16 Gennaio 2017

Compensi amministratori reversibili

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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All’interno dei gruppi societari, può accadere che l’amministratore di una società sia legato da un rapporto di lavoro dipendente con un’altra società del medesimo gruppo (ad esempio, la controllante) alla quale è tenuto a riversare il compenso da amministratore. Questi rapporti contrattuali possono riguardare anche i collaboratori coordinati e continuativi, come chiarito dalla risoluzione 19 febbraio 1980, n. 8/196, ed approfondito anche dalla norma di comportamento Aidc 17 ottobre 2007, n. 169.

Il compenso non rileva in capo al lavoratore subordinato, in virtù del principio generale, secondo cui non configurano un reddito imponibile le somme di cui il dipendente non ottenga, in alcun modo, la disponibilità: in altri termini, non ricorre il presupposto di tassazione previsto dall’articolo 1 del Tuir, ovvero il possesso di un reddito, in denaro o natura, rientrante nelle categorie previste dalla normativa (risoluzione 5 luglio 1986, n. 8/1236, e risoluzione 15 febbraio 1980, n. 8/196 e risoluzione 17 maggio 1977, n. 8/166). In senso conforme, depone altresì l’articolo 50, comma 1, lett. b), del Tuir, nella parte in cui esclude dai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i compensi a carico di terzi spettanti al lavoratore subordinato per incarichi svolti in relazione a tale qualità che, in base ad una clausola contrattuale, devono essere riversati al datore di lavoro.

Conseguentemente, la società amministrata non deve operare, con riferimento all’incarico di amministratore, alcuna ritenuta nei confronti del dipendente. Il costo riguardante il compenso in parola è deducibile, per competenza, dal reddito d’impresa della controllata, in quanto si tratta di somme non spettanti all’amministratore, ma contrattualmente direttamente alla società controllante di appartenenza: trattandosi di somme attribuite ad un titolare di reddito d’impresa, non è applicabile il criterio di cassa di cui all’articolo 95, comma 5, del Tuir. Ne deriva, pertanto, che gli importi corrisposti al datore di lavoro dell’amministratore concorrono, per effetto della reversibilità, a formare il reddito imponibile della percipiente, non soggetta alla ritenuta fiscale d’acconto di cui all’articolo 24, comma 1-ter, del D.P.R. 600/1973 (poiché non applicabile ai redditi d’impresa) se la società beneficiaria delle somme risiede nel territorio dello Stato, oppure è rappresentata da una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente. Diversamente, nel caso della società non residente priva di stabile organizzazione in Italia, l’azienda amministrata deve operare tale prelievo, in ossequio alla predetta disposizione, in quanto il presupposto territoriale dei redditi di collaborazione coordinata e continuativa è costituito, anche per le imprese non residenti, dalla residenza in Italia del soggetto che eroga il compenso (articolo 23, comma 2, lett. b), del Tuir). A questo proposito, si rammenta che le convenzioni internazionali conformi al modello Ocse consentono allo Stato di residenza della società che eroga i compensi d’amministrazione di tassare i compensi corrisposti a residenti dell’altro Stato contraente in qualità di componenti dell’organo di gestione. Le medesime considerazioni devono ritenersi valide nel caso in cui un amministratore od altro collaboratore coordinato e continuativo della società controllante, assimilato ai fini fiscali ai lavoratori dipendenti, venga nominato, su indicazione di quest’ultima, membro del consiglio di amministrazione di altra società, con obbligo di reversibilità del compenso. Quest’ultimo non è, quindi, soggetto a ritenuta d’acconto: la controllata deduce il relativo costo dal reddito d’impresa, per competenza, e la controllante assoggetta ad imposizione il corrispondente compenso in base allo stesso criterio di competenza.

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