3 Marzo 2023

Acquisto irregolare con Iva dai NR identificati: uso del TD28 con quali conseguenze?

di Francesco Zuech
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La scheda di FISCOPRATICO

Fra le varie risposte, in materia di esterometro, offerte dall’Agenzia delle entrate in occasione dei forum di gennaio 2023 con la stampa specializzata ce n’è una che richiede qualche riflessione (non è l’unica invero).

Il riferimento, nello specifico, è alla risposta diffusa lo scorso 23 gennaio (Forum Commercialisti Italia Oggi, ndr) in cui l’Agenzia ha individuato nel TD28 il veicolo per comunicare ai fini in questione il caso dell’acquisto con irrituale addebito dell’Iva da parte del fornitore non residente (o stabilito) ma identificato in Italia (articolo 6, comma 9-bis.1, D.Lgs. 471/1997).

La risposta – ineccepibile dal punto di vista del tecnicismo informatico (anche nella logica delle liquidazioni e dichiarazioni precompilate) – non convince però dal punto di vista dell’opportunità per il cessionario residente, fermo restando che (al di là dei “desiderata” AdE), la comunicazione non è normativamente obbligatoria nel caso (non raro) in cui la fattura emessa dal NR identificato è elettronica SdI (articolo 1, comma 3-bis, D.Lgs. 127/2015).

Proviamo a spiegare il perché delle titubanze sull’uso del TD28, tenendo ben distinte queste 3 situazioni:

  1. fattura con Iva da non residente stabilito in IT;
  2. fattura da non stabilito identificato (o non identificato) ritualmente in reverse charge;
  3. fattura con irrituale addebito dell’Iva dal non residente identificato.

Quest’ultima ipotesi è quella dove si inserisce la precisazione – sul TD28 – indicata in premessa e le criticità che, a giudizio di chi scrive, ne conseguono.

Caso 1 – Fattura con Iva da non residente stabilito in IT

Dal 2010, com’è noto, in Italia c’è in capo ai cessionari/committenti residenti l’estensione del reverse charge (articolo 17, comma 2, D.P.R. 633/1972; articolo 194 Direttiva 2006/112/CE) per tutti gli acquisti territoriali effettuati presso non residenti/stabiliti.

In linea di principio, quindi, l’unica ipotesi in cui il cessionario/committente residente (parliamo di B2B) può/deve ricevere da un non residente fattura con rivalsa (addebito) dell’Iva nazionale è quella in cui il non residente sia anche stabilito in Italia e per le operazioni, ovviamente, poste in essere dalla suddetta stabile (articolo 17, comma 4, e articolo 7, comma 1/d).

In tal caso, va ricordato, anche il soggetto stabilito (al pari del residente) ha l’obbligo della fatturazione elettronica e quindi l’arrivo di una FE è sintomatico (anche se non si tratta di un assioma poiché l’uso della FE non è vietato ai non stabiliti) di un rapporto fra residenti/stabiliti dove l’addebito dell’Iva è corretto (con la sola eccezione ovviamente dei casi del reverse charge interno di cui agli articoli 17 comma 5 e 6 nonché articolo 74 commi 7/8 ovvero natura da N6.1 a N6.8).

In questi casi quindi il cessionario residente/stabilito non deve trasmettere nulla al fisco avendo già ricevuto via Sdi una fattura elettronica equiparabile a quella fra residenti (se malauguratamente il cessionario la ricevesse, invece, cartacea dovrebbe operare – nei termini dell’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997– un’autofattura denuncia TD20 giacché – per espressa previsione dell’articolo 1, comma 6, del D.Lgs 127/2015 la fattura si intende non emessa”).

