29 Dicembre 2018

L’e-commerce e le diverse tipologie di siti internet

di Leonardo Pietrobon
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L’esercizio dell’attività di e-commerce, generalmente, richiede la creazione di un sito internet dedicato alla vendita dei prodotti commercializzati dall’impresa, ma potrebbe anche essere esercitata in assenza di un “proprio” sito internet dedicato, utilizzando magari le vetrine di altri soggetti on line.

Tale ultima fattispecie non deve essere confusa con la sempre più frequente pratica di dropshipping, ossia un modello di vendita in base al quale il soggetto cedente vende un prodotto al cliente finale, senza avere la disponibilità fisica del bene nel proprio magazzino, ma trasferendo l’ordine ricevuto ad un proprio fornitore (dropshipper), il quale procede successivamente alla consegna del bene direttamente al cliente.

Tralasciando la modalità di vendita tramite l’utilizzo di vetrine di soggetti terzi, nelle altre ipotesi, come accennato, è necessaria la creazione di un sito internet. Tuttavia, a seconda della tipologia di sito internet, è necessario considerare un differente trattamento contabile e fiscale.

Sulla base di tali considerazioni è necessario operare la seguente distinzione a seconda della tipologia di sito internet creato:

  1. il sito internet vetrina, ossia il sito la cui funzione è meramente informativa, avendo l’obiettivo di illustrare l’attività dell’impresa. In altri termini, in questo caso, il sito web classico funge da brochure online, con le pagine che indicano “chi siamo, prodotti e servizi offerti, contatti, ecc”;
  2. il sito internet pubblicitario, in cui lo scopo principale è quello di far conoscere i prodotti e/o i servizi offerti dall’impresa. Sotto il profilo pratico, l’azienda mette a disposizione all’interno del sito web dei cataloghi on-line, offerte commerciali e promozioni in corso. In ogni caso, con tale tipologia di sito non è comunque possibile effettuare l’attività di e-commerce, con la conseguenza che gli acquisti possono essere realizzati esclusivamente prendendo contatto con l’impresa;
  3. il sito di commercio elettronico, ossia il sito che consente di effettuare l’attività di e-commerce, sussistendo la possibilità di gestire la fase di ordine, di pagamento, nonché definire la modalità di consegna.

La sopra richiamata distinzione, coordinata con le differenti normative civilistiche e fiscali, comporta un differente inquadramento civilistico e fiscale.

Infatti:

  • le norme civilistiche così come i principi contabili nazionali non contengono disposizioni specifiche sulla contabilizzazione e l’iscrizione in bilancio dei costi sostenuti per la realizzazione dei siti web Internet delle aziende;
  • la normativa fiscale non contiene una norma specifica in merito alla deducibilità dei costi sostenuti per la realizzazione dei siti web Internet delle aziende.

Per quanto riguarda il sito internet vetrina la dottrina ritiene che, prudenzialmente, considerata la finalità di tale sito, i relativi costi di realizzazione possano essere assimilati alle spese di rappresentanza e contabilizzati nella voce B.7 – costi per servizi del conto economico.

Ai fini fiscali troverebbe quindi applicazione l’articolo 108, comma 2, Tuir, con la conseguenza che tali spese risulterebbero deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, con le regole ivi stabilite, se rispondenti a requisiti di inerenza e congruità. Per quanto riguarda, invece, l’ambito Iva, ove si ritenesse di poter aderire alla prospettata interpretazione, tali spese di rappresentanza dovrebbero risultare totalmente indetraibili ai sensi dell’articolo 19-bis1, lett. h), D.P.R. 633/1972.

Le spese inerenti la creazione del sito internet “pubblicitario”, considerata la finalità, vanno invece assimilati alle spese di pubblicità (voce B.7 – costi per servizi – del conto economico).

Sul punto si ricorda che i costi di pubblicità (si veda OIC 24), qualora ricorrano determinate condizioni, possono essere capitalizzati. Nel dettaglio, affinché tali costi possano essere iscritti nell’attivo patrimoniale, devono avere carattere eccezionale e non ricorrente; devono inoltre essere relativi ad azioni dalle quali l’azienda abbia la ragionevole aspettativa di importanti e duraturi ritorni economici. Infine, vi deve essere il consenso del collegio sindacale nel caso in cui tale organo esista. Solo in tal caso le spese sostenute andranno riportate nell’attivo dello Stato patrimoniale alla voce B.I.1 – Costi di impianto e di ampliamento, con un periodo di ammortamento pari a 5 anni.

Per quanto concerne il trattamento ai fini delle imposte dirette, si deve far riferimento all’articolo 108, comma 2, Tuir, secondo il quale tali spese risultano deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento ovvero in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.

In merito al trattamento Iva, si ricorda che tali spese di pubblicità risultano totalmente detraibili (con minore detrazione in capo all’azienda qualora presenti, ad esempio, un pro-rata di detrazione).

Nel caso in cui, invece, il sito abbia come finalità quella di sviluppare l’attività commerciale dell’impresa, i relativi costi vanno trattati come oneri pluriennali. Conseguentemente i costi di realizzazione andranno iscritti nell’attivo dello Stato patrimoniale alla voce B.I.3Diritti di brevetto industriale e utilizzazione delle opere dell’ingegno.

Invece, nel caso in cui il sito Internet sia configurabile come un’espansione dell’attività aziendale in direzioni precedentemente non perseguite (questo è il caso più comune) i costi di realizzazione (da qualificare come spese di impianto e di ampliamento) andranno iscritti nell’attivo del lo Stato patrimoniale alla voce B.I.1 – Costi di impianto e di ampliamento. Infatti, le spese di impianto e di ampliamento (si veda OIC 24), qualora ricorrano determinate condizioni, possono essere capitalizzate. Nel dettaglio affinché tali costi possano essere iscritti nell’attivo patrimoniale devono avere carattere eccezionale e non ricorrente; devono inoltre essere relativi ad azioni dalle quali l’azienda abbia la ragionevole aspettativa di importanti e duraturi ritorni economici. Infine, si fa presente che vi deve essere il consenso del collegio sindacale nel caso in cui tale organo esista. Tali costi, inoltre, vanno ammortizzati sulla base di un piano di ammortamento rivisto annualmente per accertarne la congruità e comunque entro un periodo non superiore a cinque anni.

Ai fini dell’imposizione diretta, se tali costi sono qualificati come “Diritti di brevetto industriale e utilizzazione delle opere dell’ingegno”, l’articolo 103, comma 1, Tuir stabilisce che le quote di ammortamento del costo di utilizzazione di tali opere dell’ingegno sono deducibili in misura non superiore al 50% del costo stesso. Invece, se tali costi sono qualificati come “Costi di impianto e di ampliamento” (capitalizzati), l’articolo 108, comma 3, Tuir stabilisce che le spese sono deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio. Tali spese, in entrambi i casi sopra evidenziati, ai fini Iva risultano totalmente detraibili.

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La fiscalità nell’e-commerce