16 Maggio 2025

Fusione e contestuale scissione totale asimmetrica: commento alla risposta a interpello n. 84/E/2024

di Bartolomeo RussoFederico Di Pippo
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Il presente contributo analizza la risposta a interpello n. 84/E/2024 dell’Agenzia delle entrate, con la quale viene affrontato il delicato tema dell’abuso del diritto in relazione a una complessa operazione straordinaria di fusione seguita da scissione totale asimmetrica. Dopo una puntuale ricostruzione della fattispecie oggetto di interpello – nella quale 3 società immobiliari, partecipate da membri della medesima famiglia, avevano pianificato una riorganizzazione finalizzata alla separazione dei rispettivi patrimoni e alla gestione autonoma delle attività – l’articolo esamina i principi generali in materia di abuso del diritto, con particolare attenzione ai requisiti richiesti dall’articolo 10-bis, L. 212/2000. Nell’ultima parte, si propone una riflessione critica sulla portata della posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, interrogandosi se essa rappresenti un orientamento generalizzabile a tutte le operazioni che combinano fusioni e scissioni ovvero se debba considerarsi limitata alla specificità del caso analizzato, caratterizzato da una perfetta specularità patrimoniale pre e post operazione.

 

Introduzione

Con la risposta a interpello n. 84/E/2024, l’Agenzia delle entrate ha affrontato una complessa operazione societaria avente a oggetto una fusione per incorporazione seguita da una scissione totale asimmetrica, posta in essere da un gruppo familiare operante nel settore immobiliare. L’istanza di interpello mirava a ottenere chiarimenti circa la potenziale operazione, ai fini delle imposte dirette, quale fattispecie di abuso del diritto, ai sensi dell’articolo 10-bis, L. 212/2000. L’Agenzia delle entrate, nell’esprimersi sull’interpello, ha adottato una posizione restrittiva, ritenendo che la struttura dell’operazione – pur rispettando i requisiti formali previsti dalla disciplina civilistica e tributaria – fosse sprovvista di sostanza economica e realizzata al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale indebito. In particolare, la configurazione complessiva dell’operazione ha indotto l’Agenzia delle entrate a ritenere che non fossero rispettate le finalità riorganizzative che giustificano, sul piano sistematico, il regime di favore previsto per le operazioni straordinarie. La combinazione delle 2 operazioni (fusione e scissione), secondo la prospettiva dell’ufficio, avrebbe surrogato una traslazione delle partecipazioni tra i soci con effetti analoghi a quelli di una cessione, soggetta al regime impositivo previsto dall’articolo 67, Tuir.

La questione sollevata tocca il nodo essenziale che si pone nel rapporto tra forma giuridica e sostanza economica delle operazioni, imponendo una riflessione sul concetto stesso di abuso del diritto in ambito fiscale, e sulla sottile linea di demarcazione tra pianificazione legittima ed elusione. In tale contesto, l’articolo si propone di analizzare le motivazioni sottese alla posizione dell’Agenzia delle entrate, approfondendo i presupposti normativi dell’abuso del diritto e la loro applicazione alle operazioni straordinarie di fusione e scissione asimmetrica. Nelle conclusioni, si valuterà se l’interpretazione offerta possa costituire un precedente applicabile a casistiche analoghe, o se debba considerarsi circoscritta alla specificità della fattispecie oggetto dell’interpello.

 

Oggetto dell’interpello

L’istanza sottoposta alla valutazione dell’Agenzia delle entrate riguarda la legittimità fiscale di un’operazione straordinaria complessa che coinvolge le società Alfa, Beta e Gamma partecipate in egual misura del 33,33% da 3 soci appartenenti a un unico gruppo familiare. La richiesta trae origine da esigenze di riorganizzazione interna e da dissapori sorti tra le generazioni dei soci, in quanto quelli della prima – orientati a una gestione conservativa del patrimonio immobiliare – intendono proseguire nel solco dell’attività tradizionalmente svolta, mentre quelli della seconda – più propensi a un’evoluzione dinamica dell’impresa – manifestano interesse ad ampliare e diversificare il modello operativo. Tale differente impostazione strategica ha dato luogo a una crescente difficoltà nella gestione comune delle attività aziendali, rendendo necessario, secondo le parti coinvolte, un ripensamento complessivo dell’assetto societario e della governance. La riorganizzazione progettata dai contribuenti ha come obiettivo dichiarato quello di suddividere le compagini societarie e i patrimoni a esse collegati, in modo da permettere a ciascun ramo familiare di operare in modo autonomo, rispondendo alle specifiche esigenze organizzative e progettuali emerse nel tempo.

