30 Giugno 2020

Cessioni comunitarie e partita Iva del cessionario

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Il 1° gennaio 2020 è entrata in vigore la Direttiva 1910/2018, che prevede come condizione per applicare il regime di “esenzione” per una cessione comunitaria, che il cessionario sia identificato ai fini Iva in un Paese diverso da quello da cui parte la merce, ed abbia comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva.

La Direttiva non è stata recepita dallo Stato italiano, ma deve ritenersi direttamente efficace, e riguarda quindi la possibilità di applicare il regime di non imponibilità previsto dall’articolo 41 D.L. 331/1993.

La norma comunitaria prescrive quindi l’obbligatorietà di un numero identificativo ai fini Iva. Si tratta del numero di partita Iva che gli Stati membri iscrivono nel Vies, e quindi quello che è controllabile sul sito internet della Commissione europea; oramai, anche dal sito dell’Agenzia delle Entrate si viene “linkati” al sito della Commissione.

Nelle note esplicative pubblicate dalla Commissione Europea nel dicembre 2019 sono stati forniti dei primi chiarimenti: sul punto è stato chiarito che negli Stati (ad esempio Germania) che attribuiscono un numero di identificazione Iva valido per l’effettuazione delle sole operazioni interne, ed uno valido per le operazioni comunitarie, preceduto dal prefisso dello Stato, solo il secondo, cioè quello preceduto dal codice ISO dello Stato ed inserito nell’archivio Vies, deve considerarsi valido.

Un altro punto importante è stato chiarito dalle linee guida: posto che la norma prevede che il cessionario debba “comunicare” al cedente il proprio numero di identificazione, la Commissione chiarisce che “dal fatto che il cedente abbia indicato il numero di identificazione Iva del proprio acquirente nella fattura si può desumere che l’acquirente abbia comunicato il proprio numero di identificazione Iva al cedente.

Le note esplicative della Commissione si soffermano poi sulle operazioni effettuate dai soggetti che non sono in possesso di un numero identificativo, ma dimostrano di averne fatto richiesta alla propria Amministrazione finanziaria.

La questione era già stata affrontata dalla circolare 13/1994, nella quale il Ministero delle Finanze aveva chiarito che il cedente poteva comunque emettere fattura non imponibile ai sensi dell’articolo 41, ed aveva dato istruzioni su come compilare il modello Intrastat in modalità “provvisoria”, lasciando in un primo momento in bianco il campo relativo al numero di partita Iva, per poi rettificare tale dato quando il cessionario comunicava il numero di partita Iva che gli era stato attribuito.

La Commissione Europea ha un’altra opinione: “Quando, al momento dell’emissione della fattura da parte del cedente, l’acquirente non è stato in grado di comunicare al cedente un numero di identificazione Iva perché le autorità fiscali stanno ancora esaminando la richiesta dell’acquirente per l’ottenimento di tale numero, il cedente non può applicare l’esenzione”, cioè la non imponibilità prevista dall’articolo 41.

Tuttavia, quando il cessionario dimostri che era già considerabile un soggetto passivo al momento della cessione, ed in un momento successivo comunica al cedente il numero di identificazione nel frattempo conseguito, il cedente, in assenza di indicazioni di frode o di abuso, può rettificare la fattura.

Su tale punto ci si ponevano degli interrogativi, e, il 15 giugno, il Comitato Iva ha pubblicato sul proprio sito istituzionale la soluzione ad ulteriori casi che si verificano nella pratica.

Con riferimento al soggetto che ha ottenuto il numero identificativo dopo aver effettuato l’acquisto, il Comitato Iva ritiene che, qualora l’attribuzione del numero identificativo sia retroattiva, non ci siano problemi per il cedente a rettificare l’originaria fattura.

Quando il numero di partita Iva non viene concesso con validità retroattiva, per il cedente è comunque possibile rettificare la fattura emessa, quando è sicuro che il proprio cliente era già un soggetto passivo al momento della cessione e non ci sono intenti di frode.

Questa precisazione ha una importanza fondamentale per le cosiddette “cessioni a se stessi”, che possono verificarsi ad esempio quando viene ad esistenza una condizione che fa decadere il regime del call-off stock; si ipotizzi, ad esempio un soggetto italiano che invii la merce in Francia per un call-off stock e siano rispettate tutte le condizioni per le quali non è necessario identificarsi Oltralpe, in quanto verrà emessa fattura non imponibile articolo 41 direttamente al francese al momento del prelievo dei beni.

Qualora prima di tale evento le condizioni per la sospensione dovessero cessare (si ipotizzi di scoprire un furto), il cedente italiano dovrebbe identificarsi in Francia nel giorno in cui cessano le condizioni, ed effettuare la vendita a se stesso nello stesso momento; se il soggetto italiano non è già identificato in Francia e se la Francia non rilascia i numero di partita Iva con valenza retroattiva, nel momento in cui avviene la “vendita a se stessi”, l’italiano è senza numero di partita iva francese, e quindi deve essere emessa a se stessi una fattura con Iva.

L’interpretazione del Comitato Iva, quindi, consente di rettificare l’originaria fattura una volta ottenuto il numero di partita Iva francese, e quindi evita di dover lasciare assoggettata ad Iva una cessione a se stessi per via di un ritardo nell’identificazione all’estero.

Un ulteriore interessante chiarimento riguarda il soggetto che ha il numero di identificazione, ma per negligenza o ignoranza non lo ha comunicato al cedente, il quale ha chiaramente emesso una fattura con Iva. In tali circostanze è previsto che, qualora la comunicazione del numero avvenga entro i termini di rettifica delle fatture, come prevista dallo Stato del cedente, quest’ultimo possa provvedere a rettificare l’operazione.

Un ultimo chiarimento riguarda il caso in cui, al momento dell’ottenimento del numero di partita Iva da parte del cessionario, il cedente non esista più, e quindi non sia possibile per il cessionario chiedere al cedente di rettificare la fattura originariamente emessa con Iva.

In questo caso il Comitato Iva ritiene che il cessionario possa chiedere il rimborso dell’Iva direttamente all’Amministrazione finanziaria del Paese del cedente.