11 Febbraio 2015

Ma che cos’è il trust? E a cosa serve?

di Sergio Pellegrino
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Quando approcciamo il tema del trust con clienti e colleghi, la domanda fatidica che arriva sempre, anche quando magari ne stiamo parlando da mezz’ora, è che cosa sia il trust e come possa essere definito.

La domanda è scontata, ma la risposta non lo è affatto, attesa la circostanza che il trust è non soltanto un istituto non contemplato dal nostro ordinamento giuridico, ma probabilmente anche “lontano” dalle sue logiche.

Il ragionamento basato sulle considerazioni di carattere fiscale, che spesso “condizionano” il nostro pensiero, ci indurrebbero a ritenere il trust una persona giuridica, ma così certamente non è, anche se, dal punto di vista tributario, il trust viene “personificato” e considerato un soggetto passivo ai fini Ires.

Lo possiamo considerare un contratto? Non è probabilmente neppure un contratto, perché non c’è una prestazione sinallagmatica.

Che cos’è allora?

Volendo per forza di cose “ingabbiare” il trust in una definizione, lo possiamo considerare un negozio posto in essere da parte di un soggetto, il disponente, che si spossessa di parte del proprio patrimonio “dedicandolo” alla realizzazione di determinati obiettivi.

Il trust è quindi un fenomeno gestorio, in base al quale il disponente stabilisce un programma e ne affida l’attuazione ad un altro soggetto, il trustee, “dedicando” un determinato patrimonio alla realizzazione di questi obiettivi.

E’ importante evidenziare come il disponente, con la disposizione dei beni in trust, se ne spossessa. Non gestisce più il patrimonio che ha collocato nel trust, né è titolare di un diritto o di un potere nei confronti del trustee: il trustee non è il fiduciario del disponente, ma è fiduciario della realizzazione dell’affidamento e le sue obbligazioni sono indirizzate a questo (e non verso il disponente).

Il “compito” che deve svolgere il trustee è normalmente a vantaggio di alcuni soggetti, che sono denominati beneficiari, ma vi sono anche i trust istituiti per uno scopo, caritatevole o meno.

Uno degli elementi essenziali del trust è rappresentato dal fatto che il trustee deve godere di ampia autonomia nell’attuazione del compito affidatogli, ovviamente esercitando i propri poteri in linea con quelli che sono gli indirizzi definiti dall’atto istitutivo. Se questa autonomia non c’è, ed è evidente a tutti che il disponente continua ad essere il dominus assoluto della situazione, questo è il segno evidente che la realtà di quel trust è diversa rispetto a quella “ideale” delineata nell’atto istitutivo. E questo può naturalmente rappresentare un problema nei rapporti con i terzi eventualmente “interessati”, amministrazione finanziaria compresa.

L’atto istitutivo può prevedere, e normalmente prevederà, che alcuni dei poteri riservati al trustee siano soggetti al consenso di un terzo, che viene denominato guardiano, e che ha il compito di vegliare sull’attività del trustee, accertandosi che questi operi in modo conforme alla realizzazione delle finalità che quel trust deve perseguire.

Molto spesso, quando parliamo con il nostro potenziale cliente, non è infrequente che questo si candidi a “fare tutto”: generalmente vorrà fare il trustee, per amministrare direttamente quello che considera ancora il proprio patrimonio, o, in alternativa, almeno il guardiano; ci chiederà poi se è possibile essere anche beneficiario del trust.

Sicuramente il disponente potrebbe essere anche il trustee, e allora si parla di trust autodichiarato, ma vanno considerate le implicazioni di carattere fiscale, perché per l’Agenzia il trust autodichiarato non è per certi aspetti (quelli favorevoli) un “vero” trust (ma lo è per quelli sfavorevoli, ritenendo comunque dovute le imposte indirette). Potrebbe essere anche beneficiario, perfino l’unico beneficiario, purché non sia anche nel contempo trustee.

In realtà perché la struttura “tenga” verso l’esterno sarà generalmente opportuno che il disponente non rivesta altri ruoli e che l’autonomia del trustee sia garantita e sia inattaccabile (quantomeno sul piano formale).

Passando alla seconda domanda, e cioè a cosa serva il trust, molti clienti, interrogati sul punto, non hanno dubbi: a loro il trust serve per proteggere il patrimonio e, se possibile, per avere qualche vantaggio di natura fiscale o magari risparmio sul versante previdenziale.

È inevitabile che la maggior parte dei clienti, almeno nella fase iniziale, siano focalizzati esclusivamente su questi aspetti, ma l’approccio che noi dobbiamo proporre dal punto di vista professionale è diverso.

Nel momento in cui si dispongono dei beni in trust vi è la segregazione di quel patrimonio.

I beni in questione non sono più di proprietà del disponente, e non sono quindi aggredibili dai suoi creditori, ma entrano nel patrimonio del trustee.

Il fondo in trust, pur nel patrimonio del trustee, è vincolato alla realizzazione del compito che gli è stato affidato ed è segregato: quindi i creditori del trustee non possono rivalersi sul fondo e l’eventuale fallimento del trustee non ha conseguenze.

La segregazione del patrimonio è però l’effetto del negozio e deve essere al servizio del compito affidato al trustee, non può essere la sua finalità.

Questo aspetto non dobbiamo mai dimenticarlo se vogliamo istituire un trust che sia “credibile” e quindi svolga le proprie funzioni: l’atto istitutivo deve delineare degli obiettivi programmatici che siano considerati meritevoli di tutela.

Come dico sempre, è qui che noi, come consulenti, svolgiamo un ruolo fondamentale.

Gli accadimenti della vita possono essere tanti e tali che in tutti i casi sarà possibile individuare finalità assolutamente “nobili” e utili, alle quali magari il cliente non ha mai pensato.

Nei colloqui propedeutici alla “costruzione” del trust sulla base delle effettive esigenze del cliente (e non soltanto di quelle che in quel momento gli sembrano tali) non potremo esimerci dal cercare di ipotizzare i diversi scenari, anche (e soprattutto) quelli negativi, che si potranno manifestare nel corso della vita dei “protagonisti” del trust, cercando di fare in modo che l’istituto sia in grado di rispondere prontamente ed in modo efficace alle differenti situazioni che si prospetteranno. E’ qui che sta la difficoltà e la bellezza del nostro compito.