La struttura dell’operazione è articolata in 2 fasi principali: la fusione per incorporazione e la successiva scissione totale asimmetrica. Nella prima fase, le 3 entità giuridiche – seppur distinte – presentano la medesima compagine sociale, elemento che ha spinto i soci a proporre, ai sensi dell’articolo 2501 e ss., cod. civ., una fusione per incorporazione, con l’obiettivo di unificare formalmente i patrimoni e semplificare la struttura organizzativa. L’operazione, così delineata, mira a superare la frammentazione iniziale, accorpando sotto un unico soggetto giuridico i beni immobili detenuti dalle 3 società originarie. Tale operazione di fusione, tuttavia, è concepita come funzionalmente propedeutica alla fase successiva, ovvero alla scissione.

La seconda fase, infatti, prevede la realizzazione di una scissione totale non proporzionale (o asimmetrica) della società risultante dalla fusione, in favore di 3 nuove società di capitali unipersonali, appositamente costituite, ciascuna interamente partecipata da uno dei soci originari. Ai sensi dell’articolo 2506, cod. civ., tale scissione si caratterizza per la sua asimmetria in quanto non comporta una ripartizione proporzionale tra i soci, bensì l’attribuzione integrale di ciascun patrimonio immobiliare a uno solo dei soci, tramite la titolarità esclusiva delle partecipazioni nella rispettiva società beneficiaria. In tal modo, ciascun socio viene posto in condizione di gestire in via esclusiva la propria “porzione” di attività, senza ulteriori sovrapposizioni o necessità di coordinamento con gli altri. Questa separazione, secondo le intenzioni dichiarate, dovrebbe favorire una gestione più coerente con le diverse strategie imprenditoriali e risolvere alla radice le situazioni di conflittualità insorte.

Nel corso del procedimento, le società istanti hanno fornito all’Agenzia delle entrate una serie di elementi informativi e documentali, al fine di chiarire il contenuto e le finalità dell’operazione proposta. In particolare, sono stati evidenziati: il valore fiscale, economico e contabile delle partecipazioni possedute dai 3 soci alla data di efficacia dell’operazione; il valore economico delle partecipazioni nelle nuove società unipersonali che i soci andranno a detenere post scissione; i valori contabili, fiscali ed economici dei beni immobiliari assegnati a ciascun “lotto”; nonché la destinazione economica e funzionale degli immobili stessi. Un elemento peculiare dell’operazione prospettata risiede nel fatto che i patrimoni originariamente detenuti dalle società Alfa, Beta e Gamma verranno, al termine delle operazioni straordinarie, assegnati integralmente e senza alcuna modifica sostanziale a ciascuno dei 3 soci, attraverso la titolarità esclusiva delle partecipazioni nelle rispettive società beneficiarie. In altri termini, l’effetto finale dell’operazione consisterà unicamente in un mutamento soggettivo della titolarità delle quote, senza alcuna variazione nella composizione o destinazione dei patrimoni aziendali coinvolti. Tali elementi sono stati ritenuti dalle istanti funzionali a dimostrare, da un lato, la coerenza interna del progetto e, dall’altro, la continuità dell’attività economica nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 172 e 173, Tuir, che regolano il regime di neutralità fiscale delle operazioni straordinarie.

