13 Marzo 2025

La nuova funzione giudiziale dell’autotutela obbligatoria ne impedisce letture restrittive

di Silvio Rivetti
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La scheda di FISCOPRATICO

Se l’autotutela obbligatoria è uno strumento di protezione del contribuente e se il suo diniego è sempre impugnabile per vizi propri, l’interpretazione restrittiva dell’istituto che la circolare n. 21/E/2024 propone, con lo scopo di limitarne l’ambito di operatività, non pare giustificata.

Il nuovo istituto dell’autotutela tributaria obbligatoria, disciplinato dall’articolo 10-quater, Statuto del contribuente, come novellato a cura del D.Lgs. 219/2023 di Riforma, merita di essere inquadrato in tutta la sua portata innovativa, stante le significative ripercussioni che ne derivano sul piano del contenzioso tributario. I primi due commi dell’articolo 10-quater citato, invero, richiedono di essere letti in stretta correlazione con il disposto dell’articolo 19, comma 1, lettera g-bis), D.Lgs. 546/1992, a sua volta modificato in sede di Riforma dal D.Lgs. 220/2023, per effetto del quale sono ora impugnabili “per vizi propri” i rifiuti, tanto espressi quanto taciti, opposti dall’Amministrazione finanziaria alle istanze dei contribuenti di annullamento degli atti, ricadenti nell’ambito di applicazione della versione doverosa dell’autotutela.

Al riguardo, è da notare come l’odierna previsione dell’autonoma impugnabilità, semper et ubique, del diniego di autotutela obbligatoria, a prescindere dalla forma provvedimentale o implicita che tale diniego possa assumere, finisca con lo scardinare in radice la concezione tradizionale di tale istituto, come canonicamente fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità e come avallata dalla stessa Corte Costituzionale, sentenza n. 181/2017, quale potere dalla natura “pienamente discrezionale” e quindi del tutto facoltativo; sostituendovisi, invece, una connotazione di assoluta obbligatorietà, laddove ricorrano le condizioni previste dal comma 1 dell’articolo 10-quater stesso.

In tema, il predetto comma 1 dispone, in primo luogo, un principio generale, per cui è doveroso l’annullamento degli atti tributari connotati da una “manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione”; e, in secondo luogo, un’enumerazione di casi, alle lettere da a) a g), che danno “corpo” a tale principio nelle ipotesi di errore di persona, errore di calcolo, errore d’individuazione del tributo, errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, errore sul presupposto d’imposta, mancata considerazione di pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti, mancanza di documentazione successivamente sanata non oltre i termini decadenziali eventualmente previsti.

Secondo la circolare n. 21/E/2024, le predette casistiche di autotutela obbligatoria devono considerarsi tassative e, dunque, di stretta interpretazione; ma è lecito dubitare che ciò sia corretto e coerente con la nuova concezione dell’istituto, stante la sua intervenuta “mutazione genetica” nel diritto positivo, da semplice mezzo di rivalutazione da parte dell’amministrazione delle proprie decisioni a “strumento di protezione delle aspettative del privato” (come già, in chiosa, Corte Costituzionale n. 181/2017 cit.); e stante la presa di posizione della stessa circolare n. 21/E/2024 sopra richiamata, che riconosce espressamente l’autotutela obbligatoria quale “strumento di protezione del contribuente”. Se, dunque, l’auto-annullamento tributario ha, per legge, acquistato quella “funzione giustiziale” a cui già faceva riferimento la Consulta, quale rimedio “idoneo a formare oggetto di una pretesa azionabile in sede giurisdizionale … in modo non dissimile da quanto avviene nel caso dell’annullamento su ricorso”, allora la lettura restrittiva dell’ambito di applicazione del principio generale espresso dell’articolo 10-quater, Statuto del contribuente, proposta dalla circolare n. 21/E/2024, limitatamente ai soli casi poi enumerati nella norma, non si giustifica, se non per un malinteso interesse di parte; posto che tale principio generale, per cui è da annullare obbligatoriamente qualunque atto impositivomanifestamente infondato”, devi dirsi salvaguardato dall’articolo 24, Costituzione, e dal diritto, ivi tutelato, a favore di ogni contribuente, di ricercare tutela giurisdizionale avverso qualunque ipotesi di “manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione”, pure esorbitante dall’elenco del comma 1 dell’articolo 10-quater medesimo.

A ben vedere, tale elenco è tutt’altro che nuovo, derivando esso da quello più ampio di cui all’articolo 2, D.M. 11 febbraio 1997, concepito, guarda caso, non come tassativo, ma meramente esemplificativo. E se si può anche condividere l’idea, per cui non tutte le casistiche della più generosa norma secondaria previgente esprimono automaticamente il concetto di illegittimità “manifesta” – giustificando così, al più, l’autotutela facoltativa ex articolo 10-quinquies, Statuto del contribuente – nondimeno non può negarsi che alcune di quelle ipotesi, non riprese nell’articolo 10-quater, quali l’“evidente errore logico” nell’imposizione o la “doppia imposizione”, ben possono in concreto rappresentare un esercizio manifestamente illegittimo del potere impositivo, a prescindere dalla loro mancata replica nell’elenco oggi vigente. In realtà, non si comprende per quale motivo un contribuente, interessato per esempio da una palese doppia imposizione, non possa, laddove non impugnato tempestivamente l’atto impositivo, trovare tutela dapprima mediante un’istanza di autotutela obbligatoria, presentata nel rispetto dell’arco temporale di un anno dall’intervenuta definitività dell’atto ex articolo 10-quater, comma 2, e poi mediante impugnazione del relativo diniego, quand’anche tacito. E non solo: poiché l’articolo 10-quater disciplina l’annullabilità d’ufficio degli atti impositivi, è da chiedersi se le più palesi casistiche di annullabilità di tali atti ai sensi dell’articolo 7-bis, Statuto del contribuente – si pensi, per esempio, ai macroscopici vizi degli avvisi di accertamento privi di sottoscrizione o di motivazione, in violazione dell’articolo 42, D.P.R. 600/1973 – non siano esse stesse assorbite nell’ambito di applicazione dell’autotutela obbligatoria, conseguendone la “manifesta” illegittimità dei relativi atti.

Quanto precede dovrebbe valere, inoltre, e a maggior ragione, per tutti gli atti impositivi viziati di nullità ai sensi dell’articolo 7-ter, Statuto del contribuente, per difetto assoluto di attribuzione, o perché adottati in violazione o elusione di giudicato, o perché così qualificati da norme entrate in vigore successivamente alla novella dello Statuto, e dunque post 18 gennaio 2024. Appare evidente che tali casistiche, esprimendo vizi di abnorme carenza degli elementi essenziali degli atti impositivi, al punto da essere persino rilevabili d’ufficio dal giudice in sede contenziosa, ed eccepibili in sede amministrativa ai sensi del comma 2 dell’articolo 7-ter citato, non possono non essere qualificabili come fattispecie di “manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione, rilevanti ai fini dell’autotutela obbligatoria e della tutela giurisdizionale del relativo diniego.