19 Maggio 2023

Processo tributario: la motivazione dell’atto non sopperisce alla carenza di prove

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, la L. 130/2022 ha introdotto il nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 D.Lgs. 546/1992, che nel delineare il nuovo assetto della giustizia tributaria, almeno in via generale, pone l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, la disposizione citata stabilisce che l’Amministrazione finanziaria è tenuta a provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato.

Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

La novella consente di ritornare su un tema da sempre oggetto di dibattito, e cioè sulla distinzione tra prova e motivazione, atteso che sovente accade che l’Ufficio tenti di far “passare” come prova quella che è la motivazione dell’atto.

Non c’è dubbio che il tema dell’onere della prova sia strettamente correlato a quello dell’attività accertativa, dal momento che è proprio in tale fase che l’Amministrazione finanziaria raccoglie le prove a fondamento della maggiore pretesa impositiva.

Tuttavia, occorre tenere bene presente che per fondamento dell’atto si intendono i presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda l’atto impositivo; per motivazione dell’atto si intendono le ragioni del provvedimento che, enunciando il fondamento dell’atto, lo giustificano; per prova del fondamento si intendono gli strumenti che consentono di ritenere sussistenti i presupposti di fatto e di diritto.

Quindi il fondamento dell’atto è un fatto, la motivazione dell’atto è un ragionamento e la prova del fondamento è un mezzo.

Occorre prestare particolare attenzione alla distinzione non appena evidenziata e, soprattutto, alla diversa funzione assolta dalla motivazione e dalla prova in quanto l’Ufficio, soprattutto nei casi in cui è consapevolmente carente in punto di prova, tenta di sostenere che l’esistenza di un’adeguata motivazione “sopperisce” alla carenza di prove contro il contribuente.

Niente di più sbagliato, soprattutto alla luce del suesposto principio recentemente codificato dal Legislatore, sebbene, a nostro avviso, tale principio avrebbe già dovuto essere considerato la regola generale in materia di processo tributario.

Il fatto che l’esistenza di un’adeguata motivazione dell’atto impositivo, certamente possibile anche in caso di motivazione per relationem, non implichi necessariamente che l’Amministrazione finanziaria abbia anche fornito la prova della maggiore pretesa impositiva, è stato più volte sottolineato anche dalla stessa Corte di Cassazione, che recentemente è tornata ad occuparsi della questione.

Ad esempio, in una recente pronuncia (cfr., Cass. ordinanza 02.03.2023, n. 6325), i Giudici di Vertice hanno affermato che: “la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla L. 27 luglio 2002, n. 212, articolo 7, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative; invece, la prova attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicché in definitiva tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costituivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo».

Ciò significa che, se, da un lato, la motivazione individua la pretesa impositiva, dall’altro, la prova ne documenta la fondatezza necessaria ai fini della legittimità dell’atto.

Pertanto, il difensore tributario, in sede di contenzioso, deve prestare attenzione alla questione prospettata onde evitare che “passi” la tesi dell’Ufficio, puntualmente sconfessata dalla Suprema Corte. Ovviamente questi deve aver cura di contestualizzare quanto rilevato (vedi, ad esempio, richieste di rimborso).

Da ultimo si rileva che bisogna altresì censurare un’eventuale sanatoria della carenza di prove mediante l’esercizio dei poteri istruttori riconosciuti al giudice tributario dallo stesso articolo 7.

Sul punto, nella medesima pronuncia citata, facendo riferimento a quanto sancito dall’articolo 7 D.Lgs. 546/1992, è stato precisato che: «la suddetta previsione attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi».