25 Giugno 2020

Le differenze tra ammortamento civilistico e fiscale dei beni materiali – II° parte

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

In questa seconda parte del contributo proseguiamo l’analisi dell’origine dei disallineamenti che si vengono a creare tra il valore civilistico e fiscale dei beni materiali a seguito delle differenze esistenti tra i criteri civilistici e fiscali della procedura di ammortamento.

Nella prima parte abbiamo analizzato i disallineamenti che riguardano:

  • l’inizio della procedura di ammortamento;
  • l’adozione di un’aliquota ridotta in relazione al primo anno di ammortamento fiscale;
  • la deduzione integrale ed immediata dal reddito d’impresa dei cespiti di costo unitario inferiore ad euro 516,46.

In questa seconda parte, invece, esamineremo le differenze relative alla durata del piano di ammortamento.

In relazione al disallineamento riguardante la durata del piano di ammortamento (e quindi, di conseguenza, il calcolo della quota), occorre sottolineare che, dal punto di vista civilistico, il Principio Contabile Oic 16 prevede che, per garantire la sistematicità del piano di ammortamento, devono essere noti i seguenti elementi:

  • il valore da ammortizzare, calcolato come differenza tra il costo dell’immobilizzazione e il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di vita utile;
  • la residua possibilità di utilizzazione, che è legata non alla “durata fisica” ma a quella “economica”. Si tratta della stima dell’arco temporale entro cui il bene sarà di utilità per l’impresa;
  • i metodi di ammortamento, i quali devono assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei cespiti durante la loro vita utile stimata.

Quindi, la determinazione della quota di ammortamento, dal punto di vista civilistico, è frutto di stime e congetture che mal si conciliano con le esigenze di certezza e determinabilità richieste dall’ordinamento tributario.

Ciò ha indotto il legislatore fiscale a prevedere un limite massimo di deducibilità delle quote di ammortamento al fine di evitare arbitraggi fiscali, da parte dei contribuenti, volti ad ammortizzare (e quindi dedurre) nel minor numero possibile di periodi d’imposta il costo delle immobilizzazioni materiali.

Questa finalità è garantita dalla previsione dell’articolo 102, comma 2, Tuir, secondo cui “La deduzione [delle quote di ammortamento] è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ridotti alla metà per il primo esercizio”.

A ben vedere, dunque, la norma fiscale, in ossequio al principio di derivazione sancito dall’articolo 83 Tuir, non prevede un piano di ammortamento alternativo a quello civilistico ma si limita a prevedere la quota di ammortamento civilistico massima deducibile sulla base delle aliquote previste dal D.M. 31.12.1988.

In altre parole, l’impresa deve:

  • ai sensi dell’articolo 2426, comma 1, punto n. 2), cod. civ., ammortizzare i beni facenti parte il compendio aziendale, secondo quando previsto dal Principio Contabile Oic 16, al fine di fornire una rappresentazione veritiera e corretta della propria situazione patrimoniale ed economica;
  • una volta determinato il piano di ammortamento civilistico, confrontare l’ammontare della singola quota di ammortamento con il massimo importo deducibile dal reddito d’impresa calcolato secondo le aliquote fiscali previste dal D.M. 31.12.1988.

A seguito di questo confronto ci si può imbattere in tre possibili scenari:

  • la quota civilistica è inferiore alla misura prevista secondo le aliquote del D.M. 31.12.1988;
  • la quota civilistica è uguale alla misura prevista secondo le aliquote del D.M. 31.12.1988;
  • la quota civilistica è superiore alla misura prevista secondo le aliquote del D.M. 31.12.1988.

Nel primo caso non vi sono particolari problemi in quanto la “quota” d’ammortamento fiscale è capiente e di conseguenza l’importo civilistico è completamente deducibile.

Anche il secondo caso è scevro di criticità, infatti la quota di ammortamento civilistico è identica al massimo importo deducibile fiscalmente.

Il terzo caso, invece, deve essere gestito in dichiarazione dei redditi mediante l’esecuzione di una variazione in aumento, in quanto la quota di ammortamento civilistico risulta parzialmente deducibile dal reddito d’impresa.

Da ultimo, si sottolinea come la gestione dei disallineamenti, tra i valori civilistici e fiscali descritti nelle due parti in cui si articola il presente contributo, possa variare in ragione della natura del contribuente, infatti:

  • i soggetti che applicano il principio di derivazione rafforzata, in base al quale vengono riconosciuti ai fini fiscali i criteri di qualificazione, classificazione e imputazione temporale utilizzati in bilancio per l’iscrizione dei beni materiali, si vedono riconosciuto il comportamento contabile anche ai fini fiscali e, di conseguenza, non si creano disallineamenti tra le due discipline. Occorre sottolineare, però, che il principio di derivazione rafforzata non opera in relazione alle poste di bilancio di natura valutativa, dunque l’eventuale disallineamento legato all’applicazione delle aliquote fiscali previste dal D.M. 31.12.1988 deve essere gestito mediante variazioni da apportare in dichiarazione dei redditi anche da tali soggetti;
  • i soggetti che applicano il principio di derivazione semplice sono obbligati a gestire mediante variazioni in aumento e in diminuzione in dichiarazione dei redditi tutte le tipologie di disallineamento che si vengono a creare, in quanto opera il c.d. “doppio binario”.