4 Settembre 2019

Decreto Brexit: fissata la decorrenza di iscrizione all’Aire – 1° parte

di Marco Bargagli
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La normativa sostanziale di riferimento prevista per le persone fisiche, prevede che il contribuente è considerato residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 in caso di anno bisestile):

  • è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
  • ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
  • ha stabilito la propria residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).

Per contrastare il fenomeno della fittizia residenza all’estero della persona fisica, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento tributario una presunzione legale relativa che, al ricorrere di determinate condizioni, pone l’onere della prova sul contribuente emigrato oltre frontiera, il quale dovrà dimostrare di essersi effettivamente stabilito all’estero.

In particolare, ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, Tuir si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata (D.M. 04.05.1999).

Per superare la presunzione legale relativa in rassegna, il contribuente dovrà fornire al Fisco idonea prova contraria, anche sulla base delle indicazioni diramate con la C.M. 140/1999, utilizzando qualsiasi mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa idoneo a stabilire:

  • la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
  • l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
  • lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
  • la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;
  • i consumi individuabili sulla base delle utenze domestiche (exempli gratia le fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero);
  • la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia,
  • l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese estero di immigrazione;
  • l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.;
  • la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

A livello convenzionale, l’articolo 4, paragrafo 2, Modello Ocse di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, cui si ispirano la maggior parte degli accordi bilaterali stipulati tra l’Italia e i vari Paesi nel mondo, prevede specifiche disposizioni finalizzate a evitare fenomeni di doppia imposizione economica, nella particolare ipotesi in cui lo stesso contribuente venga considerato residente in entrambi gli Stati contraenti.

Si rimanda ad un successivo contributo il commento in relazione ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con riguardo alla decorrenza di iscrizione all’Aire e alla contestuale cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente in Italia (risposta all’istanza di interpello n. 270 del 18.07.2019).

 

La fiscalità internazionale in pratica