5 Aprile 2014

Rilevanza Iva delle somme dovute a titolo di indennizzo

di Davide David
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Vi sono diversi casi in cui non è facile stabilire se le somme dovute a titolo di indennizzo nell’ambito di un rapporto contrattuale siano o meno da assoggettare ad IVA.

Di norma, la questione va risolta ricercando la reale volontà delle parti e verificando la sussistenza o meno del presupposto oggettivo di applicazione del tributo.

Per quanto concerne il presupposto oggettivo si ricorda che, a norma dell’art. 1 del D.P.R. 633/1972, l’IVA si applica sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi quali definite, rispettivamente, dall’art. 2 e dall’art. 3 del medesimo decreto.

Di particolare interesse, per la questione in argomento, è il comma 1 dell’art. 3, che definisce quali prestazioni di servizi (rilevanti oggettivamente ai fini IVA) anche le “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.

Deve poi essere tenuto in considerazione anche l’art. 13 del D.P.R. 633/1972, a norma del quale “la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debito o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente”.

Infine va considerato che, a norma dell’art. 15 del D.P.R. 633/1972, non concorrono a formare la base imponibile le somme “dovute a titolo di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente” (art. 15, c. 1, n. 1) nonché quelle “addebitate al cedente o prestatore a titolo di penalità per ritardi o altre irregolarità nella esecuzione del contratto” (art. 15, c. 2). La ratio di questa norma è quella di escludere dalla base imponibile le somme che, pur essendo addebitate alla controparte, non hanno natura vera e propria di controprestazioni per la cessione di un bene o per la prestazione di un servizio e, quindi, nemmeno per “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.

In estrema sintesi si può quindi dire che, in ragione della effettiva volontà delle parti, le somme dovute a un soggetto passivo di imposta a titolo di indennizzo:

  • rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA se concorrono a formare l’ammontare complessivo dei corrispettivi contrattualmente dovuti per una cessione di beni o per una prestazione di servizi (ivi compresi i corrispettivi dovuti per “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”);
  • non rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA se manca il presupposto oggettivo, quale sopra delineato, e, a maggior ragione, se trattasi di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali da parte del cessionario/committente ovvero del cedente/prestatore.

Per meglio comprendere il discrimine tra le due diverse situazioni, si richiamano alcuni dei principali pronunciamenti da parte della prassi di fonte ministeriale e della giurisprudenza.

Con la risoluzione n. 64/E del 23.04.2004 l’Agenzia delle entrate ha escluso l’applicazione dell’IVA per la penale dovuta nell’ambito di un contratto per la mappatura di un territorio a seguito del ritardo nella consegna degli elaborati. Nella fattispecie la penale per la ritardata consegna era specificatamente prevista da contratto, con anche le regole per la sua quantificazione in ragione dei giorni di ritardo. Da ciò il convincimento dell’Agenzia che “nel caso in esame, poiché la penale è convenuta per un ritardo nell’adempimento degli obblighi contrattuali, essa ha una funzione prevalentemente sanzionatoria e quindi le somme corrisposte a tale titolo (di penale per violazione di obblighi contrattuali) “non costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizio o di una cessione di un bene, ma assolvono una funzione punitivo-risarcitoria. Conseguentemente dette somme sono escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto per mancanza del presupposto oggettivo”.

Con la risoluzione n. 504603 dell’11.11.1975 l’Amministrazione finanziaria ha affermato non essere soggetta ad IVA (ai sensi dell’art. 15, c. 1, n. 1, del D.P.R. 633/1792) l’indennità giornaliere per la ritardata resa delle bombole del gas, in quanto “non costituisce corrispettivo di una prestazione di servizi o di una cessione di un bene, bensì vero e proprio indennizzo dovuto dal cessionario per il ritardo nell’adempimento di una sua obbligazione”.