In sintesi, l’interpello evidenzia una fattispecie in cui i contribuenti, facendo leva sulla flessibilità offerta dalla normativa civilistica e tributaria in materia di operazioni straordinarie, tentano di risolvere una crisi gestionale familiare mediante strumenti giuridici leciti e formalmente coerenti. La ricostruzione fornita dalle istanti insiste sull’esistenza di ragioni extra fiscali concrete e non marginali – quali la gestione delle tensioni interpersonali, la pianificazione del passaggio generazionale e la semplificazione organizzativa – a sostegno dell’operazione prospettata. Tuttavia, come si vedrà nei successivi paragrafi, tale impostazione non ha trovato accoglimento da parte dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha ritenuto che l’operazione, pur corretta nella forma, si risolvesse nella realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, in quanto idonea a surrogare, attraverso la neutralità delle operazioni straordinarie, un effetto economicamente equivalente a una cessione di partecipazioni soggetta a tassazione.

 

Quadro normativo di riferimento

Nel contesto dell’analisi dell’interpello, assume rilievo fondamentale la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, articolato su 2 direttrici: da un lato, i principi che governano l’abuso del diritto in materia tributaria, codificati nell’articolo 10-bis, L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente); dall’altro, le disposizioni che disciplinano il regime fiscale delle operazioni straordinarie di fusione e scissione, contenute negli articoli 172 e 173, Tuir. Entrambi i piani normativi interagiscono nel caso oggetto di interpello, costituendo il fondamento giuridico su cui si innesta il ragionamento svolto dall’Amministrazione finanziaria per giungere alla qualificazione dell’operazione.

L’articolo 10-bis, L. 212/2000, introdotto nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 128/2015, ha rappresentato un punto di svolta nella disciplina dell’elusione fiscale, codificando in forma positiva il concetto di abuso del diritto e ponendolo su basi giuridiche più certe e oggettive. Secondo tale norma, l’abuso del diritto si configura quando il contribuente realizza uno o più atti, pur formalmente conformi alle norme tributarie, che producono essenzialmente vantaggi fiscali indebiti in assenza di valide ragioni extra fiscali non marginali. La norma stabilisce, inoltre, che l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare il concorso di 3 elementi costitutivi per poter qualificare un’operazione come abusiva: il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali, l’assenza di sostanza economica e l’essenzialità del vantaggio fiscale nell’economia dell’operazione. Riguardo quest’ ultimo requisito, infatti, la norma prevede che in presenza di valide ragioni extra fiscali non marginali, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, l’operazione è da considerarsi in ogni caso non abusiva.

Il primo elemento cardine, come emerso anche nel caso in esame, è la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito. L’operazione, per essere ritenuta abusiva, deve consentire al contribuente un beneficio fiscale non coerente con la ratio della norma che lo prevede, o in contrasto con i principi dell’ordinamento tributario. Il beneficio, in altri termini, deve risultare “aggirato”, ottenuto mediante l’utilizzo strumentale di norme al di fuori delle finalità per cui esse sono state concepite.

Il secondo requisito previsto dalla norma è rappresentato dall’assenza di sostanza economica, ossia dall’inidoneità dell’operazione a produrre effetti economici significativi diversi dal risparmio fiscale. La giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno spesso ribadito che la legittimità formale di un atto non è sufficiente a garantirne la neutralità sotto il profilo antiabusivo: occorre che tale atto risponda a reali esigenze operative, strategiche o gestionali.

Il terzo presupposto, che rappresenta il cuore della valutazione antiabuso, è l’essenzialità del vantaggio fiscale. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 10-bis, L. 212/2000 non è sufficiente che un’operazione generi un beneficio fiscale: tale beneficio deve costituire lo scopo principale, se non esclusivo, dell’intera operazione. L’articolo 10-bis, infatti, introduce un criterio correttivo di particolare importanza, vale a dire la presenza di valide ragioni extra fiscali non marginali, che, se accertata, esclude la configurabilità dell’abuso. Le ragioni extra fiscali possono essere di tipo organizzativo, gestionale, strategico, e devono essere tali da giustificare l’operazione indipendentemente dal risparmio d’imposta.