Caso 2 – Fattura da non stabilito identificato (o non identificato) ritualmente in reverse charge

A differenza del caso 1 la rivalsa non vale, invece, quando il fornitore estero in Italia è eventualmente solo identificato (identificazione diretta articolo 35-ter facilmente individuabile dalla partita iva “xxxxxxx999x”) o rappresentato (rappresentanza fiscale ex articolo 17 comma 3 che andrebbe – ma non sempre ciò avviene – evidenziata in fattura) perché in tal caso gli acquisti territoriali (diversi dalle importazioni con “bolletta IT” e dagli acquisti intracomunitari ex articolo 38 comunque in r.c.) vanno assoggettati all’inversione contabile ai sensi dell’articolo 17, comma 2 (VJ3 in dichiarazione annuale Iva; TD19 ai fini dell’esterometro o TD17 se servizi).

In tal caso se il fornitore fosse bravo ed ossequioso delle disposizioni dell’articolo 219-bis della Direttiva 2006/112/CE non dovrebbe emette fattura dalla posizione (id/rf) italiana ma dalla propria sede estera (in tal senso già risoluzione AdE 21/E/2015) indicando in fattura l’inversione contabile senza addebitare l’Iva interna (articolo 17 comma 2 o articolo 194, cit.; articoli 44 e 196 Direttiva se servizi generali).

In questo caso il cessionario integra la fattura (nel mese di arrivo della stessa se il fornitore è comunitario) oppure emette autofattura (se il fornitore è extra UE) ed effettua la doppia annotazione (vendite/acquisti) nei termini previsti dagli adempimenti Iva, chiudendo la gestione con l’invio del TD19 (TD17 se servizi) all’AdE (per gli “antichi rimedi” alla troppo stringente tempistica in vigore da luglio 2022, si rinvia alle osservazioni già formulate su EcNews del 2 agosto 2022, ndr).

In tal caso – come viene coerentemente spiegato nella note della “Guida alla compilazione delle fatture elettroniche e dell’esterometro” dell’Agenzia – l’eventuale fattura impropriamente veicolata dal fornitore non stabilito attraverso la propria identificazione italiana “non avrà rilevanza ai fini Iva (risoluzione 89/E/2010) e a rilevare negli archivi AdE (precompilate) del cessionario (o committente) sarà esclusivamente l’invio del flusso TD19 (o del TD17 per i servizi) che il cessionario medesimo deve tramettere compilando l’«IdFiscaleIva» estero (<IdPaese> + <IdCodice> ) del fornitore (ricordiamo che la valorizzazione in detto tag dell’<IdPaese> con il valore “IT” determina lo scarto – errore 00473 – dei flussi TD17, TD18, TD19 e TD28).

Aggiungiamo, per completezza, che l’AdE non ha mai spiegato cosa indicare in detto «IdFiscaleIva» quando nella fattura il fornitore non ha indicato (anche) l’identificativo della propria posizione estera; taluni usano compilare l’«IdFiscaleIva» con “OO” seguito da 11 volte 9 (prendendo spunto da una vecchia e superata soluzione data in epoca spesometro) con la variante di indicare nell’<IdPaese> il codice Iso della sede del fornitore (al posto del codice “OO” che le specifiche tecniche ammetterebbero, infatti, solo nel caso di fornitori residenti a Livigno e Campione d’Italia); a giudizio di chi scrive (fermo restando che passa di tutto quando l’<IdPaese> è diverso a IT) una soluzione più coerente (e anche agevole) potrebbe essere quella compilare il tag <Idcodice> con la partita Iva italiana del fornitore preceduta da IT (Esempio fornitore tedesco con identificazione in IT: <IdPaese> = DE;  <IdCodice> = IT23678329990, ovvero «IDfiscaleIva» = DEIT23678329990).

Caso 3 – Fattura con irrituale addebito dell’Iva dal non residente identificato

Veniamo quindi al caso tutt’altro che raro – affrontato nella risposta citata in premessa – in cui il fornitore meramente identificato/rappresentato addebita erroneamente l’Iva al cessionario/committente residente.