Con la risoluzione n. 24/E del 7.03.2000 l’Agenzia delle entrate ha preso in esame un lodo arbitrale per la costruzione di un ospedale. Nel caso specifico era accaduto che nel corso dell’esecuzione dei lavori si erano verificate delle situazioni, del tutto indipendenti dalla volontà dell’impresa appaltatrice, che avevano determinato dei ritardi nella conclusione del contratto nonché maggiori oneri per la realizzazione dei lavori. Per il mancato rispetto da parte del committente dell’obbligo di cooperazione, il collegio arbitrale aveva riconosciuto il risarcimento all’impresa appaltatrice dei danni per il ritardo con cui era stato stipulato il contratto e dei maggiori oneri che l’impresa aveva dovuto sostenere per la modifica dell’attività di progettazione. Investita della questione l’Agenzia delle entrate ha affermato che le somme dovute a risarcimento dei danni per il ritardo nella stipula del contratto sono escluse da IVA ai sensi dell’art. 15, c. 1, n. 1, del D.P.R. 633/1792, mentre sono da assoggettare ad IVA le somme dovute a titolo di maggiori oneri conseguenti alla modifica dell’attività di progettazione, in quanto costituenti un maggiore corrispettivo ai sensi dell’articolo 13, primo comma, del D.P.R. 633/1972.

Con la risoluzione n. 104/E dell’11.10.2010 l’Agenzia delle entrate ha considerato corrispettivo per “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte” le somme corrisposte ex legge ai Comuni dai gestori subentranti nel servizio idrico a titolo di rimborso delle passività pregresse precedentemente a carico del gestore uscente. Ciò in quanto, secondo l’Agenzia delle entrate, trattasi di somme comunque riferibili alla “circostanza che il Comune conceda in uso al gestore per tutta la durata dell’affidamento i beni, le opere e gli impianti necessari all’erogazione dl servizio”.

Con la risoluzione n. 22/E del 5.05.2012 l’Agenzia delle entrate ha ritenuto soggetto ad IVA, per la sussistenza del requisito oggettivo, l’indennizzo dovuto, nell’ambito del servizio di stoccaggio virtuale del gas, al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) dai Soggetti Investitori per inadempimento dell’obbligo di riconsegna giornaliero del gas. Ciò in quanto, secondo l’Agenzia, tale indennizzo (parametrato al prezzo spot del gas non riconsegnato) non costituirebbe una penale per inadempimento contrattuale bensì il corrispettivo per la cessione del gas non riconsegnato, ancorché la “cessione” per mancata riconsegna non sia dipesa dalla volontà del GSE.

Con la risoluzione n. 27/E del 14.02.1997 l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto doversi assoggettare ad IVA le indennità per l’occupazione di un immobile da parte del locatario per il periodo successivo al termine del contratto di locazione. Nella fattispecie, la società proprietaria aveva formulato la disdetta per finita locazione e successivamente, al fine di dirimere il contenzioso sorto, le parti avevano concordato con apposito atto di transazione una indennità per l’occupazione extracontrattuale dell’immobile. L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto assoggettabile ad IVA detta indennità in quanto, dagli atti in causa, sarebbe emerso che vi era comunque la volontà delle parti di proseguire il rapporto contrattuale e che quindi l’occupazione dell’immobile per il periodo successivo alla prima scadenza contrattuale non era da considerare senza titolo. In particolare l’Amministrazione ha maturato il suo convincimento in ragione del fatto che la società si era assunta l’impegno di non avanzare richieste di danni nel caso in cui, per qualsiasi ragione, la stipulazione del nuovo contratto avvenisse con rilevante ritardo. Secondo l’Amministrazione la volontà di proseguire il rapporto contrattuale risulterebbe dimostrata anche dal fatto che non erano state poste in essere attività di sfratto né azioni dirette alla restituzione dell’immobile, “comportamenti questi”, è scritto nella risoluzione, “che farebbero propendere invece per la tesi dell’occupazione contro la volontà del locatore e quindi per l’attribuzione alla relativa obbligazione pecuniaria della natura e funzione risarcitoria”.