Parallelamente, per verificare l’abusività dell’operazione l’Agenzia delle entrate ha valutato la ratio delle disposizioni fiscali applicabili alle operazioni straordinarie di fusione e scissione, contenute rispettivamente agli articoli 172 e 173, Tuir. Tali norme prevedono, in linea generale, un regime di neutralità fiscale, ossia l’irrilevanza impositiva delle plusvalenze e minusvalenze che potrebbero emergere dai trasferimenti patrimoniali e dalla sostituzione delle partecipazioni in capo ai soci. In particolare, l’articolo 172, Tuir dispone che la fusione non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e delle minusvalenze riferibili ai beni delle società partecipanti, comprese le rimanenze e l’avviamento. Similmente, l’articolo 173, Tuir estende tale principio alle operazioni di scissione, stabilendo che le stesse non determinano effetti impositivi né in capo alla società scissa, né in capo alle beneficiarie, né in capo ai soci, salvo casi particolari.

Il fondamento di tale regime risiede nella funzione riorganizzativa delle operazioni straordinarie, che sono considerate fisiologiche nel ciclo di vita dell’impresa e che, se rispondenti a logiche economiche coerenti, non devono comportare carichi fiscali aggiuntivi. La neutralità fiscale si esprime anche nella continuità dei valori fiscali: i beni trasferiti mantengono in capo alla società incorporante o beneficiaria il valore fiscalmente riconosciuto che avevano presso la società d’origine, escludendo la possibilità di un nuovo affrancamento automatico.

Tuttavia, come sottolineato dalla stessa Agenzia delle entrate nella risposta oggetto di analisi, il regime di neutralità non può essere utilizzato per finalità elusorie, ossia per ottenere surrettiziamente vantaggi fiscali che deriverebbero, in condizioni ordinarie, da operazioni imponibili.

 

Posizione dell’Agenzia delle entrate

Si passa ora a un’analisi puntuale dei passaggi logico-giuridici che hanno condotto l’Amministrazione finanziaria a qualificare come abusiva l’operazione complessiva di fusione e scissione proposta dalle società istanti. In tale ambito, l’Agenzia delle entrate ha articolato un ragionamento partendo dall’impostazione normativa delineata dall’articolo 10-bis, L. 212/2000, facendo leva, in particolare, sull’indebito vantaggio fiscale ottenuto, sull’assenza di sostanza economica e sull’essenzialità del beneficio fiscale rispetto alle finalità dichiarate. L’analisi effettuata si caratterizza per un’elevata attenzione all’apparente simmetria tra la situazione patrimoniale ante e post operazione, nonché alla struttura formale dell’operazione, giudicata sproporzionata rispetto agli obiettivi indicati dai contribuenti.

Un primo snodo interpretativo decisivo si coglie nella lettura che l’Agenzia delle entrate fornisce del concetto di “vantaggio fiscale indebito”. L’ufficio rileva, infatti, che il beneficio fiscale derivante dall’operazione – in particolare, la mancata imposizione di plusvalenze che si sarebbero rese imponibili in caso di cessione diretta delle partecipazioni – sia contrario alla ratio della normativa che disciplina le operazioni straordinarie. Secondo l’Agenzia delle entrate, la struttura dell’operazione si traduce, di fatto, in un trasferimento delle partecipazioni tra soci senza la fisiologica tassazione prevista dall’articolo 67, Tuir. Tale effetto, pur realizzato formalmente attraverso una sequenza di operazioni civilisticamente ammissibili e fiscalmente neutrali, viene considerato come manifestazione di un vantaggio indebito, in quanto ottenuto per il solo tramite di una combinazione artificiosa di strumenti giuridici. Ciò che colpisce in tale ricostruzione è il peso attribuito al risultato economico finale dell’operazione rispetto al percorso formale seguito. L’Amministrazione finanziaria osserva come, al termine della sequenza di atti, ciascun socio ottenga il controllo esclusivo di un patrimonio identico a quello posseduto, ante fusione, dalla rispettiva società partecipata. In questo modo, la scissione asimmetrica post fusione verrebbe a ricalcare pedissequamente la situazione originaria, senza alcuna rimodulazione dei patrimoni e, quindi, senza alcuna vera riorganizzazione, se non sotto il profilo soggettivo della titolarità delle partecipazioni. A giudizio dell’Agenzia delle entrate, ciò evidenzia un uso distorto del meccanismo di neutralità fiscale: non uno strumento per agevolare una ristrutturazione aziendale reale, ma un mezzo per ottenere una diversa allocazione delle partecipazioni societarie in esenzione di imposta.