Iva che l’articolo 6, comma 9-bis.1, D.Lgs. 471/1997 (post D.Lgs. 158/2015) riconosce come detraibile per il cessionario/committente, senza dover applicare il reverse charge (ed il flusso esterometro TD19/TD17 di cui sopra) nel qual caso – dice l’Agenzia rispondendo al quesito a tal fine mirato – la comunicazione esterometro di cui al comma 3-bis D.Lgs.127/2015 “potrà dunque essere effettuata, nei tempi voluti dalla lettera b) del medesimo comma, utilizzando – anche al fine di contemperare le esigenze della precompilata IVA – il tipo documento “TD28” indicando – nel blocco cedente/prestatore – il codice Paese e l’identificativo estero del fornitore” secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate nella retro citata “Guida”.

Trattasi, nella sostanza, della stessa classe documentale attivata dal 1° ottobre 2022 per la comunicazione da parte del cessionario IT degli acquisti documentati da fatture cartacee con addebito dell’Iva da fornitore sammarinese con ricavi inferiori a euro 100.000 (fornitore non obbligato al flusso della FE ex articolo 18, comma 4, Decreto Delegato Repubblica S.M. n.147/2021) che va ovviamente utilizzato indicando il codice paese (diverso da SM) e il codice identificativo estero dello specifico fornitore (per inciso le specifiche tecniche attuali 1.7.1 – errore 00473 – escluderebbero che il TD28 possa essere utilizzato con IdPaese diverso “SM” ma è evidente l’intenzione di rimuovere tale blocco).

Riflessione: quali rischi e quali prove?

Ciò premesso, per quest’ultima terza casistica, vi sono dei però su cui a giudizio di chi scrive è utile riflettere.

Nella risposta in analisi l’Agenzia ricorda, infatti, come il comma 9-bis.1 dica che

  • «qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi …, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro»,
  • che al pagamento della sanzione «è solidalmente tenuto il cedente o prestatore» e
  • che dette disposizioni (leggasi attenuazioni) «non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 (leggasi dal 90 al 180%, ndr) quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole».

Fin qui nulla quaestio. È nella norma stessa che – in nome della funzione “educativa” (la chiamano così) delle sanzioni – è prevista ben che vada una sanzione fissa in capo al cessionario/committente (il debitore d’imposta per la norma) che non applica il reverse charge, con responsabilità solidale del cedente/prestatore (che è colui che induce all’errore).

Giova però osservare che l’Agenzia, pur confermando, nel richiamare la risposta d’interpello 501/2021 (così come è previsto, aggiungiamo noi, anche nella risposta n. 301/2021 e – meglio ancora – nella circolare 16/E/2017 § 3), che per ragioni di semplificazione il cessionario non ha l’onere di regolarizzare (non serve cioè applicare il reverse) la fattura irregolare a fronte della quale il legislatore ha previsto una sanzione più mite (quella fissa in luogo di quella a percentuale), è andata forse un po’ oltre la “consapevolezza” di evasione/frode cui parla la norma laddove aggiunge (aspetto non presente nei precedenti citati, nda) che rimane “fermo il diritto alla detrazione qualora il cessionario/committente dia prova che l’imposta «sia stata», seppur erroneamente, «assolta dal cedente o prestatore» in assenza di frode …”.

In sostanza, in questa risposta, l’AdE ha aggiunto un tassello (l’onere del cessionario di essere in grado di dimostrare che il proprio fornitore ha assolto l’Iva erroneamente “rivalsata”) di tutt’altro che agevole gestione.

Al netto di ciò rimane fermo, in ogni caso, che il cessionario/committente, quando usa il TD28 (fuori dai casi del “minimo” sammarinese), confeziona in capo all’Agenzia un l’elenco preciso di tutte le irritualità che la stessa (per ammissione del contribuente stesso) potrebbe agevolmente sanzionare nella misura dal euro 250 a 10.000 salva applicazione del ravvedimento operoso (per singola liquidazione/fornitore coinvolto, come spiegato nella circolare 16/E, cit.) oppure – per tutte le violazioni commesse al massimo fino al 31.10.2022 – salva l’adesione alla sanatoria delle irregolarità formali prevista (con prima rata entro il 31 marzo 2023) dall’articolo 1, commi 166-173, L. 197/2022 (cfr. circolare 2/E/2023 § 1).

