18 Ottobre 2017

I chiarimenti dell’Agenzia sulla rinuncia ai crediti da parte dei soci

di Alberto Rocchi
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Con la risoluzione 124/E del 13 ottobre scorso, l’Agenzia ha fornito importanti chiarimenti sulle modalità e sull’ambito applicativo delle sopravvenienze da rinuncia ai crediti da parte dei soci.

L’articolo 13 del D.Lgs. 147/2015 ha riscritto i commi 4 e 4-bis dell’articolo 88 Tuir; in particolare, la norma ha modificato il trattamento delle rinunce dei soci ai crediti vantati nei confronti della società, che passano da un generalizzato regime di intassabilità a uno di parziale imponibilità. Viene infatti previsto che la fattispecie della rinuncia al credito, genera una sopravvenienza attiva per la parte che eccede il valore fiscale del credito medesimo. A tale fine, il socio è tenuto a certificare, a beneficio della società partecipata, tale valore fiscale mediante produzione di apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio; in mancanza dell’atto, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero con conseguente concorso alla formazione del reddito della società, dell’intera rinuncia.

La Relazione illustrativa del decreto chiarisce come con la modifica “viene equiparata l’operazione di apporto da parte del socio e successivo saldo a stralcio del debitore partecipato con il creditore, con l’operazione di acquisizione del credito (a “sconto”) da parte del socio e successiva rinuncia”.

In altri termini, obbiettivo del legislatore è quello di evitare il salto d’imposta che si crea nell’operazione di acquisizione e successiva rinuncia quando i valori delle due operazioni divergono.

Trattasi della situazione in cui il SOCIO “A” acquista da “B” un credito nei confronti della società BETA di cui “A” è socio. Il credito ha un valore nominale di 100 ma viene acquistato a 50. Nel momento in cui successivamente “A” dovesse rinunciare al credito stesso nei confronti di BETA:

  1. prima della modifica normativa, in capo a BETA si sarebbe verificata una sopravvenienza attiva non tassata per 100, il valore nominale del debito. Mentre “A”, nel presupposto che si qualifichi come soggetto impresa, avrebbe potuto dedurre una minusvalenza pari a 50;
  2. dopo la modifica normativa, in capo a BETA, la sopravvenienza non tassata è limitata a 50, pari al valore fiscale del credito mentre è tassata per i restanti 50 pari all’eccedenza sul valore fiscale; tutto certificato da dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

È evidente che in questo modo viene ripristinata una simmetria tra minusvalenza dedotta in capo al soggetto titolare del credito e sopravvenienza tassata sulla società beneficiaria della rinuncia: ciò che sfuggiva a tassazione nella precedente formulazione della norma.

Nonostante la condivisibilità degli intenti, il dettato normativo risultava lacunoso sotto molteplici aspetti. Con la risoluzione in esame, vengono tuttavia colmate alcune delle incertezze più evidenti. Intanto, richiamando altri documenti in materia (risoluzione 41/E/2001 e 152/E/2002), l’Agenzia chiarisce che il regime di parziale detassazione delle sopravvenienze da rinuncia ai crediti trova giustificazione nella volontà del socio di patrimonializzare la società partecipata: occorre dunque verificare la sussistenza di questo intento al fine di escludere che la rinuncia sia dovuta a cause di tipo diverso.

In secondo luogo, il documento definisce con esattezza l’ambito oggettivo di applicazione della normativa contenuta nell’articolo 88 Tuir: essa riguarda crediti di qualsiasi natura, sia finanziaria che commerciale, atteso che l’effetto distorsivo in precedenza descritto che il legislatore ha inteso inibire, non ha alcuna attinenza con la tipologia del credito rinunciato dal socio.

Ma il punto sul quale sorgevano le maggiori perplessità riguardava l’ambito soggettivo di applicazione. Dal dato testuale, infatti, si poteva desumere che la nuova disciplina potesse colpire tutti i crediti da chiunque vantati e successivamente rinunciati. Ciò avrebbe portato a far rientrare nel suo raggio di azione anche fattispecie, con evidenza, del tutto estranee alla ratio ispiratrice espressamente dichiarata dal legislatore. Ipotizziamo il caso di un socio persona fisica che, come frequentemente accade, rinuncia ai crediti vantati nei confronti della Srl in cui partecipa maturati a seguito di finanziamento infruttifero precedentemente concesso: qui, il temuto salto d’imposta che il legislatore mira a bloccare, non avrebbe alcuna possibilità di realizzarsi, sia perché il credito non è stato negoziato in precedenza dal suo titolare, sia perché il socio non ha i requisiti per portare in deduzione l’eventuale minusvalenza subita. Eppure, da una lettura testuale del dato normativo, non si poteva escludere che, in assenza della prova costituita dalla dichiarazione sostitutiva di atto notorio (o di una sua carenza in termini di forma e tempi), alla società poteva essere imputata una sopravvenienza imponibile pari all’intero valore del credito rinunciato senza che, peraltro, nessuno avesse potuto dedurre la corrispondente minusvalenza. Con la presa di posizione in commento, l’Agenzia correttamente chiarisce che tale procedura non è applicabile alle persone fisiche non esercenti attività d’impresa, non essendo ravvisabile, nei loro confronti, alcuna differenza tra il valore fiscale e nominale dei crediti rinunciati. Pertanto, la società partecipata può beneficare in questi casi della completa detassazione della rinuncia anche in assenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio circa il valore fiscale del credito.

Sarà invece necessario far ricorso all’inusuale mezzo di prova previsto dalla normativa, in tutti i casi in cui il socio rivesta la qualifica di impresa; ma anche se non ha precedentemente acquistato il credito? La risoluzione non lo dice espressamente, ma si dovrebbe rispondere di no, visto che neanche qui si realizza la differenza tra valore fiscale e nominale del credito rinunciato. In ogni caso, non si può fare a meno di notare come, al di là delle censure di compatibilità costituzionale di cui appare a prima vista suscettibile il sistema proposto, restano alcune forti perplessità sui tempi e modi in cui fornire la prova. Il procedimento di autocertificazione basato sulla dichiarazione sostitutiva, infatti, è tipicamente rivolto alla pubblica Amministrazione; quando i dati dichiarati sono destinati a soggetti diversi, è necessaria l’autentica della firma del sottoscrittore, procedura che parrebbe applicabile al caso previsto dall’articolo 88 in esame. Ma quando dovrebbe essere redatta e sottoscritta l’autocertificazione? Al momento della rinuncia o al momento della presentazione del modello Redditi da parte della società? Domande che la norma lascia senza risposta e alle quali si potrebbe replicare che, in assenza di un termine, la prova potrebbe essere fornita in qualunque momento utile, fermo restando il rischio di scontrarsi con un eventuale diverso parere degli organi accertatori.

Dottryna