22 Marzo 2019

La valutazione delle rimanenze di magazzino

di Fabio Garrini
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Tra gli elementi dell’attivo patrimoniale da verificare in sede di chiusura del bilancio di esercizio, merita una particolare attenzione la rilevazione delle rimanenze di magazzino; in tale ambito le maggiori difficoltà sono relative al riscontro di un eventuale valore di mercato che, se inferiore al costo di acquisto o produzione, costituirà l’elemento da utilizzare per la valutazione della posta.

In taluni casi, la valorizzazione può derogare dal valore del bene al termine dell’esercizio.

Valutazione delle rimanenze

Il n. 9) dell’articolo 2426 cod. civ. stabilisce che “le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore”.

Il successivo punto 10) prevede che “il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: “primo entrato, primo uscito” o: “ultimo entrato, primo uscito”.

Il valore di realizzazione inferiore al costo del bene (a costi specifici per i beni non fungibili; al LIFO, FIFO o CMP nel caso di beni fungibili), comporta la necessità di ridurre la valutazione delle rimanenze, per adeguarle al valore che il mercato ad esse attribuisce.

I principi contabili, comunque, individuano alcune situazioni dove vi è la possibilità di evitare tale svalutazione.

Un primo caso viene descritto dal paragrafo 52 dell’Oic 13, secondo il quale, in presenza di ordini di vendita confermati con prezzo prefissato, si utilizza tale prezzo per la determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato delle rimanenze presenti in magazzino. Per cui, le quantità in giacenza relative a ordini di vendita confermati con prezzo prefissato restano valutate al costo, nonostante un declino dei prezzi.

Ciò muove dall’assunto, affermano i principi contabili, che sia ragionevolmente certo che i prezzi concordati saranno rispettati, altrimenti le giacenze sono svalutate al valore di realizzazione desumibile dal mercato al pari delle altre rimanenze di quel bene presenti in magazzino.

Se per un bene costato 100, al 31.12. il mercato offre la valorizzazione di 95, comunque non va operata alcuna svalutazione se esiste un accordo di vendita per la cessione di tale bene almeno pari a 100.

Analoga previsione è contenuta nel successivo paragrafo 53: le materie prime e sussidiarie che partecipano alla fabbricazione di prodotti finiti non sono oggetto di svalutazione se ci si attende che i prodotti finiti nei quali saranno incorporate potranno essere oggetto di realizzazione per un valore pari o superiori al costo di produzione del prodotto finito.

La materia prima è costata 100; al 31.12. il mercato la valorizza per 95. In tal caso, comunque, la materia prima non va svalutata se il prodotto finito per cui viene utilizzata sarà ceduto a 150 e i costi di produzione sono pari a 40 (quindi, dal prodotto comunque si ritiene di ottenere un margine, anche considerando il costo della materia prima superiore al valore di mercato di tale materia).

Ovviamente, il principio contabile afferma che si deve valutare se il prezzo di vendita del prodotto finito viene influenzato dal minor costo della materia prima; in altre parole, se si è deprezzato il prezzo delle materie potrebbe essersi deprezzato anche il costo del prodotto finito.

Vi è poi un altro elemento che, al contrario, potrebbe causare la necessità di svalutare un bene in rimanenza, anche se il valore al 31.12. dovesse essere almeno pari al costo.

L’Oic 29, al paragrafo 59, tra i fatti successivi alla chiusura dell’esercizio che evidenziano impatti sul bilancio in chiusura, individua i fatti intervenuti dopo la data di chiusura dell’esercizio da cui emerge che talune attività, già alla data di bilancio, avevano subìto riduzioni durevoli di valore o riduzioni del valore di mercato rispetto al costo (a seconda delle fattispecie) ovvero evidenziano situazioni, esistenti alla data di bilancio, che incidono sulle valutazioni di bilancio.

Tra questi casi, il principio contabile considera il seguente caso: “la vendita di prodotti giacenti a magazzino a fine anno a prezzi inferiori rispetto al costo, che fornisce l’indicazione di un minor valore di realizzo alla data di bilancio”.

Si pensi, ad esempio, ad un bene costato 100, che, al 31.12, valga almeno 100. Se, però, tale bene viene ceduto a febbraio al prezzo di 95, allora occorre concludere che tale minor valore doveva essere presente già nel bilancio in chiusura.

Pertanto, le vendite avvenute nei primi giorni del 2019 non possono certo consentire di imputare il margine dell’operazione al 2018, ma occorrerà certamente tenere in debita considerazione l’eventuale elemento negativo al momento della valutazione delle rimanenze al 31.12.2018.

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