4 Ottobre 2021

L’origine non preferenziale delle merci in Dogana ai fini daziari

di Gabriele Damascelli
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All’atto dell’importazione in dogana di merce esportata verso il territorio doganale dell’UE, è necessario individuare correttamente i tre elementi fondamentali oggetto dell’accertamento, quali la classificazione, l’origine ed il valore delle merci in ingresso nel territorio unionale ai fini della determinazione della loro daziabilità in dogana.

Riguardo in particolare l’origine, il Codice doganale dell’Unione (v. articoli 59-68 del Regolamento 2013/952 – CDU entrato in vigore il 1° maggio 2016), analogamente al precedente Codice doganale Comunitario (articoli 22-27 del Regolamento 2913/92 – CDC) dal primo sostituito, contiene i criteri di individuazione di tale elemento (da tenere distinto rispetto al concetto di semplice “provenienza” della merce) quale luogo ove la merce è stata o “si ritiene” essere stata prodotta.

All’interno della “nozione” di origine ai fini doganali occorre distinguere tra origine preferenziale (articolo 64 del CDU), il cui status definisce quella merce prodotta in paesi o territori extra UE con i quali l’UE ha stipulato accordi di libero scambio o verso i quali ha adottato unilateralmente misure tariffarie preferenziali (ad esempio verso quei paesi in via di sviluppo con economie fragili), ed origine non preferenziale (articolo da 59 a 61 del CDU) o origine geografica, la cui individuazione è necessaria al fine dell’applicazione della tariffa doganale comune e delle misure tariffarie, quali ad esempio i dazi antidumping e quelli compensativi su determinati prodotti, importati nell’UE e provenienti da determinati paesi o territori, o ancora per misure non tariffarie quali ad esempio, ove previsto, l’indicazione del c.d. made in etichettatura.

All’interno dell’origine non preferenziale, fuori dall’ipotesi di beni “interamente” ottenuti in un solo territorio (articolo 60 par. 1 del CDU e articolo 31 del suo Regolamento delegato 2015/2446), estremamente problematica è l’individuazione del luogo di produzione di beni alla cui produzione contribuiscono due o più paesi, “risolta” dal CDU (articolo 60 par. 2) individuando l’origine nel paese in cui i beni hanno subìto l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

Per individuare tale luogo, posta la ricorrente difficoltà nella pratica quotidiana, la Commissione UE è legittimata ad adottare atti delegati che contengono norme per considerare una merce interamente ottenuta ed al fine di precisare, in presenza di una o più categorie concrete di merci alla cui produzione hanno contribuito più paesi, quello tra tali paesi di cui dette merci devono essere considerate originarie, posto il rispetto dei criteri enunciati all’articolo 60 del CDU e, di conseguenza, che il paese così individuato costituisca, segnatamente, quello in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale delle merci in questione.

Tale potere della Commissione di prendere tutte le misure necessarie per l’attuazione del CDU e di adottare atti di esecuzione (v. sentenza X C‑661/15 punti 44 e 45 e C‑372/06 punto 35) per precisare il modo in cui i criteri astratti del codice devono essere interpretati e applicati in situazioni concrete al fine di indicare quali tra le trasformazioni o lavorazioni sostanziali attribuisca l’origine non preferenziale della merce è però soggetto a determinati limiti, ribaditi da ultimo dalla Corte di giustizia (C-209/20 del 20.5.2021, punti 34 e ss.).

Così l’atto di esecuzione che la Commissione è autorizzata ad adottare deve essere giustificato da obiettivi al fine di garantire la certezza del diritto e l’applicazione uniforme della normativa doganale dell’Unione (v. sentenze C‑447/05 punti 36 e 39 e C‑372/06 punti 45 e 48), deve essere motivato in modo da consentire ai giudici dell’UE di controllarne la legittimità o la validità (v. sentenza C-162/82 punti 20 e 21) ed essere sempre guidato dal criterio discriminante costituito dall’“ultima trasformazione o lavorazione sostanziale” delle merci (v. sentenze C‑26/88 punto 15 e C‑373/08 punto 38), riferito alla fase del processo di produzione nel corso del quale le merci acquisiscono la loro destinazione d’uso (v.  C‑372/06 punto 36) nonché proprietà e composizione specifiche assenti in precedenza (v. C-49/76, punto 6, quale leading case in materia e C‑373/08 punto 46) e per le quali non sono previste modifiche qualitative importanti in futuro.

Sulla base di tali “elementi”, la Corte UE è stata chiamata a pronunciarsi da ultimo (v. C-209/20) sulla validità di un regolamento di esecuzione della Commissione che, al fine della corretta applicazione dei dazi antidumping previsti dall’UE in relazione alle importazioni di pannelli fotovoltaici originari della Cina, individuava l’origine dei moduli e dei pannelli solari (nello specifico provenienti dall’India) nel paese di origine delle celle solari che li componevano, considerando così che la trasformazione delle placchette di silicio in celle solari (prodotte in Cina ed assemblate in India) costituisse la fase “decisiva” e “la più importante” del processo di produzione dei moduli e dei pannelli solari, consentendo di ottenere prodotti configurati “in via definitiva” nella loro destinazione d’uso e dotati di “qualità specifiche” determinanti l’ultima trasformazione sostanziale.

La Corte UE ha concluso per la validità del regolamento della Commissione non riscontrando da parte di quest’ultima errori manifesti di valutazione, considerando che la trasformazione delle placchette di silicio in celle solari rivestisse un’importanza al contempo sostanziale e superiore ai miglioramenti apportati nella fase successiva del processo di produzione nel quale le celle solari erano assemblate in seno a moduli o a pannelli solari.

Alla conformità al diritto unionale del regolamento della Commissione è conseguita l’applicazione del dazio antidumping in Dogana sui pannelli solari assemblati in India ma di fatto “originari” della Cina con un carico fiscale di gran lunga maggiore.