11 Dicembre 2017

Donazione e accertamento del maggior reddito in ipotesi di interposizione

di Marco Bargagli
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Ai fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 37, terzo comma, del D.P.R. 600/1973, in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne é l’effettivo possessore per interposta persona.

Tuttavia, per espressa disposizione normativa:

  • le persone interposte che provino di aver pagato le imposte in relazione a redditi successivamente imputati ad altro contribuente, possono chiederne il rimborso;
  • l’Amministrazione finanziaria procede al rimborso solo dopo che l’accertamento nei confronti del soggetto interponente, é divenuto definitivo ed in misura non superiore all’imposta effettivamente percepita a seguito di tale accertamento.

In pratica l’Amministrazione finanziaria, sulla base di “presunzioni semplici”, connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, può imputare ad un determinato soggetto l’esistenza di attività non dichiarate, ricostruendo induttivamente il reddito.

Con particolare riferimento ai fenomeni di interposizione la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27781 pubblicata in data 22 novembre 2007, ha recentemente confermato che l’articolo 37 del D.P.R. 600/1973 ha un ambito applicativo molto ampio, riguardando tutti i redditi formalmente attribuiti ad un determinato soggetto che, sulla base di logiche induttivo – presuntive, risultano in realtà riconducibili ad un terzo soggetto.

La controversia risolta in sede di legittimità riguardava l’omessa dichiarazione della plusvalenza derivante dalla cessione di una quota di terreno edificabile.

Sulla base della tesi esposta dall’ufficio, il contribuente aveva donato al coniuge una porzione di un’area edificabile che, successivamente, il donatario aveva venduto ad una società a responsabilità limitata.

In particolare, tenuto conto del rapporto coniugale e del breve lasso di tempo intercorso tra i due atti (donazione e cessione), l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la donazione fosse un’operazione elusiva priva di un’effettiva utilità economica, constatando l’omessa dichiarazione della plusvalenza derivante dalla cessione della quota del terreno edificabile, partendo dall’assunto che il “donante” sarebbe stato l’effettivo beneficiario della vendita.

In merito, il supremo giudice, dopo avere richiamato le disposizioni previste in tema di interposizione, ha ribadito di avere più volte affermato, in relazione a fattispecie analoghe a quella in causa (donazione di un terreno ad un prossimo congiunto poco prima della vendita del medesimo terreno da questo effettuata ad un terzo), l’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria dei benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni elusive, prive di reali motivazioni economiche.

Infatti, la disciplina antielusiva dell’interposizione non implica necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consente di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta.

Quindi, il fenomeno riconducibile alla simulazione relativa, nel cui ambito rientra l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali.

In buona sostanza, il raggio di applicazione dell’articolo 37, comma 3, del D.P.R. 600/1973 comprende tutti i redditi attribuiti giuridicamente ad un terzo che siano invece riferibili ad un soggetto che ne ha l’effettiva disponibilità, senza che rilevi il titolo in base al quale i redditi risultano nominalmente intestati a tale soggetto.

In merito, il legislatore ha previsto che l’imputazione al contribuente di redditi formalmente intestati ad un altro soggetto può essere effettuata se, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare, indipendentemente dalla distinzione tra interposizione fittizia e reale, con la conseguenza che l’applicazione del citato articolo 37 del D.P.R. 600/1973 non è limitata esclusivamente alle operazioni simulate.

In definitiva accogliendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, a parere degli ermellini il giudice del gravame non si è attenuto ai principi di diritto espressi nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità, fondando la propria decisione sul presupposto, che non trova riscontro nel diritto vivente, secondo cui l’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/73 sarebbe applicabile solo ove si dimostri l’esistenza di un accordo simulatorio in cui sia coinvolto anche il terzo acquirente”.

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