Alcune considerazioni (fuori dall’eventuale ambito di copertura della citata sanatoria) sorgono quindi spontanee:

  • il comportamento più opportuno è e rimane (da sempre) quello di chiedere al fornitore la correzione della fattura (storno e restituzione dell’Iva con e ri-fatturazione in reverse a cui far seguire la rituale gestione illustrata con il caso 1); è fuori dubbio, infatti, la praticabilità delle note di variazione per errori di fatturazione quantomeno nei termini dell’articolo 26 comma 3 (in tal senso già la vecchia circolare 11/E/2007 5.1);
  • laddove ciò non risulti agevole o sia antieconomico a fronte di acquisti di scarsa rilevanza (poche decine di euro di Iva) conviene – a giudizio di chi scrive – applicare il reverse charge comportandosi esattamente come vuole l’articolo 17, comma 2 (ovvero come indicato nel caso 2) escludendo quindi qualsiasi conseguenza sanzionatoria a prescindere dal comportamento del fornitore estero; in tal caso, infatti, la posta a debito del RC  annulla nella sostanza la detrazione dell’Iva (e chi ha limitazioni da pro-rata o simili la versa pure). In questo caso, tuttavia, sono due (da sempre) le questioni non del tutto chiare: la prima riguarda l’importo su cui calcolare l’Iva della citata posta a debito (e di quella conseguentemente a credito) ovvero (i) se sul totale irritualmente ivato della fattura ricevuta (i.e. euro 122) o (ii) su quella che sarebbe stata la base imponibile (i.e. euro 100) nel caso di fattura correttamente emessa in reverse dal fornitore (entrambe le situazioni sono a giudizio di chi scrive sostenibili anche se la prima appare più prudente); la seconda questione attiene alla deducibilità ai fini delle imposte dirette dell’Iva di cui, di fatto, si rinuncia alla detrazione (il fornitore riceve il flusso di euro 122 e quindi i 22 euro del nostro esempio diventano per il cessionario/committente anche un costo a conto economico) ma che, a giudizio di chi scrive, per le fatture di piccolo importo, non dovrebbe rappresentare un problema laddove si convenga sull’assonanza al caso affrontato nella circolare AdE 25/E/2010 in cui (dopo una precedente posizione di segno contrario) à stata riconosciuta la deducibilità dell’Iva non detraibile per il caso in cui – per ragioni di economicità amministrativa – il contribuente decida di documentare spese di alberghi e ristoranti attraverso RF/SC (oggi documento commerciale) invece che tramite fattura;
  • in ultima istanza, per gli acquisti di importo più rilevante, può essere allettante valutare – in luogo della soluzione b – la soluzione riconosciuta con la risposta in analisi (caso 3) a cui aggiungere, però, il versamento della sanzione ridotta da ravvedimento (euro 250/9 ovvero euro 27,78 entro 90 gg dalla scadenza della liquidazione; euro 250/8 ovvero euro 31,25 oltre i 90 giorni ed entro la dichiarazione Iva di riferimento, ecc.) nell’auspicio che il fornitore non faccia il “furbetto” ma ponga in essere con regolarità i versamenti Iva nel nostro Paese e che, nell’eventualità, sia disposto a collaborare; il cessionario/committente deve essere quindi consapevole che la situazione potrebbe diventare “imbarazzante” nel caso in cui, nel frattempo, il fornitore risultasse irreperibile e l’Agenzia, avendolo qualificato come “missing trader”, tentasse il recupero della perdita di gettito (rischio inesistente con la soluzione a e b).