31 Ottobre 2019

Fondi pensione: stessi benefici per dipendenti pubblici e privati

di Gennaro Napolitano
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La disciplina normativa che prevede un trattamento fiscale differenziato tra dipendenti pubblici e privati in materia di riscatto di una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017 nei fondi pensione negoziali è costituzionalmente illegittima in quanto viola il principio dell’eguaglianza tributaria. Ne consegue che al regime di favore in vigore dal 2007 per i soli dipendenti privati devono poter accedere anche i dipendenti pubblici. È questo, in sintesi, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 218/2019.

La questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, ha avuto a oggetto l’articolo 23, comma 6, D.Lgs. 252/2005 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari) in forza del quale sulle somme percepite dai dipendenti delle pubbliche amministrazioni a titolo di riscatto della posizione individuale maturata presso una forma di previdenza complementare collettiva si applica il regime fiscale previgente anziché quello più favorevole introdotto dal D.Lgs. 252/2005 per la stessa prestazione erogata dalle forme pensionistiche complementari collettive ai dipendenti privati.

In particolare, il giudice rimettente ha denunciato la duplicità di sistemi impositivi e l’ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati con la conseguente violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Tale assetto, infatti, finisce per penalizzare i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati pur a fronte di fattispecie tra loro sostanzialmente omogenee.

Con l’obiettivo di incentivare il ricorso alle forme pensionistiche complementari (in attuazione di quanto previsto dall’articolo 38, comma 2, Cost.) il D.Lgs. 252/2005 ha introdotto a favore dei dipendenti del settore privato un regime agevolato basato sull’applicazione di un’imposta sostitutiva sull’importo riscattato in luogo di quella che deriverebbe in virtù dell’applicazione dell’aliquota determinata sommando l’importo stesso al reddito complessivo dell’anno.

Tuttavia, sottolinea la Corte nella sentenza in esame, la ratio alla base del beneficio fiscale (favorire lo sviluppo della previdenza complementare) è “identicamente ravvisabile” anche nei confronti dei lavoratori pubblici.

Il D.Lgs. 252/2005 ha introdotto disposizioni la cui applicazione determina una differenza dei regimi tributari del riscatto applicabili ai dipendenti pubblici e privati.

È previsto, infatti, che la prestazione erogata dal fondo pensione venga tassata con una ritenuta a titolo d’imposta e, quindi, in maniera distinta rispetto agli altri redditi del percipiente e senza concorrere alla determinazione del reddito complessivo (articolo 14, commi 4 e 5).

Tuttavia, tale regime non opera per tutti gli aderenti a forme pensionistiche complementari. Il censurato articolo 23, comma 6, prevede, difatti, che fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lett. p), L. 243/2004 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria) ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni si applica esclusivamente e integralmente la previgente normativa.

La fattispecie in esame, quindi, è il frutto della parziale mancata attuazione della delega contenuta nella L. 243/2004, che ha condotto al risultato normativo di discriminare due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, con violazione del principio dell’eguaglianza.

Ad avviso della Corte non sono individuabili elementi che giustifichino ragionevolmente una tale disomogeneità del trattamento fiscale. Tale conclusione trova, peraltro, conferma nella stessa evoluzione legislativa che ha sempre mantenuto equiparate le due posizioni, salva l’eccezione rappresentata dal censurato articolo 23, comma 6, D.Lgs. 252/2005, derivante dalla parentesi dovuta alla mancata attuazione di una parte della legge delega n. 243/2004.

È inoltre significativo che lo stesso legislatore, con la Legge di bilancio per il 2018 (articolo 1, comma 156, L. 205/2017) abbia successivamente provveduto, pur con l’eccezione dei montanti delle prestazioni accumulate fino al 1° gennaio 2018, a ristabilire una situazione di omogeneità di trattamento.

L’individuazione della specifica disciplina applicabile avviene, quindi, in ragione della natura del rapporto di lavoro dell’aderente a una forma di previdenza complementare e, precisamente, a seconda che egli dipenda da un’amministrazione pubblica o da un datore di lavoro privato.

Dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del D.Lgs. 252/2005, e fino al 31 dicembre 2017, per effetto della mancata attuazione dei principi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, comma 2, lett. p), L. 243/2004, si è dunque originata una distinzione di disciplina con riferimento a vari istituti della previdenza complementare, tra cui il riscatto di una posizione individuale e il connesso regime tributario; disomogeneità che, secondo la Corte, si pone irragionevolmente in contrasto con il principio dell’eguaglianza tributaria.

Sulla base delle suesposte considerazioni, quindi, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 23, comma 6, D.Lgs. 252/2005, nella parte in cui prevede che per i dipendenti pubblici il riscatto della posizione individuale sia assoggettato a imposta ordinaria anziché al più favorevole regime fiscale previsto dall’articolo 14, commi 4 e 5.

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