Sempre nell’ambito delle locazioni immobiliari, la Corte di Giustizia europea con la sentenza del 15.12.1993, causa C-63/92, ha affrontato il caso dell’indennità concordata tra locatore e locatario per il rilascio anticipato dell’immobile locato prima del termine contrattualmente stabilito. Dal pronunciamento si ricava che per i giudici comunitari integra il presupposto oggettivo dell’imposta la rinuncia da parte del locatario, dietro pagamento di un’indennità, dei diritti a lui derivanti dal contratto di locazione. Dal che consegue l’assoggettamento ad IVA di tale indennità.

Diverso è invece il caso dell’indennità “di avviamento” che il locatore di un immobile strumentale deve corrispondere al locatario per il rilascio dell’immobile in forza di quanto disposto dall’art. 34 della legge n. 392 del 27.07.1978 (legge sull’equo canone).

Si ricorda brevemente che, a norma del richiamato art. 34, in caso di cessazione del rapporto di locazione il locatore deve corrispondere al locatario una indennità pari a 18 mensilità di canone (per attività industriali, commerciali o artigianali) e a 21 mensilità (per attività di tipo alberghiero). L’indennità non è dovuta qualora la cessazione del rapporto di locazione derivi da risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso da parte del locatario o per assoggettamento dello stesso ad una procedura concorsuale.

Con la risoluzione n. 73/E del 3.06.2005, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che la suddetta indennità deve essere assoggettata ad IVA in quanto, a detta dell’Agenzia, sarebbe riconducibile a un rapporto sinallagmatico avente ad oggetto l’incremento di valore che il locatario, riconsegnando il bene, rimette nella disponibilità del proprietario; con la conseguenza che l’indennità assumerebbe quindi la natura di corrispettivo di una prestazione.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13345 del 7.06.2006, ha invece affermato che la suddetta indennità è esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA “non potendosi la stessa, palesemente, identificare né con la cessione di un bene né, tantomeno, con la prestazione di un servizio”.

Più articolata e convincente è la recente norma di comportamento n. 190 di marzo 2014 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti, che opera la seguente distinzione:

  • nel caso ordinario di spontaneo abbandono dei locali da parte del locatario al termine della locazione, la somma dovuta ex legge dal locatore non rileva ai fini IVA per mancanza del presupposto oggettivo, dato che non vi è una effettiva controprestazione da parte del locatario ma deriva da un automatismo previsto per legge;
  • nei casi particolari in cui vi è invece una reale negoziazione per il rilascio dei locali con reciproche concessioni sui diritti e doveri nascenti dal contratto di locazione ovvero il locatario assume (anche in negativo) degli obblighi “di non fare e permettere”, la somma versata dal locatore assume la natura di corrispettivo di una prestazione e rientra quindi nel campo di applicazione dell’IVA.

Per tutto quanto sopra risulta evidente l’importanza di comprendere quale sia la reale volontà delle parti nonché di documentare correttamente tale volontà, mantenendo dei comportamenti coerenti con essa.

Ciò in quanto si può sinteticamente affermare che le somme corrisposte a titolo di indennizzo:

  • non rilevano ai fini IVA laddove risulti chiara che non vi è (o non vi è stata) alcuna volontà della parte indennizzata ad accondiscendere all’inadempimento o al comportamento posto in essere dalla controparte in difformità dalle originarie pattuizioni contrattuali. È opportuno che l’assenza di tale volontà risulti, per quanto possibile, già dagli accordi originari (ad esempio, con la previsione di una penale per inadempimento che sia oggettivamente determinabile) ovvero dalle iniziative assunte a seguito dell’inadempimento o del comportamento non conforme (ingiunzioni a rispettare gli accordi, citazioni per i danni subiti, ecc.);
  • rilevano ai fini IVA se vi è (o vi è stata) una effettiva volontà della parte indennizzata a consentire un comportamento diverso da quello originariamente pattuito, dietro pagamento di un determinato importo (anche se stabilito in via transattiva).