28 Dicembre 2015

Antieconomicità, inerenza e congruità

di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Le contestazioni da parte dell’Agenzia delle entrate in ordine a operazioni considerate antieconomiche risultano frequenti. Ciò che nel corso degli anni ha descritto in maniera esaustiva la portata di tale rilievo è sicuramente la giurisprudenza. Innanzitutto il concetto di antieconomicità risulta applicabile alle sole imposte sui redditi come precisa la massima dell’Ordinanza n. 10041 del 2014 “il cliente ha diritto alla detrazione della relativa imposta, senza che sia possibile applicare, in materia di Iva, i principi applicabili ai fini delle imposte sui redditi, che consentono all’Amministrazione finanziaria di valutare la congruità dei costi e dei ricavi dichiarati, perché la regola sull’antieconomicità è propria dell’imposizione diretta”. Si ritiene opportuno sicuramente citare la sentenza della Cassazione n. 1821 del 2001, peraltro considerata da autorevole dottrina come una tra le prime pronunce sul tema. All’interno di quest’ultima, concernente le imposte sui redditi, si individuano questi precetti:

  • è legittimo l’accertamento analitico induttivo, ai sensi art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. 600/1973 in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia;
  • la regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni. Pertanto, in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà.

Con il passare del tempo si è verificata una sorta di correlazione con altri principi e si constata quindi che la stessa antieconomicità, oltre a non essere definita normativamente, non risulta possedere neppure delle visioni univoche in sede giurisprudenziale. Si pensi ad esempio al collegamento con l’inerenza e più in particolare con l’inerenza “quantitativa”. Anche il principio dell’inerenza risulta non possedere una disciplina univoca, esistono infatti due tipi di pensiero, il primo ritiene che lo stesso appartenga alla disciplina del comma 5 dell’art. 109 del TUIR ed il secondo invece all’articolo 53 della Costituzione. Secondo la risoluzione 158/1998, sono deducibili tutti i costi relativi all’attività d’impresa e che si riferiscono ad attività e operazioni che concorrono a formare il relativo reddito. Pertanto si considerano inerenti non solo i costi legati ai ricavi, ma tutti quelli relativi all’attività considerata nella sua interezza, purché ovviamente esista un nesso con la stessa. Si ritiene significativa la pronuncia della Cassazione 5374 del 2012, la quale afferma la facoltà, in sede di accertamento, di effettuare delle valutazioni in ordine alla congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa. Si noti come ad esempio il concetto di congruità venga associato a quello di antieconomicità, lo possiamo infatti riscontrare nella recente sentenza 13468 del 2015: “la contestazione – spesso presente nella prassi operativa e nelle pronunce giurisprudenziali – riguardante l'”antieconomicità” del comportamento imprenditoriale richiede da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’inattendibilità del comportamento, che viene raggiunta anche presuntivamente. Tale inattendibilità giustifica per l’Ufficio fiscale il ricorso alla metodologia di accertamento analitico-induttivo, senza che sia necessario produrre ulteriori prove riguardanti il carattere antieconomico del comportamento stesso. Spetta quindi al contribuente fornire la prova della regolarità delle operazioni effettuate, sotto il profilo della congruità/validità economica”.

Da ultimo si ritiene opportuno riportare, in quanto di notevole importanza, la massima della C.T.R. Lombardia del 22/09/2014 la quale ha decretato che le contestazioni dell’Ufficio devono riguardare l’inerenza e non la congruità dei costi dedotti. Secondo la stessa sentenza i componenti negativi di reddito assumono rilevanza fiscale, solamente se posseggono i requisiti della certezza e dell’obiettiva determinabilità (quantum). Il concetto di inerenza va ad investire la qualità e non la quantità del costo sostenuto, salvo il caso dell’assoluta antieconomicità dell’operazione. Il concetto di inerenza in senso stretto sembra appartenere, quindi, all’inerenza qualitativa e non quantitativa. In sede di difesa si ritiene opportuno, quindi, valutare il caso di specie, ponendo attenzione alle molteplici variabili e correlazioni esistenti tra i vari rilievi che potrebbero essere contestati.