Altro punto saliente del ragionamento riguarda l’assenza di sostanza economica, ossia l’inidoneità dell’operazione a produrre effetti significativi diversi dal beneficio fiscale. Secondo la documentazione esaminata, l’Agenzia delle entrate rileva come l’operazione non comporti alcun mutamento nella natura o nella destinazione dei beni aziendali, né una riorganizzazione funzionale delle attività. La gestione immobiliare prosegue inalterata nelle nuove società beneficiarie, con immutati contenuti patrimoniali e con la sola differenza della titolarità soggettiva delle partecipazioni. In tale contesto, viene ritenuto che la scissione non risponda ad alcuna reale esigenza di tipo operativo o gestionale, ma sia giustificata esclusivamente dall’intento di ottenere un vantaggio tributario. Inoltre, la circostanza che le società Alfa, Beta e Gamma fossero state costituite – anche in tempi recenti attraverso precedenti operazioni straordinarie – proprio in vista di una futura separazione patrimoniale, viene interpretata come prova ulteriore del fatto che le basi per una differenziazione erano già state poste, e che la doppia operazione (fusione e scissione) risulti eccedente e ridondante rispetto a tale scopo. In sintesi, l’operazione è considerata come espressione di una combinazione artificiosa di 2 atti giuridici opposti – la fusione, a carattere aggregativo, e la scissione, di natura disaggregativa – i cui effetti si annullano reciprocamente, tornando sostanzialmente alla situazione iniziale. L’utilizzo concatenato di questi 2 strumenti, in assenza di un disegno funzionale coerente, viene considerato elemento sintomatico di un uso strumentale delle norme. L’operazione è vista come una costruzione eccessivamente sofisticata e priva di reali motivazioni economiche, che avrebbe potuto essere sostituita da atti negoziali più semplici e trasparenti, quali la cessione diretta delle partecipazioni tra i soci.

In merito all’essenzialità del vantaggio fiscale, l’Amministrazione finanziaria sottolinea che la neutralità tributaria dell’operazione rappresenta l’unico esito utile perseguito dai contribuenti. L’assenza di alternative funzionali, la totale specularità patrimoniale pre e post scissione, nonché la circostanza che la destinazione e l’utilizzo degli immobili non subiscano alcuna variazione, sono tutti elementi che, a giudizio dell’Agenzia delle entrate, denotano l’intento esclusivo di ottenere un risparmio d’imposta. Tale vantaggio viene considerato non accessorio o strumentale rispetto a un obiettivo più ampio di riorganizzazione, ma anzi costitutivo della finalità ultima dell’intera operazione. In questo senso, l’Agenzia delle entrate afferma espressamente che l’operazione, così come configurata, aggira l’imposizione sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni, in violazione dell’articolo 67, Tuir.

L’ultimo aspetto analizzato riguarda la presenza di valide ragioni extra fiscali, la cui assenza completa, secondo l’Agenzia delle entrate, contribuisce a rafforzare il giudizio di abusività. Sebbene le istanti abbiano richiamato nella propria istanza esigenze connesse alla gestione dei dissidi familiari, alla necessità di prevenire conflitti e al passaggio generazionale, l’Amministrazione finanziaria non ha ritenuto tali motivazioni sufficientemente concrete e documentate da giustificare l’operazione nei termini proposti. In particolare, si sottolinea come non sia stato fornito alcun elemento idoneo a dimostrare che le operazioni – singolarmente considerate – fossero realmente funzionali a risolvere le problematiche rappresentate. Né viene indicato un piano operativo, organizzativo o industriale che giustifichi la creazione delle nuove società beneficiarie in rapporto alla loro futura autonomia o specializzazione. In assenza di una tale progettualità, il richiamo generico a esigenze gestionali appare insufficiente per superare il giudizio di abuso del diritto.

