4 Luglio 2016

Le palestre e la gestione di saune e solarium

di Guido Martinelli
Scarica in PDF

Sono ormai sempre di più i centri sportivi che offrono, gratuitamente o dietro pagamento di un corrispettivo specifico, ai propri iscritti, la possibilità di utilizzare saune e solarium.

Se, sotto un profilo meramente fiscale, non vi è dubbio che l’incasso di somme a tale titolo, anche per quei centri gestiti da società o associazioni sportive dilettantistiche, costituisce sempre provento di natura commerciale, sia ai fini delle imposte dirette che dell’iva, trattandosi comunque di attività non conforme alle finalità istituzionali, si pone il problema se l’utilizzo di tali attrezzatura costituisca attività di estetica, con gli adempimenti che da ciò ne conseguono.

L’attività d’estetica, per definizione sia della legislazione nazionale che di quella regionale, comprende tutte le prestazioni professionali relative ai trattamenti eseguiti sulla superficie del corpo umano ed il cui scopo, prevalente o esclusivo, sia quello di mantenerlo in perfette condizioni, di migliorarne e proteggerne l’aspetto estetico modificandolo attraverso l’eliminazione o l’attenuazione degli inestetismi che sono presenti.

Il secondo comma dell’articolo 1 della legge 1/1990, che disciplina l’attività di estetica, prevede che tale attività “può essere svolta … con l’utilizzazione degli apparecchi elettromeccanici per uso estetico, di cui all’elenco allegato alla presente legge…”.

Tale elenco, oltre ad una lunga serie d’apparecchi che prevedono una partecipazione attiva dell’estetista riporta anche, oltre alle saune, le “lampade abbronzanti”.

La legge nazionale citata riporta che l’attività d’estetica (che ha contenuto oggettivamente più ampio del mero utilizzo degli oggetti ricompresi nell’elenco allegato) può (non deve) essere svolta con tali apparecchi; in tal senso si esprimono anche tutte le leggi regionali di recepimento della normativa nazionale.

Il semplice utilizzo di solarium, pertanto, ad avviso dello scrivente, non può certamente essere equiparato all’esercizio di una prestazione di servizio professionale, in quanto l’operatore, nel caso di specie, è soggetto inattivo rispetto al fruitore della prestazione d’opera.

In altre parole, l’utilizzo di solarium non richiede alcun atto dispositivo sulla persona del terzo, l’eventuale estetista non interviene in modo diretto ed attivo sul corpo umano e non presta un servizio professionale, coinvolgendo la sua esperienza e capacità.

Ciò che si pone in essere è solo una “locazione” d’attrezzature, analogamente a quanto avviene per altre prestazioni di servizi quali il nolo di biciclette, auto o “mosconi” al mare.

Giuridicamente, infatti, l’utilizzo di solarium rientra nella previsione dell’articolo 1571 cod. civ. che reca la nozione di locazione di cosa mobile.

Infatti, il consumatore corrisponde un prezzo per l’uso temporaneo di una macchina la cui prestazione tecnica prescinde dalla capacità professionale del titolare del centro, la cui obbligazione contrattuale è quella di locare in buone condizioni di manutenzione il mezzo elettromeccanico per il tempo concordato contro il pagamento di un corrispettivo (obbligazione del locatario).

A nulla rileva in tale rapporto obbligatorio la necessaria presenza di una estetista. È evidente la contraddizione in termini: la richiesta del diploma d’estetista (e quindi la presunzione di specifiche conoscenze tecnico-professionali) contrasta in maniera palese con la commercializzazione al dettaglio degli apparecchi, l’uso privato dei quali, pertanto, svolto da persona priva delle presunte conoscenze tecnico-professionali richieste dovrebbe, invece, essere vietato se la ratio generale della norma fosse quella dell’obbligatorietà della persona dell’estetista.

Le tesi sopraesposte, con particolare riferimento alla sauna, sono state accolte da parte della giurisprudenza. Il T.A.R. della Toscana, con diverse pronunce, vedi fra tutte la n. 332 del 22.04.1998, riconosceva che la semplice installazione di una sauna all’interno di un centro ginnico non costituiva attività d’estetica; il Vice Pretore di Rimini, con sentenza 23 maggio 1999 n. 507, testualmente: “Osserva che la suddetta norma si limita a prevedere che l’estetista possa anche utilizzare gli apparecchi per la propria attività professionale e non invece, cosa del tutto diversa, che non vi possa essere l’utilizzo di detti apparati senza l’assistenza di un estetista”.

La tesi contraria trae origine da una risposta formulata al Comune di Vicenza dal Ministero dell’Industria in data 21.09.1994, che sostiene che: “L’uso d’apparecchiature abbronzanti e saune, anche senza effettuazione di prestazioni estetiche manuali sul corpo umano, sia da configurarsi come attività d’estetista e l’esercente tale attività sia sottoposto alle disposizioni previste dalla legge 1/1990. La norma, infatti, prevede espressamente che l’attività d’estetista possa essere svolta mediante l’utilizzazione d’alcuni apparecchi elettromeccanici per uso estetico, di cui all’elenco allegato alla medesima legge. Tra questi apparecchi vengono specificatamente comprese le lampade abbronzanti UV-A e le saune. Tale previsione è volta a garantire, in particolare, la tutela dell’utenza nella fruizione di una prestazione che deve essere svolta nel rispetto di necessari criteri di sicurezza e di tutela della salute”.

Fermo su tale posizione appare il T.A.R. Veneto che, per ultimo, con quattro sentenze tutte depositate il 18 Agosto 1999 (n. 1380, 1381, 1382, 1383) con motivazioni similari, ripropone che anche il semplice utilizzo di lampade costituisca attività d’estetica e che il limite della presenza dell’estetista trova la sua ragione d’essere nella tutela della salubrità della collettività.