17 Novembre 2017

Società estinte: la legittimazione ad agire verso soci e liquidatori

di Roberto Bianchi
Scarica in PDF

La notifica degli atti impositivi nei confronti di una società estinta non è in grado di generare la responsabilità di ex liquidatori e di ex soci in vigenza dell’articolo 2495 cod. civ. e, pertanto, se l’Amministrazione finanziaria ritiene di chiamare in causa soggetti “terzi” rispetto alla società cancellata, deve fare ricorso al giudice ordinario in ottemperanza al principio civilistico e ai correlati presupposti secondo i quali, successivamente alla cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti, possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento fosse dipeso da loro colpe.

Tuttavia, dando risalto ai recenti orientamenti della Corte Suprema, gli accertamenti effettuati nei confronti delle società estinte risulterebbero efficaci anche se notificati esclusivamente ai soci. Infatti, dalla sentenza di Cassazione n. 9094/2017, si apprende che “la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire” mentre gli stessi magistrati, con la sentenza n. 12953/2017, hanno concluso che l’avviso di accertamento emanato nei confronti di una società cessata, risulta essere regolarmente notificato ai soci in quanto “successori” delle obbligazioni societarie.

A fronte di ciò è necessario affermare che, attraverso la riforma societaria che ha modificato il comma 2 dell’articolo 2495 cod. civ. il legislatore, con l’introduzione dell’espressione “ferma restando l’estinzione della società”, ha voluto definire una connessione automatica tra il depennamento dal Registro delle imprese e l’estinzione della società, in maniera tale che la cancellazione comporti l’esaurimento dell’istituzione societaria. Pertanto, perfezionatasi la rimozione della società dal Registro delle imprese, non è più plausibile considerare vivente l’ente collettivo né tantomeno farlo risorgere e, di conseguenza, i creditori rimasti insoddisfatti, conservano il titolo per rivalersi solamente nei confronti dei liquidatori e dei soci entro i limiti sanciti dagli articoli 2495 e 2312 del cod. civ..

In merito all’estinzione dell’ente, è d’obbligo ricordare le sentenze della Cassazione a SS.UU. nn. 6070/6071/6072 del 12/03/2013, attraverso le quali è stato ribadito che devono ritenersi estinte le società depennate dal Registro delle imprese. In tali pronunce, il collegio di legittimità ha specificato che l’esaurimento delle società cancellate comporta un avvenimento di tipo successorio che trova la sua qualificazione giuridica all’interno dell’articolo 2495 cod. civ. e tutto ciò implica che, se la cancellazione si verifica nel corso del processo, si manifesta, nei limiti sanciti dal medesimo articolo, la successione nello stesso procedimento ai sensi dell’articolo 110 c.p.c.. Tuttavia la menzionata conseguenza si verifica esclusivamente qualora il depennamento della società si palesa in vigenza del contenzioso ed è la stessa Corte Suprema, attraverso la sentenza n. 15782/2016, ad affermare che “è del tutto ovvio che una società non più esistente, perché cancellata dal Registro delle imprese, non può validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta”.

Lo scenario appena descritto, inoltre, non subisce alcuna mutazione in seguito all’entrata in vigore dell’articolo 28 del D.Lgs. 175/2014, tramite il quale è stato disposto che, esclusivamente nell’ambito di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 cod. civ. manifesta la sua efficacia decorsi cinque anni dalla sua cancellazione dal Registro delle imprese.

L’introduzione dell’espressione “contenzioso” avrebbe la pretesa di decretare che la società, sebbene giuridicamente inesistente, come del resto i suoi organi sociali, sia in grado di stare in giudizio e, pertanto, conservi il titolo per impugnare gli atti che verranno notificati dalle varie amministrazioni successivamente al suo esaurimento. Tuttavia, sebbene in vigenza della previsione contenuta nel comma 4 dell’articolo 28 del D.Lgs. 175/2014, non è possibile attribuire legittimazione ad agire a un ente giuridicamente inesistente e, pertanto, l’insussistenza di una società implica propriamente l’assenza di legittimazione dei suoi organi sociali, anch’essi decaduti.

Di conseguenza, nel caso di notifica di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società estinta, i consegnatari dell’atto dovranno eccepire, a titolo prudenziale, soltanto la carenza di legittimazione passiva mentre nella circostanza in cui l’atto impositivo risulti essere intestato ai soci o ai liquidatori, gli stessi dovranno rappresentare che l’atto, emesso nei confronti della società, è invalido in quanto fondato su una norma illegittima che non permette la sua impugnazione da parte della società estinta, oltre che attuata in assenza di una precisa delega da parte della Legge 23/2014 e, pertanto, non risulta essere riscontrabile alcuna responsabilità ex articolo 36 del D.P.R. 602/1973. Infine i soci e liquidatori dovranno obiettare che la motivazione pretesa dal menzionato articolo 36 afferisce a circostanze manifestatesi antecedentemente all’estinzione dell’ente e non a sedicenti “sopravvenienze”.

 

Dottryna