In definitiva, l’Agenzia delle entrate costruisce la propria valutazione partendo da una lettura sostanzialista della normativa fiscale: le operazioni straordinarie, sebbene legittime sotto il profilo civilistico, devono essere coerenti con gli scopi economici per cui il Legislatore ha previsto il regime di neutralità. Laddove tali operazioni siano finalizzate unicamente a ottenere un vantaggio fiscale, dissimulando un effetto che ordinariamente comporterebbe imposizione, allora esse assumono carattere elusivo e devono essere ricondotte a un’ipotesi di abuso del diritto.

Tuttavia, se da un lato tale interpretazione appare ancorata al dettato normativo dell’articolo 10-bis, L. 212/2000, dall’altro solleva interrogativi rilevanti sul piano della certezza del diritto e dell’autonomia privata nella pianificazione fiscale. In effetti, l’argomentazione dell’Agenzia delle entrate si basa su una ricostruzione teleologica e finalistica delle intenzioni dei contribuenti, operazione sempre delicata in ambito tributario. La linea di demarcazione tra pianificazione lecita e abuso del diritto risulta, in questo senso, particolarmente sottile e suscettibile di valutazioni discrezionali. La risposta in esame solleva, per l’interprete, l’interrogativo se una sequenza di operazioni straordinarie debba essere considerata abusiva in via generale, oppure se la valutazione dell’abuso debba necessariamente essere condotta caso per caso, alla luce delle specifiche circostanze sostanziali che caratterizzano ciascuna operazione.

 

Prospettive interpretative: un caso isolato o un orientamento generale?

La risposta a interpello n. 84/E/2024 dell’Agenzia delle entrate solleva inevitabilmente un interrogativo cruciale per operatori e interpreti del diritto tributario: può una sequenza di operazioni straordinarie essere considerata abusiva in via generalizzata, o la valutazione deve necessariamente essere condotta caso per caso, tenendo conto delle finalità economiche sottese e delle circostanze concrete? Il dubbio è legittimo, soprattutto in un contesto normativo e giurisprudenziale che riconosce al contribuente la libertà di organizzare la propria attività secondo criteri di efficienza, anche fiscale, purché in assenza di intenti elusivi.

A sostegno dell’idea che non ogni operazione straordinaria complessa debba essere considerata, per ciò solo, potenzialmente elusiva, è utile richiamare alcune prassi più favorevoli espresse dall’Amministrazione finanziaria, tra cui la risposta a interpello n. 37/E/2024. In tale occasione, l’Agenzia delle entrate ha esaminato una riorganizzazione societaria articolata, posta in essere da un importante gruppo internazionale con una fitta rete di partecipazioni riconducibili alla capogruppo italiana. L’operazione prevedeva, tra le varie fasi, una scissione parziale con assegnazione di partecipazioni a una sub-holding (Beta), seguita da una fusione per incorporazione di più società controllate, tra cui la beneficiaria della scissione. Il disegno complessivo mirava a una semplificazione della struttura societaria, al miglioramento della governance interna, alla razionalizzazione dei flussi decisionali e alla gestione centralizzata degli investimenti. In questo caso, l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto la legittimità e la neutralità dell’operazione ai sensi degli articoli 172 e 173, Tuir, escludendo la configurabilità di un abuso del diritto.

Ciò che ha reso decisiva, in quel caso, la valutazione positiva dell’Amministrazione finanziaria è stata la presenza di finalità extra fiscali chiare, dettagliate e coerentemente documentate: tra queste, la volontà di accorpare in capo a una sola entità le attività operative e di concentrare la gestione amministrativa e finanziaria. Le istanti hanno fornito elementi concreti a sostegno dell’interesse economico perseguito, dimostrando come l’operazione fosse funzionale a un’effettiva razionalizzazione del gruppo e non finalizzata esclusivamente a ottenere benefici fiscali.

