6 Marzo 2017

Iscrizione al VIES irrilevante ai fini dell’esenzione Iva

di Marco Peirolo
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La Corte di giustizia, con la sentenza resa nella causa C-21/16 del 9 febbraio 2017, ha affermato che l’Autorità fiscale di uno Stato membro non può negare l’esenzione Iva prevista per le cessioni intracomunitarie di beni per il solo motivo che, al momento dell’operazione, il cessionario è identificato ai fini Iva, ma non iscritto al sistema VIES (VAT Information Exchange System). L’esenzione, in particolare, deve essere riconosciuta se non sussiste alcuno specifico indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali per beneficiare del regime di esenzione.

A fondamento di questa conclusione, che mette ulteriormente in luce l’illegittimità della disciplina italiana in materia di VIES anche dopo le semplificazioni introdotte dal D.Lgs. 175/2014, la Corte ha ricordato anzitutto che l’articolo 138, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE prevede l’obbligo degli Stati membri di esentare le cessioni di beni che rispettino le condizioni individuate dalla stessa norma, aventi carattere sostanziale. A tal fine, è richiesto che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il venditore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in altro Stato membro.

Nella fattispecie in esame, dagli elementi desumibili dalla decisione di rinvio risulta che le questioni sollevate si basano sulla premessa secondo cui ricorrono le condizioni sostanziali per qualificare l’operazione come una cessione intracomunitaria ai sensi del citato articolo 138, par. 1, della Direttiva 206/112/CE. L’esenzione, come detto, è stata negata perché il cessionario non era iscritto al sistema VIES e, quindi, in base alla normativa locale, non aveva diritto ad avvalersi del regime impositivo previsto per gli scambi intracomunitari di beni. L’acquirente, nello Stato membro di destinazione della merce, possedeva soltanto un numero di identificazione Iva valido per la realizzazione di operazioni domestiche, ma non per la realizzazione di operazioni intracomunitarie.

Secondo l’analisi compiuta dalla Corte, l’identificazione dei soggetti passivi tramite il numero di partita Iva mira ad agevolare la determinazione dello Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni oggetto di cessione ed è proprio in quest’ottica che l’articolo 214, par. 1, lettera b), della Direttiva 2006/112/CE impone agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie ai fini dell’identificazione dei soggetti passivi per mezzo di un numero di partita Iva. Anche l’iscrizione nel sistema VIES dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie assume un’indubbia rilevanza in questo contesto, consentendo agli operatori di ottenere la conferma del numero di identificazione delle controparti e, allo stesso tempo, alle Autorità fiscali nazionali di controllare le operazioni intracomunitarie e di rilevare eventuali irregolarità.

Tale sistema risponde, pertanto, all’esigenza, prevista dall’articolo 17 del Regolamento 904/2010/CE, di permettere agli Stati membri di disporre di una banca dati elettronica contenente l’elenco degli operatori ai quali è stato attribuito il numero di partita Iva. Tuttavia, l’articolo 138, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE, al pari della giurisprudenza della Corte, non richiamano, tra le condizioni sostanziali delle cessioni intracomunitarie, l’obbligo del cessionario di possedere il numero di partita IVA; né, a maggior ragione, è previsto che il cessionario debba essere iscritto al sistema VIES.

Ciò che, quindi, rileva effettivamente è che il cessionario sia un soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello di partenza dei beni, laddove la nozione di soggetto passivo è quella definita dall’articolo 9, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE, che fa riferimento esclusivamente a chi svolge, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, quali che siano gli scopi e i risultati di tale attività. La soggettività passiva prescinde, quindi, sia dal possesso del numero di identificazione Iva, eventualmente specifico per la realizzazione di operazioni intracomunitarie, sia dall’iscrizione nel sistema VIES, che rappresentano requisiti soltanto formali, non idonei in quanto tali a porre in discussione il diritto del cedente a beneficiare dell’esenzione se ricorrono le predette condizioni sostanziali.

La Corte ricorda, inoltre, che, in mancanza di specifiche disposizioni sulle prove da fornire per confermare il regime di detassazione, spetta agli Stati membri, in conformità all’articolo 131 della Direttiva 2006/112/CE, fissare le condizioni che devono ricorrere affinché le cessioni intracomunitarie siano considerate esenti, in modo da assicurare una corretta e semplice applicazione dell’esenzione e da prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso. Nell’esercizio dei loro poteri, gli Stati membri devono, però, rispettare i princìpi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, tra cui il principio di neutralità fiscale, che esige il riconoscimento dell’esenzione se le condizioni sostanziali della cessione intracomunitaria sono soddisfatte, anche se uno o più requisiti formali non sono stati rispettati.

Ne discende, in via generale, che l’Autorità fiscale di uno Stato membro non può negare l’esenzione ad una cessione intracomunitaria per il solo motivo che il cessionario non è iscritto al sistema VIES e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari. La giurisprudenza comunitaria, infatti, contempla soltanto due ipotesi al ricorrere delle quali il mancato rispetto di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione: da un lato, quando il soggetto passivo abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’Iva e, dall’altro, allorché la violazione del requisito formale abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.

Nella fattispecie, come già anticipato, le questioni proposte si basano sulla premessa secondo cui ricorrono le condizioni sostanziali per qualificare l’operazione come una cessione intracomunitaria ai sensi del citato articolo 138, par. 1, della Direttiva 206/112/CE. Considerato, inoltre, che nessun elemento del fascicolo trasmesso alla Corte indica che la violazione del requisito formale di cui trattasi nel procedimento principale abbia impedito una constatazione siffatta, i giudici europei hanno concluso affermando che l’Autorità fiscale di uno Stato membro non può negare l’esenzione Iva prevista per le cessioni intracomunitarie di beni per il solo motivo che, al momento dell’operazione, il cessionario è identificato ai fini Iva, ma non iscritto al sistema VIES. L’esenzione, in particolare, deve essere riconosciuta se non sussiste alcuno specifico indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali per beneficiare del regime di esenzione.

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