7 Marzo 2025

Il cessionario di crediti fiscali inesistenti risponde penalmente solo se in dolo eventuale

di Silvio Rivetti
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Sembra un bollettino di guerra quello riportato dai media nel corso del solo ultimo mese di febbraio, in tema di sequestri di crediti d’imposta inesistenti disposti all’esito di indagini riguardanti operazioni fraudolente in ambito superbonus e bonus edilizi (si vedano, per esempio, le notizie di stampa concernenti i sequestri disposti a seguito delle attività ispettive dei reparti di Guardia di Finanza di Milano, Trento e Fermo, per rispettivamente sessantacinque milioni, dieci milioni e un milione e settecentomila Euro).

La rilevanza degli importi coinvolti (e la significativa diffusione geografica dei fenomeni fraudolenti in questione) induce a riflettere sul grado del rischio gravante sui soggetti cessionari dei crediti d’imposta, frutto di siffatte operazioni in frode; con particolare riguardo alla possibilità che tali soggetti, in aggiunta ai profili di responsabilità tributaria scolpiti dall’articolo 121, comma 4, D.L. 34/2020, risultino coinvolti in contestazioni penali relativamente al reato di indebita compensazione di crediti, ex articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000, ai sensi del quale è punito chiunque non versa le somme dovute utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, D.Lgs. 241/1997, crediti viziati per un importo superiore a 50.000 euro, stabilendosi una pena minore (reclusione da 6 mesi a 2 anni) se trattasi di crediti “non spettanti”, ovvero una più grave (da un 1 anno e 6 mesi a 6 anni) se trattasi di più insidiosi crediti “inesistenti”.

L’articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000, merita di essere brevemente inquadrato dal punto di vista oggettivo e, soprattutto, soggettivo.

Sotto il primo punto di vista, è da notare come la norma penal-tributaria preveda 2 fattispecie di reato distinte, riguardanti separatamente la compensazione di crediti “non spettanti” ovvero “inesistenti”, le cui definizioni s’individuano oggi, all’esito della Riforma fiscale, mercè il rinvio all’articolo 1, comma 1, lettere g-quater) nn. 1) e 2), e g-quinquies) nn. 1), 2) e 3), D.Lgs. 74/2000 (con definizione positivamente “unitaria tra ambito penale e tributario”, in coerenza all’insegnamento reso in tema da Cass., Sezioni Unite Civili, 11 dicembre 2023, n. 34419), con la conseguenza che la soglia di punibilità di euro 50.000 è da considerarsi autonomamente per ciascuna delle due ipotesi delittuose.

Sempre in ordine all’elemento oggettivo, è da sottolineare brevemente come la norma sanzioni genericamente la condotta di “chiunque”, laddove di fatto la fattispecie non possa essere realizzata se non dal soggetto che integri l’evasione, elidendo le poste dovute con l’esposizione in compensazione di crediti viziati in F24. Così, se il cessionario dei crediti è una società, sarà esposto alla contestazione del reato in commento il suo amministratore e legale rappresentante, ovvero l’ulteriore soggetto eventualmente e specificamente delegato alla gestione degli adempimenti fiscali, e, nel caso, chi concorra nel reato ex articolo 110 c.p. come il socio che favorisca l’operazione, o il consulente (Cassazione n. 1999/2017), o il sindaco che renda parere favorevole all’acquisto di crediti fiscali inesistenti (Cassazione n. 40324/2021). In compenso è utile dire che il reato di indebita compensazione, come qui configurabile in concreto, non può, comunque, coinvolgere la responsabilità delle società, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, per non essere ricompreso tra i relativi “reati presupposto”.

Dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario sottolineare come la responsabilità del cessionario sul piano penale, a titolo di reato di indebita compensazione, presupponga il profilo psicologico del dolo in termini di esclusività, differentemente dalla responsabilità tributaria dello stesso, che implica almeno la colpa o la colpa grave, rispettivamente derivandone conseguenze, ai sensi dell’articolo 121, comma 6, D.L.  34/2020, in punto sanzioni (quelle del concorrente nella violazione, ex articolo 9, D.Lgs. 472/1997) o in punto eccezionale responsabilità solidale nel debito d’imposta del contribuente. E per quanto in giurisprudenza sia pacifico che, nel delitto di indebita compensazione, anche di crediti “inesistenti” da operazioni fraudolente, non sia richiesto il “dolo specifico” dell’evasione, ove la condotta  mira volontariamente l’evento, il fine di evadere l’imposta, ma sia sufficiente la versione più attenuata del “dolo eventuale”, ove il contribuente compensa scientemente il credito pur nella consapevolezza della probabile inesistenza del credito stesso, è da rimarcare, in primo luogo, come il “dolo eventuale” non coincida né con la negligenza, né con l’imprudenza, né con l’imperizia; e, in secondo luogo (Cassazione n. 47670/2023) come un conto sia la scorretta gestione di obblighi precauzionali e di diligenza, a cui il cessionario sia tenuto per il suo ruolo e la sua natura, giustificanti un addebito a suo carico in termini di colpa, irrilevante ai fini penali (quand’anche colpa cosciente, a titolo di “dubbio irrisolto”); mentre altro conto sia la “correzione di rotta” della propria volontà verso l’evento, ossia verso la condotta della compensazione, che viene concretizzata a dubbio “sciolto”, superato dalla consapevolezza che un reato è comunque in corso di svolgimento, rappresentata come concreta la possibilità che l’evasione tributaria si configuri. Poiché il dolo eventuale non coincide “con l’eventualità del dolo” (Cassazione n. 47670/2023) e, dunque, non si presume, ma va dimostrato da parte del Pubblico Ministero, ne viene, in assenza di tale prova, che gli eventuali e residuali profili di colpa, anche cosciente, non sono idonei a dischiudere profili di responsabilità penale in capo ai cessionari di crediti inesistenti, ma solo profili di responsabilità tributaria ai sensi dell’articolo 121, D.L. 34/2020.