG Protocol, GRI e ESRS presenta numerosi vantaggi:
− riduzione dei costi di compliance: l’adozione di un unico sistema di misurazione consente di evitare duplicazioni nei processi di raccolta e rendicontazione dei dati;
− maggiore credibilità: l’allineamento con standard riconosciuti a livello internazionale migliora la qualità percepita dei dati comunicati;
− facilitazione dell’audit: i revisori possono validare più facilmente dati strutturati secondo il GHG Protocol;
− apertura alla finanza sostenibile: i dati GHG costituiscono la base per accedere a green bond, ESG-linked loans e altre forme di capitali orientati alla sostenibilità.
Riflessioni conclusive
Il GHG Protocol, se integrato correttamente nei framework di rendicontazione, consente alle imprese di trasformare l’obbligo informativo in un’occasione di posizionamento strategico. Non si tratta solo di misurare, ma di raccontare in modo chiaro e credibile l’impegno verso la transizione climatica. In un contesto normativo sempre più esigente, l’adozione di standard compatibili tra loro diventa un requisito di sistema, oltre che un’opportunità competitiva.
Il GHG Protocol entra in questo processo come riferimento per la definizione e il controllo dei KPI ambientali. I dati raccolti e rendicontati attraverso l’inventario GHG diventano strumenti essenziali per guidare decisioni strategiche, allocare investimenti e definire le priorità di intervento. L’accuratezza e la trasparenza di tali dati rafforzano la responsabilità dei vertici e ne aumentano la rendicontabilità verso gli stakeholder esterni.
La governance del cambiamento climatico non può più essere delegata a funzioni tecniche o isolate. È un processo trasversale che coinvolge i vertici aziendali, la direzione finanziaria, il risk management e le funzioni operative. Il GHG Protocol, in quanto architettura di misurazione riconosciuta, si configura come un abilitatore di questo processo, trasformando la rendicontazione delle emissioni in una base per la resilienza organizzativa, la pianificazione strategica e la comunicazione con il mercato.
[1] L’autorevolezza del protocollo è tale da renderlo oggi il riferimento metodologico più utilizzato tra le aziende incluse nel ranking Fortune 500. Inoltre, numerosi standard internazionali di rendicontazione ESG (quali GRI, CDP, SASB e TCFD) ne richiamano esplicitamente i criteri e la struttura, generando una convergenza tecnico-normativa che ha favorito la sua diffusione su scala globale.
[2] La prima versione ufficiale del protocollo è stata pubblicata nel 2001. Nel corso degli anni, il GHG Protocol è stato oggetto di successive revisioni e ampliamenti, fino a costituire oggi un corpus articolato di standard, linee guida e strumenti settoriali.
[3] Le emissioni climalteranti sono rilasci in atmosfera di gas a effetto serra (GHG, Greenhouse Gases), che intrappolano il calore irradiato dalla Terra, alterando l’equilibrio termico dell’atmosfera e contribuendo al riscaldamento globale.
[4] Un PPA (Power Purchase Agreement) è un contratto di fornitura a lungo termine con cui un’azienda si impegna ad acquistare energia, solitamente rinnovabile, da un produttore a condizioni predefinite. Serve a garantire stabilità economica a entrambe le parti, sostenendo al contempo la transizione energetica.
[5] RECS, acronimo di Renewable Energy Certificate System, è un meccanismo volontario di portata internazionale finalizzato alla tracciabilità e certificazione dell’origine rinnovabile dell’energia elettrica prodotta. Attraverso l’emissione di certificati standardizzati, ogni RECS attesta la generazione di 1 megawattora (MWh) di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili – come eolico, solare, idroelettrico o biomasse.
[6] Un GO (Garanzia di Origine) è un certificato elettronico rilasciato per attestare che un certo quantitativo di energia elettrica (1 MWh) è stato effettivamente prodotto da fonti rinnovabili.
[7] Il CDP, originariamente noto come Carbon Disclosure Project, è una organizzazione internazionale non profit che gestisce uno dei più diffusi sistemi volontari di rendicontazione ambientale.
[8] Gli SBTi (Science Based Targets initiative) sono un’iniziativa internazionale – nata nel 2015 – che supporta aziende e istituzioni finanziarie nel definire e validare obiettivi di riduzione delle emissioni (Scope 1, 2 e, se rilevante, 3) in linea con le evidenze scientifiche sul cambiamento climatico e con l’Accordo di Parigi, finalizzati a contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.