Questo esempio dimostra chiaramente che la complessità di un’operazione straordinaria non ne implica automaticamente la natura elusiva o abusiva. Anzi, la prassi amministrativa più recente mostra come l’Agenzia delle entrate sia orientata a valutare le singole operazioni in modo sostanziale, ponendo attenzione alla coerenza tra gli strumenti giuridici utilizzati e le finalità dichiarate. In particolare, quando le operazioni sono progettate con trasparenza e supportate da un disegno economico e gestionale razionale, anche l’eventuale effetto fiscalmente neutrale o favorevole non comporta di per sé una presunzione di abuso.

In questa prospettiva, la risposta a interpello n. 84/E/2024 non può essere letta come espressione di un principio generalizzabile a tutte le operazioni straordinarie a catena. Al contrario, essa appare più come un monito nei confronti di schemi formalmente leciti ma privi di contenuto economico sostanziale, che celano una volontà elusiva. Non vi è, dunque, una condanna generalizzata della prassi di combinare fusioni e scissioni; ciò che rileva, ai fini della valutazione antiabuso, è la funzione economica effettiva dell’operazione e la proporzione tra il mezzo giuridico scelto e l’obiettivo dichiarato.

 

Conclusioni

La risoluzione analizzata si inserisce nel solco di una giurisprudenza amministrativa sempre più attenta a verificare la coerenza sostanziale delle operazioni straordinarie rispetto agli obiettivi dichiarati dai contribuenti, ribadendo con fermezza il principio secondo cui il mero rispetto delle forme giuridiche non è di per sé sufficiente a garantire la liceità fiscale dell’operazione.

Il caso in commento ha offerto all’Agenzia delle entrate l’occasione per riaffermare l’approccio sostanzialistico che informa l’articolo 10-bis, Statuto del contribuente. Secondo tale norma, l’elusione o l’abuso del diritto si configura quando un’operazione, pur rispettando formalmente la legge, è priva di valide ragioni extra fiscali e finalizzata esclusivamente a ottenere un beneficio fiscale che altrimenti non sarebbe spettato. L’operazione oggetto della risposta a interpello n. 84/E/2024 – una fusione seguita da una scissione asimmetrica, che ha come esito finale la mera riallocazione soggettiva delle quote societarie senza modifica alcuna dei patrimoni e delle attività – è stata qualificata come abusiva proprio perché priva, a giudizio dell’Amministrazione finanziaria, di giustificazioni economiche effettive e motivata esclusivamente dal fine di evitare l’emersione delle plusvalenze che sarebbero scaturite da una cessione diretta delle partecipazioni.

Tuttavia, come si è cercato di evidenziare nei paragrafi precedenti, tale interpretazione, per quanto fondata su presupposti normativi solidi, non può e non deve essere assunta quale parametro assoluto di valutazione per tutte le operazioni straordinarie a struttura complessa. L’abusività, per sua stessa natura, non si presta a giudizi generalizzanti, ma richiede una valutazione caso per caso, basata sull’effettività degli interessi economici perseguiti e sulla proporzionalità tra gli strumenti giuridici utilizzati e gli obiettivi dichiarati. In tale direzione si muove, come visto, la risposta interpello n. 37/E/2024, che ha confermato la piena legittimità di operazioni articolate, purché fondate su esigenze reali, supportate da adeguata documentazione e non motivate da meri vantaggi fiscali.

Pertanto, la portata della risposta a interpello n. 84/E/2024 va correttamente contestualizzata. Essa non rappresenta una condanna generalizzata dell’utilizzo combinato di fusione e scissione, né un’inversione di tendenza rispetto alla prassi amministrativa più recente. Piuttosto, costituisce un richiamo alla prudenza nella pianificazione fiscale, e un invito a motivare con rigore ogni operazione straordinaria, fornendo elementi concreti e verificabili che dimostrino l’esistenza di un disegno economico coerente, funzionale e non strumentale.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie”.