11 Giugno 2025

Atti di recupero crediti in slalom tra il contraddittorio preventivo e l’accertamento con adesione

di Silvio Rivetti
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La scheda di FISCOPRATICO

I meccanismi di contraddittorio preventivo varati dalla Riforma fiscale, funzionali a deflazionare il contenzioso e a dare corpo a quel basilare principio di civiltà giuridica, per cui è normale il diritto del contribuente ad essere ascoltato prima di divenire oggetto d’imposizione, mostrano ancora, a oltre un anno dalla loro intervenuta, piena operatività, non poche incertezze: in particolare, quanto alla loro applicabilità agli atti di recupero crediti ex articolo 38-bis, D.P.R. 600/1973. In tema, non è scolastico ricordare che, per l’articolo 6-bis, comma 1, L. 212/2000, tutti gli atti autonomamente impugnabili innanzi al giudice tributario devono essere preceduti da un contraddittorio preventivo, il quale si attiva mediante la previa comunicazione al contribuente da parte dell’Amministrazione di uno schema dell’atto impositivo che s’intendere adottare, e che trova esplicazione grazie al termine di 60 giorni concesso per presentare deduzioni difensive, o per richiedere l’accesso agli atti.

L’interesse di questa previsione è nella sanzione di annullabilità dell’atto impositivo emesso in violazione della norma, ossia non preceduto dallo schema d’atto: una sanzione “forte”, il cui rischio il Legislatore ha evidentemente ritenuto opportuno scongiurare per alcuni atti dell’imposizione specificamente “sensibili”. Tra questi, in particolare, si annoverano gli atti di recupero ex articolo 38-bis, D.P.R. 600/1973, aventi ad oggetto crediti viziati per inesistenza; ciò a seguito del disposto della norma d’interpretazione autentica, applicabile retroattivamente, di cui all’articolo 7-bis, D.L. 39/2024, per la quale il comma 1 dell’articolo 6-bis citato va interpretato escludendosene l’applicazione proprio agli atti di recupero conseguenti al disconoscimento di crediti d’imposta inesistenti: dovendosi qualificare come tali, stando alla definizione contenuta nell’articolo 1, comma 1, lettera g-quater), n. 1) e 2), D.Lgs. 74/2000, i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i relativi requisiti oggettivi o soggettivi, come dettati specificamente dalla disciplina normativa di riferimento, o i cui requisiti sono il risultato di rappresentazioni fraudolente, effettuate con documenti falsi, simulazioni o artifici.

Per tali fattispecie, si apre ora la possibilità di deflazionare il contenzioso secondo meccanismi già noti al sistema ante Riforma, estesi finalmente agli atti di recupero crediti, poiché il nuovo articolo 6, comma 2, D.Lgs. 218/1997, ammette il contribuente a formulare istanza di adesione con riguardo all’atto di recupero entro il termine per il ricorso, con notifica da parte dell’ufficio dell’invito all’adesione ex articolo 5, D.Lgs. 218/1997, e con sospensione del termine per ricorrere, di 60 giorni, di ulteriori 90 giorni: un procedimento “rodato” che presenta indubbi vantaggi per la parte privata, che avrà più tempo per allestire le sue difese e non dovrà confrontarsi con eventuali motivazioni “rinforzate” dell’atto impositivo, immutabile da parte dell’ufficio perché già emesso nella sua versione “finale”.

A fronte di questo quadro, quid iuris a proposito degli atti di recupero crediti, aventi ad oggetto la contestazione di vizi diversi dall’inesistenza? L’ufficio potrebbe far valere il difforme vizio di non spettanza dei crediti stessi, come individuato ai sensi della triplice definizione dell’articolo 1, comma 1, lettera g-quinquies), n. 1), 2) e 3), D.Lgs. 74/2000, riguardante rispettivamente i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti nonché, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; o i crediti che, pur in presenza dei predetti requisiti soggettivi e oggettivi, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva dei crediti per assenza di ulteriori elementi o qualità richiesti ai fini del riconoscimento dei crediti stessi; o infine i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi, espressamente previsti a pena di decadenza. Ora, anche per le ipotesi di recupero dei crediti non spettanti, i meccanismi di cui all’articolo 6-bis, L. 212/2000, citato apparirebbero nuovamente esclusi, laddove riconducibili – e nella misura in cui lo sono effettivamente – alle previsioni del D.M. Mef 24 aprile 2024, il cui articolo 2, comma 1, lettera b), ne esenta l’applicazione per gli atti di recupero crediti predisposti esclusivamente sulla base dell’incrocio di dati, quali atti di tipo automatizzato e sostanzialmente automatizzato. Anche a tali atti di recupero crediti, pertanto, risulterebbe applicabile l’accertamento con adesione nella sua versione “classica” vista sopra, ex articolo 6, comma 2, D.Lgs. 218/1997.

In tema di crediti non spettanti, un ultimo dubbio si pone allora lecitamente: se possano esistere casistiche di crediti non spettanti, il cui atto di recupero non possa dirsi di tipo automatizzato e sostanzialmente automatizzato, quale frutto di un mero incrocio di dati: come nel caso, si potrebbe ipotizzare, delle compensazioni superiori a Euro 5.000 effettuate con crediti indicati nelle dichiarazioni, vistate da soggetti non regolarmente iscritti negli elenchi dei professionisti abilitati, in violazione dell’articolo 7, D.M. 164/1999. In una simile fattispecie, in cui oggetto di contestazione non è l’esistenza del credito, ma al più la sua fruizione in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti, delle due l’una: o l’ufficio comunica in via preventiva lo schema d’atto, o l’atto di recupero crediti che ne verrà sarà annullabile ex articolo 6, comma 1, Statuto, in quanto atto impositivo “ordinario” e autonomamente impugnabile, attratto nell’orbita del contraddittorio preventivo, qui pienamente applicabile.